penna

l’Asino che Vola

"la vera origine della leggenda di Pontenure"

Siamo nel 1901, in epoca pre-industriale, la realtà contadina è ancora determinata totalmente dalla mano d’opera, il lavoro nei campi è duro, i pochi ricchi e i nobili fanno beneficenza per ovviare alle evidenti disuguaglianze sociali. Anche la cultura è privilegio di pochi. Questo è lo sfondo economico sociale che anima anche Pontenure un bel paese della pianura padana. Cent’anni dopo le curiose vicende che animano il racconto, l’autore assiste alla piccola processione nel suo paese natale e quello che è rimasto dell’antica atmosfera riapre un cassetto della memoria facendolo tornare agli anni ’30 quando partecipava dodicenne a una cerimonia ben più imponente e da qui la catena dei ricordi prosegue fino a ritornare ai racconti ascoltati dal nonno, dal padre e dallo zio su un evento apparentemente assurdo che entrerà nella storia del paese di Pontenure che ha il sapore fantasmagorico di un film di Fellini. Lo schema richiama la favola; nella vita apparentemente senza scosse del paese, arriva da Genova la potente famiglia Raggio. L’armatore compie importanti opere nel paese e instaura un rapporto apparentemente idilliaco con la popolazione. In questo scenario di piacevole generosità da parte del burbero personaggio si instaura un conflitto d’interessi con il paese. Come potrà il volo del povero asinello risolvere il conflitto e mettere tutti d’accordo? È a questa domanda che il racconto risponde introducendo a questo scopo personaggi in parte di fantasia in parte storici che tramano in grande segreto per mettere a punto l’impresa che tutti per opposte ragioni desiderano, sia gli agricoli sia il potente “venuto dal mare”. L’autore ci accompagna dentro le motivazioni (tenute ben nascoste) di questa vicenda dipingendone in modo vivace i protagonisti: l’Arciprete, il sig. Raggio, le comari locali, “al Vescu”, lo zio Vittorio, il Professore e altri personaggi da conoscere.. Il racconto ci spiega come si formerà una “congrega” pronta ad affrontare tutte le incombenze dell’impresa: dalla costruzione delle ali a quella della diabolica invenzione. Il tutto sempre accompagnato dal sorriso e dalla bonarietà dell’autore verso la vicenda e i suoi protagonisti. Alla fine il paese ne esce doppiamente vincitore, la prima volta, nel 1901 appropriandosi in prima persona dell’impresa, la seconda superando le beffe e facendo dell’asino una festa popolare che dura ancora ai nostri giorni.


la piazza con la villa raggio 1902

il Movente della Nostra Storia
“ogni azione, se non è frutto di una pazzia, ha sempre una ragione..”

A quei tempi, come in tanti altri luoghi anche a Pontenure vi erano disoccupati e gente
che non riusciva a sbarcare il lunario. Molti potevano dir grazie a Dio se in sei avevano a pranzo un piatto di pasta fatta in casa cucinata con un cucchiaio di pesto di lardo e fagioli, mentre a cena dovevano accontentarsi di un piatto di polenta ed una sola salacca da dividere tra tutti. Il menù era sempre lo stesso. Vista la miseria nella quale versavano molte famiglie, Armando Raggio, uomo energico ed intraprendente, programmò di costruire nel capoluogo di Pontenure una grande fornace a fuoco continuo Hoffmann, per produrre laterizi, funzionante con il suo carbon fossile trito. Con tale opera avrebbe aperto una via all’industria, dando lavoro e dignità a tanti disoccupati che vivevano nello squallore e nella miseria in quel piccolo borgo dedito solamente all’agricoltura. Per quell’opera il magnate aveva giustamente motivo di aspettarsi la riconoscenza della popolazione e sarebbe stato il minimo dovuto. Gli agricoltori la pensavano diversamente, temendo di perdere i lavoratori, diedero inizio ad un’offensiva verbale contro Raggio. Nell’aria serpeggiava il malumore poiché i contadini presagivano le disgrazie conseguenti all’insediamento industriale. Se i braccianti fossero andati a lavorare in fornace sarebbe ovviamente venuta a meno la manodopera all’agricoltura, che all’epoca non disponeva di macchine operatrici. Nelle campagne ognuno bisbigliava le sue preoccupazioni esternando risentimenti ed insulti contro i Raggio.“Noi stavamo bene prima che arrivasse quel bastardo da Genova!” diceva Pippon Bartàgna che non aveva peli sulla lingua e poi aggiungeva: “Cosa deve sapere o preoccuparsi della nostra agricoltura, non sa neppure distinguere il frumento dalla melica!”. La sua violenza di linguaggio veniva molto apprezzata. Giulìn Cavagna rimarcava:“Prima di venire qua sarebbe stato un bel lavoro se fosse caduto nel suo mare e non fosse più venuto a galla. Quella sarebbe stata per noi una grossa fortuna”.


saluti con vedutine del 1915
Evidentemente la costruzione della fornace rappresentava una vera e propria calamità che incombeva su Pontenure, il flagello distruttore di tutte le attività agricole. Era quindi indispensabile bloccarla al suo nascere. Anche la Marietina ad Burtlëina, sposina giovane e un po’ ingenua, andava dicendo con le sue amiche: “Se quel prepotente farà una fornace noi andremo tutti per pane”. Chi più ne sapeva più ne sparava e tante da farne un’enciclopedia. Nessuno però avrebbe avuto l’ardire di informare Raggio del proprio disappunto: per parlare ad un Re occorre più coraggio che diplomazia. Ai potenti ci si discorre dietro ma ci s’inchina davanti. Anche le cose più segrete prima o poi emergono, c’è sempre qualcuno che sa o che dice. Nonostante l’omertà della gente, Raggio veniva a conoscenza dell’ostilità dei contadini e non si meravigliava della loro manifesta stupidità, tanto più che nelle sue intenzioni vi era la magnanimità di fare un regalo al paese al quale si era ormai affezionato. Egli intendeva creare benessere per la popolazione, debellare la disoccupazione con un lavoro onesto ed una giusta retribuzione. Non intendeva sottrarre manodopera all’agricoltura né trarne profitto, non ne aveva assolutamente bisogno. Sapeva già che in America la meccanizzazione stava prendendo piede anche in agricoltura, per cui presto la manodopera sarebbe stata sovrabbondante. Conosceva bene il detto “A far del bene all’asino si ricevono calci” quindi non si arrabbiò delle dicerie contadine, ma al contrario trovò lo spunto per farne un sarcastico commento; parlando in un dialetto genovese molto comprensibile, davanti agli uditori che stessero a sentirlo disse: “Questo è proprio il paese dell’asino” e fu così che ebbe origine il detto. Il Magnate ridendo divertito concluse: “Sarebbe il caso di tirare un vero asino sulla torre: rappresenterebbe bene la stupidità dei bifolchi”. Ovviamente era solo una battuta che nessuno immaginava avesse poi tante conseguenze.


veduta della stazione 1915
I commenti di Raggio non restarono segreti, anzi si diffusero con il passaparola per cui i contadini venuti a conoscenza degli insulti di Raggio passarono alla controffensiva verbale. “Se c’è un asino da tirar sulla torre quello è lui” diceva Arnaston dal Sütt, sottintendendo il Magnate. “Che la faccia pure la sua fornace” proclamava Pulon dal Mutarüss “se nessuno ci andrà a lavorare potrà zufolare”. Pirein ad la Gramigna poco riguardoso nei confronti di Raggio sentenziava: “So io dove se la deve mettere la sua fornace” e poiché andava orgoglioso di sapersi controllare nel linguaggio, non concludeva la frase tanto l’avrebbero capita. La conclusione era ovvia. Non bastavano gli insulti peggiori, ma era necessario dissuadere quei pochi che volevano la fornace per cui si andava dicendo in giro che il Magnate avrebbe fatto di Pontenure un paese di schiavi mandando nei suoi forni bollenti gli uomini migliori e quando fossero usciti al freddo lo sbalzo della temperatura o il colpo d’aria li avrebbero fregati; la broncopolmonite, la pleurite e la tubercolosi, all’epoca ricorrenti, li avrebbero inesorabilmente colpiti e sarebbero morti per la gloria di Raggio e per la sua ingordigia di voler far soldi sulla pelle dei poveri. Al contrario in campagna si lavorava all’aperto, respirando l’aria salutare del verde dei campi, godendo del sole e tutto a beneficio della salute. “Scegliete voi” diceva Arnaston dal Sütt “da una parte ci saranno i furbi e dall’altra i coglioni”.. (l’asino che vola, di Ugo Molinari, edizioni L.I.R. piacenza, maggio 2013).