i Filoni del Prof. Giulio Milani
giulio milani da giovane
“Si è spento, a 89 anni, il prof. Giulio Milani, antica figura di educatore e uomo di versatili interessi che gli valsero, per lunghi decenni, lusinghiera notorietà. Aveva lasciato anzitempo l'insegnamento per dedicarsi a quelle attività che riconosceva più consone al proprio temperamento..: in ciascuna di esse aveva avuto modo di esprimere le proprie ingegnose propensioni”. Stimato dai suoi contemporanei, il suo nome viene col tempo legato solo ad alcune immagini che diventano gli stereotipi della Piacenza com'era, trasformandolo in occasionale reporter di fortunate occasioni. Risale al 1984 la rinascita di interesse nei suoi confronti che porta alla pubblicazione di un volume fotografico curato da Giulio Cattivelli dal titolo, Giulio Milani fotografo in Piacenza, in un certo senso riduttivo, come sottolinea egli stesso, perché non è possibile definirlo ne professionista ne dilettante, ma un uomo che anche nella fotografia infonde l'eclettismo di una cultura polivalente. Giulio Milani, come afferma Giulio Cattivelli, sembra sfuggire alle classificazioni sbrigative, certo è che il suo innato anticonformismo e la sua allergia per il rigido concetto di autorità ne fanno un educatore molto particolare, fuori dal suo tempo. Nello stesso anno la mostra Gotico, neogotico, ipergotico, architettura ed arti decorative a Piacenza 1856-1915, se pur con molte imprecisioni, gli dedica una scheda tra i fotografi protagonisti del periodo preso in esame. Giulio Milani compare insieme a Sidoli e Brigidini, che però possiedono dei veri e propri studi fotografici. Se ne sottolinea la complessità del codice linguistico ora di stampo Alinari, ora da amateurs come il conte Primoli, questo ultimo riscoperto grazie alla pubblicazione curata da Lamberto Vitali. In qualità di nipote del prof. Giulio Milani, purtroppo conosciuto solo attraverso i racconti della nonna Mimma, spero di aver portato il mio modesto contributo di riconoscenza che, come studiosa di storia locale, supera quello del legame strettamente familiare. Ho dedicato alla figura del prof. Giulio Milani alcuni articoli (Strenna degli Amici dell’Arte 1991, Piacenza Economica, n. 3, 2010) e soprattutto la monografia del 2004 dal titolo Piacenza nei ricordi fotografici di Giulio Milani con la collaborazione di Maurizio Cavalloni, Mario di Stefano e Rosalinda Barbieri. Per conto dell’Amministrazione Provinciale, nel 2004, ho curato la mostra Donne e famiglia tra città e provincia. Ricordi fotografici di Giulio Milani (17 dicembre 2004 – 9 gennaio 2005). Di recente, riconoscendone la piacentinità d’adozione, gli è stata dedicata una scheda nel Dizionario biografico dei piacentini e una via in un nuovo quartiere al Montale.
piacenza la barriera della stazione
Giulio Milani nasce il 16 febbraio 1873, primo di cinque figli, da una agiata famiglia pisana che risiedeva in borgo S. Caterina. Il padre, Gustavo, è docente universitario alla Normale di Pisa e autore di un Manuale di Scienze Naturali e di una Piccola Fisica che saranno più tardi riveduti e corretti dal figlio Giulio, che, anche se avrebbe preferito iscriversi alla facoltà di Ingegneria, sarà l'unico a seguire le orme paterne. Giulio disegna, dipinge e imparare a suonare il violino come autodidatta contrastato dal padre che, nonostante suonasse il violoncello, temeva si trasformasse in una distrazione dall’impegno dello studio. Il giorno 14 febbraio 1898 si sposa con Maria Fratini e, dopo un incarico a Forlì, si trasferisce a Piacenza, dove nel 1899 vince la cattedra di Storia Naturale e Fisica alle Scuole Normali. Si tratta delle scuole Magistrali allora in via Mazzini 60, nell’antico palazzo dei conti Cassola, poi trasferite in via Beverora nell’attuale “Colombini”. A Piacenza si stabilisce inizialmente in una casa ammobiliata che, come farebbero ipotizzare alcune fotografie datate ottobre 1899, doveva trovarsi all’inizio di via Cittadella verso piazza Cavalli se le didascalie indicano la ripresa effettuata dalla finestra, dalla quale inquadra l’angolo via Cittadella-via Mazzini, e dal tetto dal quale riprende la piazzetta del Mercato, attuale largo Matteotti, come testimoniato dal tetto in ferro e vetro del mercato di S. Gervaso, costruito nel 1894 e demolito nell’aprile 1949, che occupava l’area dell’antica chiesa di S.Gervaso. Si trasferisce in casa Porta in via Borghetto, dove rimane dal 1900 al 1907 quando le mutate esigenze della famiglia, dopo la nascita dei figli Gabriele (1899), Alberto (1900) ed Elena (1907), lo convincono ad una diversa soluzione. Agli inizi del secolo viene preso dalla febbre per la carambola nella quale diventa ben presto imbattibile. Non bastandogli l'esercitarsi per ore al Bar Italia, che si trovava nell’edificio demolito per far posto al III Lotto (1958), decide di costruirsi un biliardo da tenere in casa per potersi applicare anche nel cuore della notte per battere il suo avversario, l’ing. Perreau che mina il suo predominio. Così, tra lo sgomento e la disperazione della padrona di casa, che credeva di aver affittato ad un professore non ad un falegname, eccolo ben presto costruito. Naturalmente non c'era combinazione che avesse segreti per lui, provata e riprovata con il solo aiuto di un manuale. Autodidatta per vocazione, il prof. Milani non si accontenta mai di saper usare al meglio uno strumento: deve saperlo costruire! Qualunque meccanismo nelle sue mani è sottoposto ad una analisi accuratissima; è smontato e rimontato per l'uso personale per il quale è necessario. Nel 1907 la famiglia Milani acquista la casa in via Nova 67, angolo via Beverora, dove, al piano terreno, trovano finalmente spazio i numerosi interessi del professore. Nel suo studio troneggia il biliardo, che serve ora per stendere ad asciugare le fotografie (che diventano l'occupazione prevalente da questo momento), un mobile a ripiani, un armadio pieno di lastre fotografiche e uno con il violino e i manuali, soli testi che avessero accesso in quella stanza. Il banchino, come lui chiamava la sua scrivania, era cosparso di matite religiosamente conservate ed utilizzate fino all'ultimo mediante un porta mozziconi di ottone. Con la Riforma Gentile, che costringe il prof. Milani ad insegnare anche Matematica, diminuisce il suo già scarso interesse per l'insegnamento, portandolo, nel 1925, alla decisione di lasciare la scuola per dedicarsi completamente alla fotografia. Nel 1925 apre al piano terreno della sua abitazione uno studio fotografico dotandolo anche del telefono (3615). Interromperà questa attività quando, durante la II Guerra Mondiale, gli requisiscono lo studio. Il filone, come la moglie Maria definiva le singole passioni del marito, inizia sempre con la fase di apprendimento febbrile, entusiasta, che si avvale dell'attento studio del manuale di costruzione, anche del più piccolo ingranaggio. Non solo costruisce il biliardo, ma anche, uno dopo l'altro, ben 25 violini (il primo a 16 anni) studiandone e sperimentandone anche la vernice. Raggiunge una tale abilità tecnica da venderne alcuni anche a dei professionisti, come il prof. Daniele Valla che, per 37 anni titolare della cattedra di violino all’istituto musicale “Nicolini”, diviene primo violino di spalla dell'Orchestra del Municipale divenendo anche vicedirettore alla Scala di Milano. Proprio quest'ultimo ne apprezza anche le doti di musicista e, dopo alcune lezioni di tecnica, lo include nell'Orchestra come secondo violino. Queste attività collaterali, rispetto all’insegnamento, creano il disappunto della direttrice delle scuole Normali, la professoressa Leffi, che non comprendeva la singolare figura di professore che rappresentava Giulio Milani.
piacenza la piazza del cavalli
Il filone fotografia, che ha origine sicuramente già nel 1893, merita una attenzione particolare per la continuità con la quale lo ha coltivato come testimoniato dall'abitudine di incollare i provini su album con una breve descrizione o meglio un vero e proprio titolo e, in alcuni casi, la data. Inizialmente il mercato limitato rende difficile, anche ai più facoltosi, coltivare questo complesso hobby. Giulio Milani si costruisce un apparecchio foto¬grafico affidandosi all'industria per gli obbiettivi che acquista in Germania. Successivamente, con l'ampliarsi del mercato di articoli fotografici, nascono negozi specializzati; la famiglia Crescio ne apre uno in via Croce 4, l’antico palazzo Ardizzoni Calvi poi casa Laviosa, dove inizialmente il prof. Milani acquista materiale e si fa stampare le sue fotografie. Ma ben presto si procura invece tutto l'occorrente per poterle realizzare nel suo studio raggiungendo una tale abilità da ricevere delle commissioni di stampe per conto dello stesso negozio. Non poteva mancare certo tra i pionieri delle due ruote. Possedeva già a Pisa una bicicletta; ma certo non gli bastava: negli anni '10 si reca in Francia per acquistare una retropedale a S. Etienne, con la quale compie tutto il viaggio di ritorno. Chiaramente, giunto a casa, la smonta e rimonta pezzo per pezzo. Il primo velomotore lo trova sollecito acquirente, ma il fascino della velocità lo porta ad acquistare una Harley Davidson intorno al 1917, in sella alla quale fa compiere un giro alla figlia Elena, raggiungendo la straordinaria velocità di 90 km/h. Il fascino esercitato su di lui dai congegni meccanici lo porta ad un forte legame con l'ing. Giacomo Oreglia che, di origini liguri, si trasferisce nel 1906 a Piacenza. Direttore, fino al 1913, della Federazione italiana dei Consorzi agrari, nel 1916 fonda l’officina meccanica “ing. G. Oreglia e C.” con stabilimento in via Emilia Pavese (chiuso nel 1946). Tra i collaboratori piacentini viene indicato il sig. Camillo Magrini: è probabilmente stato proprio il sig. Magrini a costituire il collegamento tra il prof. Milani e l’ing. Oreglia. Infatti, già nel novembre 1899, il prof. Milani fotografa il signor Magrini con la bambina. In seguito esegue per l’ing. Oreglia, insieme al quale prova una delle prime macchine arrivate a Piacenza, una campagna fotografica della sua officina che costituisce un felice esempio di fotografia industriale. Esito di una preziosa collaborazione, è anche la serie di fotografie per il primo Consorzio Agrario di Piacenza che, oltre a testimoniare gli interni della sede piacentina, il palazzo Galli in via Mazzini attualmente della Banca di Piacenza, documenta la sede a Molino degli Orti, attuale via Colombo, e le numerose sedi in provincia (Primo Consorzio Agrario cooperativo di Piacenza. Cenni storici e dati statistici, Piacenza, Stab. Tip. Piac., 1925). La produzione più conosciuta, anche se non sempre correttamente attribuita, è costituita da quelle immagini che si uniformano al codice linguistico dei censimenti Alinari che, privilegiano le vedute frontali, selezionano le emergenze architettoniche più significative. L'immagine diviene così prezioso testimone di una cultura del monumento che influenza metodi di analisi e criteri progettuali. La fotografia porta un contributo fondamentale, partecipando alla costituzione di una sorta di inconscio ottico collettivo, alla creazione dell'immagine della città dell'inizio secolo, usata ed abusata fino a perderne la visione d'insieme, espressione di quella cultura del tutto disinteressata alla cosiddetta edilizia minore che costituisce il contesto del monumento. Ne è un esempio la campagna fotografica condotta per conto dell'arch. Giulio Ulisse Arata finalizzata allo studio per il restauro della basilica di S. Antonino (Le molteplici vicende di un'insigne basilica: il S. Antonino a Piacenza, estratto da “Rassegna d'Arte” marzo-aprile, 1919) e proseguita probabilmente in occasione di altri cantieri come testimoniato dal corredo fotografico del testo scritto dall’architetto (Ricostruzioni e restauri con alcune note sull’urbanistica e sulla conservazione dei monumenti, Milano, Hoepli, 1942). Sono le fotografie pubblicate in una guida di Piacenza di Leopoldo Cerri, uscita in occasione dell'inaugurazione del nuovo ponte sul Po nel 1908 (Piacenza nei suoi monunenti, Piacenza, Stab. Tip. Piacentino, 1908), nel volume scritto da Fermi sulle chiese medioevali, il n. 26 della serie Italia Monumentale del 1912 (Le chiese medioevali di Piacenza, Milano, Bonomi,1912), e nel volume 106 della serie Italia Artistica del 1931 con la dedica dell'autore Giulio Ferrari: “all'amico carissimo, eccellente fotografo prof. Giulio Milani, affettuosamente, Giulio Ferrari” (Piacenza, Bergamo, Istituto di Arti Grafiche, 1931). La consonanza con il taglio documentario di stampo monumentale, inaugurata dai fratelli Alinari, consiglia l’acquisizione di alcune delle immagini che entrano a far parte del monumentale catalogo Alinari delle città italiane. Si può, a questo proposito, citare il caso delle due edizioni del volumetto di Stefano Fermi uscito, nello stesso anno, in due differenti edizioni. Quella edita dall’editore Bonomi di Milano, copia della quale Stefano Fermi regala al prof. Milani, riporta gli autori delle fotografie (dell’Emilia, Caldi, Milani, Malchiodi) con alcune correzioni di mano dello stesso Milani; mentre nell’altra edizione le fotografie risultano tutte dell’archivio Alinari. Un legame di profonda amicizia e stima lo lega al nobil uomo Giuseppe Ricci Oddi che, quando ancora raccoglieva capolavori al secondo piano del suo palazzo in via Poggiali, lo chiama, ad ogni nuovo acquisto, perché glielo fotografasse sia singolarmente che nel contesto come testimonia la prima guida della galleria (D. Manetti - I. Cinti, La Galleria d'arte moderna Ricci Oddi, Reggio Emilia, off. grafiche fasciste, 1931). E’ proprio la conoscenza della produzione italiana, appartenente all’età del realismo, che indirizza le sue scelte fotografiche, lontano da occasioni e committenze, documentate dalle immagini che i figli hanno donato ad Ernesto Prati, amico e grande ammiratore, raccolta dalla quale sono state scelte le fotografie per la monografia edita dal quotidiano locale, nel 1984, a cura di Giulio Cattivelli dal titolo Giulio Milani fotografo in Piacenza. Parte di questa raccolta, 683 fotografie in formato provino (8 x 6 cm), è ancora conservata presso gli eredi. Due corposi album documentano la ricca produzione, datata tra il 1898 e il 1902, che, per la maggior parte inedita o non assegnata alla paternità del prof. Milani, si vuole ora offrire alla conoscenza della città.
piacenza bambino sul ponte di barche
piacenza un gregge attraversa il ponte sul Po
Questa ricchissima produzione di immagini rivela, molto meglio di quella su commissione, la vera personalità del suo autore che raggiunge un’alta intensità poetica nei numerosi fotogrammi in cui il mezzo tecnico è messo a dura prova dagli studi di paesaggi e di scene ovattate dalla nebbia o in controluce, o di tramonti che si specchiano nelle acque del Po. I luoghi della sua infanzia nei quali torna con sistematicità (Viareggio, Pisa, Livorno, Castiglioncello, S.Marcello, Terni, lago di Piediluco, Papigno, Stroncone, Ferentillo, Narni, Castigliano, Pietrasanta, Castelnuovo della Misericordia, Rosignano, Cutigliano, Castelvecchio, Pistoia, Pievepela, Barigazzo), la città e la provincia d’adozione, ma anche le occasionali mete (Melegnano, Cremona, Milano, Fontanellato, Roma), sono indagati con un taglio urbano alla ricerca degli spazi e dei sui usi. La Piacenza che Giulio Milani conosce, e che insieme alla moglie studia e apprezza, è una città che, nel 1900, ha 35.600 abitanti e 255.000 in provincia. Il suo è un occhio da urbanista attento ai canali, alle strade, alla loro pavimentazione, alle mura e alle barriere daziarie che ancora danno alla città un aspetto unitario, ma anche alle prime industrie che ne forzano il tessuto rappresentando i nuovi monumenti del progresso. La prima immagine, datata 13 ottobre 1899, è una veduta da S. Antonio della città chiusa dalle mura cinquecentesche, che rappresentano anche il suo confine amministrativo fino al 1923, consegnandoci un affascinante sky line di torri, altane, campanili e cupole. La sua conoscenza della città, dall’interno, lo porta a sfruttare tutte le occasioni per fornire un’interessante veduta dall’alto: la colombaia militare in via Beverora, campanili, palazzi dai quali documenta l’articolazione stradale e, soprattutto, l’interno dei grandi isolati nei quali ampi loggiati, nascosti allo sguardo del passante, si aprono su orti e giardini. Numerosi fotogrammi sono dedicati a piazza Cavalli: l'attenzione non è solo all'aspetto architettonico, ma al radicarsi della piazza nella città, al suo uso, che definisce il destino di uno spazio perché sia l'architettura che l'uomo sono attori nella creazione dello spazio delle relazioni. La piazza è letta come luogo privilegiato dello stare, del mercato, delle adunanze, delle feste popolari, testimoniando un perdurare di usi dello spazio urbano che ne definiscono la sua essenza. Trova ampia documentazione anche l'architettura rurale, non ben identificati sentieri, curve di strade non asfaltate che guardano su vallette non ancora intaccate dal turismo, ma anche gli scavi di Veleja, i pozzi di petrolio sul Chero, le centine per la costruzione delle arcate del ponte sul Trebbia. Si trovano anche serie di soggetti in movimento come studi sul volo dei piccioni (compiuto per ore ed ore nella piccionaia militare), sul salto e corsa dei cavalli. Sempre attento alle novità riprende una mongolfiera, l'arrivo di un serraglio in piazza Cittadella, l’Esposizione del 1902, l'arrivo di un treno in un paese, la visita di una personalità. Per la fotografia di cronaca, documentazione di un avvenimento, scatta sempre più fotogrammi ritraendolo spesso riflesso nelle impressioni degli astanti. Non esita a cogliere le figure da tergo, ottenendo effetti, per quei tempi, assolutamente inediti. Non solo processioni o più tardi le adunate fasciste in piazza, ma anche una conferenza socialista a Podenzano, in un'aia, le corse ciclistiche, poi automobilistiche, le gare ginniche, le fiere di bestiame, le feste paesane.
veduta di ponte dell’olio
Scatta anche qualche scena a soggetto che rivela il gusto del racconto, della rappresentazione mimica non senza un fondo di ironia. Non sono numerose le foto dei familiari, qualche gruppo di alunne e qualche ritratto come quello ad un generale e quello al prof. Ghittoni esposto in occasione della VI Mostra degli Amici dell'Arte nel 1928. Aldo Ambrogio afferma che i “numerosi quadretti del prof. Milani non fanno che riconfermare la già ben nota di lui abilità. I suoi soggetti rispondono a pieno ai dettami delle esigenze tecniche e di gusto artistico”.. Casa Milani era caratterizzata dagli eccessi dei due opposti rappresentati da Maria, amante delle novità e della moda, per la quale il progredire si otteneva liberandosi inesorabilmente del passato, e Giulio per il quale la conservazione del passato e della sua memoria era il presupposto per il cammino verso il futuro. L'accordo tra i due coniugi si raggiungeva alla sera, quando, al familiare richiamo di “Maria dammi il la”, prendeva inizio un improvvisato duetto tra il pianoforte di Maria e i violini di Giulio e dei figli. “Stono, stono”, e anche il violino viene abbandonato. Quando però gli viene proibito per sempre di usare la bicicletta, inizia il suo declino. Cammina ancora molto, si costruisce addirittura un contapassi, ma una caduta gli provoca la rottura del femore, che lo costringe a letto per un anno prima di spegnersi il 12 agosto 1962. E’ stato scritto che il capitolo della storia della fotografia che riserverà sorprese maggiori e più piacevoli sarà quello dedicato all'attività dei dilettanti, di chi, cioè, non era legato a nessuna formula di meccanica uniformità e da nessuna schiavitù di mestiere e che per posizione sociale e per cultura era in grado di esercitare in modo del tutto diverso la propria facoltà di osservazione dell'ambiente nel quale viveva. La fotografia, sguardo discreto, è così una selezione operata sulla base della cultura dell'artista fotografo, che vi imprime uno spessore semantico tutto da indagare. (Valeria Poli, Piacenza).
caorso veduta del castello