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Ridateci la Madonna Sistina


veduta della chiesa di San Sisto

E forse un giorno troveremo scritto “Ridateci la Madonna Sistina!” a passeggio lungo via Angilberga. Non poteva capitare occasione migliore per presentare quella che sarà la mia compagna d’avventura, una preziosa collaboratrice e amica, Annalisa, da oggi nuova turista in cammino. Voglio partire da lei, dai nostri anni al Liceo, per raccontare il percorso lungo via Angilberga poiché quant’è vero che i luoghi portano tracce dei ricordi, oggi tutte le emozioni e le speranze dell’adolescenza sono emerse raggiungendo la Chiesa di San Sisto. Ecco il ricordo di quando, forse quindicenni, fresche di lezione su Raffaello, venimmo a conoscenza della famosa “Madonna sistina” e della sua storia. Decidemmo così di visitare il suo tempio e partimmo, cartina alla mano, da vere turiste. Era dicembre; in Piazza Cavalli i banchi del mercatino di Natale e tanta gente, noi a San Sisto. 15 anni, ma l’impulso di capire e conoscere la nostra città già germogliava. Mi fa sorridere ripensarmi qua, liceale, con il mio zaino in spalla, ad ammirare piena di entusiasmo l’architettura, sognando una brillante carriera universitaria nel ramo storico-artistico. Ripensare a quei momenti mi fa un po’ di tenerezza, soprattutto considerando che solo oggi, 14 anni dopo, mi ritrovo in questi luoghi: di mezzo ci sono stati l’università, un matrimonio, un figlio. Ma eccomi qui, questa volta in pieno rigoglio primaverile..


casa del milite e del combattente in piazza casali

Parto da Piazza Cittadella, svolto dietro il mercato coperto e già lo scenario si presenta interessante: ammiro il tempietto di età fascista della “Casa del Milite”, con i suoi bassorilievi e il cancelletto decorato, nonchè i chiostri della Chiesa del Carmine, che appena riesco a scorgere dalle recinzioni delle ristrutturazioni. Gettando qualche occhiata nel buchi della rete, si riesce a scorgere parte del portico, con le sue colonne dai capitelli fogliati incastonate nei pilastri. Così ampi spazi abbandonati e bellissimi, hanno quel fascino unico delle rovine, tanto ammirate e ritratte nell’Ottocento romantico: è evidente che certe emozioni non possono relegarsi a momenti o correnti, ma fanno parte dell’uomo, del suo rapporto con la storia e con l’estetica. Qui trovo via Angilberga: immediatamente il paesaggio urbano cambia, invecchia di colpo arretrando di secoli e raccontando quella storia antica della regina longobarda che volle la costruzione del monastero di San Sisto, dando vita ad una delle strutture religiose più potenti del territorio.


il voltone della casa torre di via angilberga visto da Bot

Ad introdurmi alla basilica si presenta la vecchia casa-torre medievale, traforata da un arcone che incanala il traffico locale. A destra, spicca il luminoso portale del porticato di San Sisto, inquadrato da due possenti colonne e un timpano con mascherone che incorniciano, in un infilata prospettica, il retrostante ingresso alla chiesa. La maestosità dell’edificio cinquecentesco non conserva memoria della fondazione longobarda, ma lascia comunque senza parole per l’equilibrio delle scelte architettoniche di Alessio Tramello. Sarà la giornata di sole che chiarifica le forme, saranno i colori caldi, ma mi sembra che in questo istante si possa respirare tutta l’armonia e l’eleganza del Rinascimento e di quella eredità che ha trascinato lungo i secoli successivi, con la rivoluzionaria idea di declinare la bellezza al verbo della razionalità. C’è un bel silenzio, non un’anima in giro. All’ombra del triportico osservo ritratti di abati ed imperatori, nonché facciata con le sue statue e i suoi mascheroni; la luce li colpisce violentemente e li fa più vivi, più espressivi. Si sta bene in questa frescura, sotto queste crociere antiche che incentivano i pensieri, tra oltre mille anni di storia: qui sono tra i Longobardi, che questo monastero nel IX secolo per volere della regina Angilberga (moglie di Lodovico il Pio) hanno eretto, e tra i monaci di Polirone, che nella prima metà XII secolo vi si insediarono. Sono tra le mura di uno dei monasteri più potenti della provincia, se non del nord Italia, e nonostante il contenuto apparato decorativo dell’esterno non voglia tradire l’effettivo peso politico e storico di questa struttura, l’interno non lascia spazio a modestie, con la preziosa volta a botte della navata centrale, le eleganti colonne, la cupola affrescata e il coro ligneo, meraviglioso esempio cinquecentesco di intarsio. Questo, in particolare, mostra tutto l’interesse rinascimentale per la visione prospettica e la progettazione, presentando una serie di scenari architettonici che richiamano gli esempi delle città ideali: edifici e porticati di una città forse inesistente, ma cristallizzata nella sua perfezione formale e spaziale. In questo bagno di preziosità, tra pittura, scultura e architettura, tra granito, stucchi e legno, due pensieri mi sorgono spontanei: uno va al monastero come luogo di cultura, di studio e di copiatura dei libri, cosa che certamente San Sisto fu, considerati i meravigliosi esempi di manoscritti visti nella recente mostra a Palazzo Farnese, l’altro va alla “grande assente”, il grande rammarico. Sto parlando ovviamente del capolavoro di Raffaello, la “Madonna Sistina” (1513), realizzata dal maestro per il monastero piacentino e venduta nel 1754 ad Federico Augusto II, ora alla Gemäldegalerie di Dresda.


antica reklame tedesca del 1899

Una grande perdita per il patrimonio artistico della città.. Ma mi piace immaginare che un giorno, come a Firenze, che da sempre reclama la Gioconda, potrò trovare scritto su qualche panchina del centro città: “Ridateci la Madonna Sistina”. Ma la storia, naturalmente, è diversa. (federica gennari – turistaincammino.com).