Passato e Avvenire
“istituto Tecnico G. D. Romagnosi”
Il nostro Istituto Tecnico, intitolato a G. D. Romagnosi, è sorto con decreto 11 febbraio 1860 di L. C. Farini, governatore delle Provincie emiliane; ma cominciò a funzionare solo il 13 gennaio 1862, essendo primo preside il Prof. Carlo Fioruzzi, con le tre sezioni Commercio, Agronomia e Fisico-Matematica, le quali negli anni successivi ebbero particolare riassetto e denominazione, in armonia a nuove leggi e regolamenti. A titolo d’onore si ricorda che nell’anno 1867-68 tenne l’incarico della Presidenza, con ampio mandato, l’illustre matematico Francesco Brioschi. Il nostro Istituto, nei vari decenni della sua vita, mai venne meno al suo compito di educazione e di istruzione professionale e scientifica della gioventù piacentina, e si può assertire che coi suoi professori e coi suoi diplomati ha avuto un’azione profonda sul progresso economico e Agricolo della provincia di Piacenza. Basterà ricordare a questo proposito l’opera di Giovanni Raineri, Senatore ed ex Ministro, insegnante d’Agraria per un ventennio (1884-1904) nel nostro Istituto.
Nella ultima guerra ben 63 suoi ex alunni furono immolati sull’altare della Patria, e una lapide nei locali dell’Istituto ne ricorda i nomi gloriosi. Con la riforma Gentile del 1923 il nostro Istituto ebbe soppressa la sezione Fisico-Matematica, rimanendo con le sole sezioni professionali ci Commercio-Ragioneria e di Agrimensura, e con un corso inferiore, preparatorio. La riforma delle Scuole Professionali, che è ora iniziata dal Ministro On. Giuseppe Belluzzo, potrà dar loro un nuovo ordinamento, ma non metterà certamente in pericolo le due sezioni professionali, con le loro caratteristiche essenziali.
Un benemerito cittadino di Piacenza, il N. U. Vittorio Tadini Alberici, morto il 28 agosto 1928, ha lasciato la sua tenuta di Gariga (100 ettari circa) alla Cattedra Ambulante di Agricoltura della Provincia di Piacenza, per farne una "Stazione sperimentale di Agricoltura”, avendo ancora lasciato altri importanti beni patrimoniali agli Ospizi Civili di Piacenza.
Il testamento dispone:“Direttore di questa Stazione sarà il Direttore della Cattedra Agraria di Piacenza, il quale ha l’obbligo di formare un Regolamento e un Consiglio di Amministrazione dell’Azienda, che prenderà il nome di Stazione Sperimentale d’Agricoltura Vittorio Tadini. Nel Consiglio di Amministrazione prenderanno parte il Presidente della Cattedra Ambulante di Piacenza, il Presidente dell’associazione Agricoltori fascisti, il professore insegnante di Agraria del Regio Istituto Tecnico di Piacenza, il Podestà di Podenzano”.
Dalla inclusione nel Consiglio di Amministrazione del Professore d’Agraria dell’Istituto tecnico, del quale il Tadini fu alunno esemplare, appare chiaro il pensiero del testatore che la Istituzione Agraria da lui creata debba servire in modo particolare all’insegnamento agrario dell’istituto tecnico, e quindi anche di quella scuola di carattere agrario in cui l’Istituto possa trasformarsi.
Qualunque sia l’avvenire che è serbato alla nostra Scuola, essa vuol rimanere partecipe, nel sentimento e nell’opera, al progresso economico ed agricolo della nostra Provincia e alle nuove fortune d’Italia.
Nella ultima guerra ben 63 suoi ex alunni furono immolati sull’altare della Patria, e una lapide nei locali dell’Istituto ne ricorda i nomi gloriosi. Con la riforma Gentile del 1923 il nostro Istituto ebbe soppressa la sezione Fisico-Matematica, rimanendo con le sole sezioni professionali ci Commercio-Ragioneria e di Agrimensura, e con un corso inferiore, preparatorio. La riforma delle Scuole Professionali, che è ora iniziata dal Ministro On. Giuseppe Belluzzo, potrà dar loro un nuovo ordinamento, ma non metterà certamente in pericolo le due sezioni professionali, con le loro caratteristiche essenziali.
Un benemerito cittadino di Piacenza, il N. U. Vittorio Tadini Alberici, morto il 28 agosto 1928, ha lasciato la sua tenuta di Gariga (100 ettari circa) alla Cattedra Ambulante di Agricoltura della Provincia di Piacenza, per farne una "Stazione sperimentale di Agricoltura”, avendo ancora lasciato altri importanti beni patrimoniali agli Ospizi Civili di Piacenza.
Il testamento dispone:“Direttore di questa Stazione sarà il Direttore della Cattedra Agraria di Piacenza, il quale ha l’obbligo di formare un Regolamento e un Consiglio di Amministrazione dell’Azienda, che prenderà il nome di Stazione Sperimentale d’Agricoltura Vittorio Tadini. Nel Consiglio di Amministrazione prenderanno parte il Presidente della Cattedra Ambulante di Piacenza, il Presidente dell’associazione Agricoltori fascisti, il professore insegnante di Agraria del Regio Istituto Tecnico di Piacenza, il Podestà di Podenzano”.
Dalla inclusione nel Consiglio di Amministrazione del Professore d’Agraria dell’Istituto tecnico, del quale il Tadini fu alunno esemplare, appare chiaro il pensiero del testatore che la Istituzione Agraria da lui creata debba servire in modo particolare all’insegnamento agrario dell’istituto tecnico, e quindi anche di quella scuola di carattere agrario in cui l’Istituto possa trasformarsi.
Qualunque sia l’avvenire che è serbato alla nostra Scuola, essa vuol rimanere partecipe, nel sentimento e nell’opera, al progresso economico ed agricolo della nostra Provincia e alle nuove fortune d’Italia.
cattedra ambulante di agricoltura 1902
Pensieri di un Capo d’Istituto
“pubblicati in seguito a superiore consenso”
Un Capo d’Istituto ha da combattere su due fronti. Da una parte deve incitare i giovani a dare il massimo possibile di studio e di profitto, e persuadere alunni e famiglie che gli insegnanti hanno il doppio compito di insegnare e di giudicare e che mancherebbero ai loro doveri indulgendo oltre certi limiti; dall’altra parte il Capo d’Istituto deve, nei riguardi degli insegnanti, esercitare un’azione di moderazione e di consiglio, si che gli alunni non vengano sovraccaricati e non si richieda da loro più di ciò che normalmente possano dare.
Dalle famiglie la Scuola attende fiducia nella sua opera, e aiuto al suo difficile compito, chiedendo che esse sappiano guidare e confortare i figliuoli al compimento di loro doveri.
Come nella medicina, se si accresce eccessivamente la dose di un farmaco benefico, questi può divenire malefico, così nell’insegnamento, se si aumenta oltre certi limiti la materia spiegata, si pregiudicano i risultati dell’apprendimento. E questi limiti derivano dalla considerazione non di una materia sola, ma di tutte. Non si devono perciò concedere ore suppletive di lezione, perché si supererebbe così il carico normale stabilito dagli orari. Nei riguardi tanto degli insegnanti che degli alunni ne deriverebbe un maggior lavoro che produce un minor profitto.
Anche nell’insegnamento il criterio “economico” del minimo mezzo è il criterio migliore. Ciascun insegnante dovrebbe proporsi la semplicità massima, compatibile con lo svolgimento essenziale. Ciò non esclude che qualche argomento particolare possa essere svolto con maggiore ampiezza, come esemplificazione, e anche proposto come studio speciale degli alunni. Ma di regola la semplicità, la sobrietà, è la via maestra da seguire nell’insegna,mento, evitando tutto ciò che può riuscire sovrabbondante e farraginoso alla mente dei giovani.
I professori delle scuole medie devono nel loro insegnamento seguire i libri di testo adottati, in modo che gli alunni possano meditare e studiare a casa ciò che è stato loro spiegato a scuola. Se, eccezionalmente, l’insegnante crede conveniente allontanarsi in qualche parte del libro adottato, deve fornire agli alunni gli appunti che sostituiscono il testo. Guai se un insegnamento, anche dato in forma eccellente, rimane affidato esclusivamente alla attenzione, non sempre continua, e alla memoria degli alunni; il risultato sarà pressoché nullo.
Quando un professore non riesce a mantenere la disciplina nella propria classe, suole dire che ciò deriva dalla scolaresca poco educata o dal preside che non prende gli opportuni provvedimenti disciplinari. Quando un professore non ricava dal proprio insegnamento l’atteso profitto, dice che la scolaresca non ha principi sufficienti, che è poco intelligente e che è svogliata. Ammesso che il professore possa vaere, almeno in parte, ragione delle sue lagnanze, è pur certo che ognuno tende a portare fuori di sé, negli altri, la causa dei risultati non buoni dell’opera propria. Generalmente parlando, nessun detto è più vero di quello che “il buon maestro fa i buoni scolari”.
Gli alunni ripetenti hanno, purtroppo, una minor capacità di apprendimento e una minore resistenza allo studio. Tener conto di questa loro parziale inferiorità, del danno già patito e di quello più grave che avrebbero se fossero nuovamente respinti, è umano e doveroso. D’altra parte l’essere rimasti due anni in una classe non può non aver dato loro una maggior consuetudine con le materie d’insegnamento, anche se i risultati tangibili appaiono scarsi. Essi devono essere incoraggiati e aiutati a rimettersi in carreggiata, purchè si dimostrino volenterosi e non assolutamente inadatti alla via degli studi.
Gli svogliati, i deficienti, gli incorreggibili, devono essere eliminati dalla vita scolastica: in primo luogo, per la difesa della scuola, a cui si chiedono risultati di profitto e di selezione; e in secondo luogo, nell’interesse degli stessi eliminati, giacchè invece di rimanere in una condizione di continua inferiorità, potranno trovare, fuori della scuola, una via più adatta alle loro attitudini.
L’insegnamento deve essere considerato come un apostolato, in cui i giovani alunni si conquistano e si elevano moralmente e intellettualmente con l’affetto che loro si dimostra, con l’esempio che si dà e con l’interesse che in loro si suscita.
La scuola pubblica è una funzione di Stato, e in essa, pur con le debite concessioni alla personalità del docente, non possono prevalere criteri strettamente personali, che porterebbero all’anarchia della scuola, ma deve avere il predominio un savio indirizzo generale, disciplinare e didattico, che sarà determinato, con la deferente collaborazione del corpo insegnante, del Capo d’Istituto, a cui è affidato il governo e la responsabilità della scuola.
(pubblicato il 18 febbraio 1929 per cura del preside Dott. Eugenio Maccaferri)
Dalle famiglie la Scuola attende fiducia nella sua opera, e aiuto al suo difficile compito, chiedendo che esse sappiano guidare e confortare i figliuoli al compimento di loro doveri.
Come nella medicina, se si accresce eccessivamente la dose di un farmaco benefico, questi può divenire malefico, così nell’insegnamento, se si aumenta oltre certi limiti la materia spiegata, si pregiudicano i risultati dell’apprendimento. E questi limiti derivano dalla considerazione non di una materia sola, ma di tutte. Non si devono perciò concedere ore suppletive di lezione, perché si supererebbe così il carico normale stabilito dagli orari. Nei riguardi tanto degli insegnanti che degli alunni ne deriverebbe un maggior lavoro che produce un minor profitto.
Anche nell’insegnamento il criterio “economico” del minimo mezzo è il criterio migliore. Ciascun insegnante dovrebbe proporsi la semplicità massima, compatibile con lo svolgimento essenziale. Ciò non esclude che qualche argomento particolare possa essere svolto con maggiore ampiezza, come esemplificazione, e anche proposto come studio speciale degli alunni. Ma di regola la semplicità, la sobrietà, è la via maestra da seguire nell’insegna,mento, evitando tutto ciò che può riuscire sovrabbondante e farraginoso alla mente dei giovani.
I professori delle scuole medie devono nel loro insegnamento seguire i libri di testo adottati, in modo che gli alunni possano meditare e studiare a casa ciò che è stato loro spiegato a scuola. Se, eccezionalmente, l’insegnante crede conveniente allontanarsi in qualche parte del libro adottato, deve fornire agli alunni gli appunti che sostituiscono il testo. Guai se un insegnamento, anche dato in forma eccellente, rimane affidato esclusivamente alla attenzione, non sempre continua, e alla memoria degli alunni; il risultato sarà pressoché nullo.
Quando un professore non riesce a mantenere la disciplina nella propria classe, suole dire che ciò deriva dalla scolaresca poco educata o dal preside che non prende gli opportuni provvedimenti disciplinari. Quando un professore non ricava dal proprio insegnamento l’atteso profitto, dice che la scolaresca non ha principi sufficienti, che è poco intelligente e che è svogliata. Ammesso che il professore possa vaere, almeno in parte, ragione delle sue lagnanze, è pur certo che ognuno tende a portare fuori di sé, negli altri, la causa dei risultati non buoni dell’opera propria. Generalmente parlando, nessun detto è più vero di quello che “il buon maestro fa i buoni scolari”.
Gli alunni ripetenti hanno, purtroppo, una minor capacità di apprendimento e una minore resistenza allo studio. Tener conto di questa loro parziale inferiorità, del danno già patito e di quello più grave che avrebbero se fossero nuovamente respinti, è umano e doveroso. D’altra parte l’essere rimasti due anni in una classe non può non aver dato loro una maggior consuetudine con le materie d’insegnamento, anche se i risultati tangibili appaiono scarsi. Essi devono essere incoraggiati e aiutati a rimettersi in carreggiata, purchè si dimostrino volenterosi e non assolutamente inadatti alla via degli studi.
Gli svogliati, i deficienti, gli incorreggibili, devono essere eliminati dalla vita scolastica: in primo luogo, per la difesa della scuola, a cui si chiedono risultati di profitto e di selezione; e in secondo luogo, nell’interesse degli stessi eliminati, giacchè invece di rimanere in una condizione di continua inferiorità, potranno trovare, fuori della scuola, una via più adatta alle loro attitudini.
L’insegnamento deve essere considerato come un apostolato, in cui i giovani alunni si conquistano e si elevano moralmente e intellettualmente con l’affetto che loro si dimostra, con l’esempio che si dà e con l’interesse che in loro si suscita.
La scuola pubblica è una funzione di Stato, e in essa, pur con le debite concessioni alla personalità del docente, non possono prevalere criteri strettamente personali, che porterebbero all’anarchia della scuola, ma deve avere il predominio un savio indirizzo generale, disciplinare e didattico, che sarà determinato, con la deferente collaborazione del corpo insegnante, del Capo d’Istituto, a cui è affidato il governo e la responsabilità della scuola.
(pubblicato il 18 febbraio 1929 per cura del preside Dott. Eugenio Maccaferri)
comizio agrario di Piacenza 1898