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il Quartiere Infrangibile

di Cesare Zilocchi
Nome curioso e origine Militare

Il comune di Sant’Antonio si estendeva dalle rive della Trebbia a Vallera e Pittolo, fino alle mura della città, entro le quali il comune di Piacenza era costretto fin dai tempi della Mairie napoleonica (1806). Alla destra, uscendo dalla porta di Sant’Antonio (oggi Barriera Torino), c’era il poligono d’artiglieria (‘l puligògn) che lo stesso Napoleone utilizzò per l’addestramento prima della battaglia di Lodi. Alla sinistra null’altro che i terreni coltivi dei fondi Casino e Pusterla. Dopo l’unità d’Italia il tragitto Piacenza-Sant’Antonio divenne la passeggiata fuori porta preferita dalle classi borghesi emergenti. All’osteria di Case di Rocco si davano appuntamento domenicale le carrozze di bottegai, artigiani, impiegati, con moglie e figlie da marito al seguito. Nella seconda metà del secolo XIX il Ministero della Guerra allocava le caserme ancora entro le mura della città-fortezza; solo a cavallo del ‘900 le fortificazioni fisse vennero superate. Sorsero lungo la via Emilia Pavese, di fronte al poligono (piazza d’armi) fabbriche militari di proiettili e polveri esplodenti. Nel 1923 - governo Mussolini - il comune di Sant’Antonio cessò di esistere e il suo territorio inglobato nel comune di Piacenza. Quando nel 1934 Piacenza si dotò del primo Piano Regolatore Generale della sua storia, l’area a destra della via Emilia, compresa tra la città antica e gli stabilimenti militari di cui sopra, venne destinata alla costruzione di case per i dipendenti degli stabilimenti medesimi. Nasceva così il quartiere caratteristico per il reticolo di strade ortogonali (chiamate curiosamente con nomi di località pavesi e piemontesi), per le casette basse circondate da orticelli e piccoli giardini che si estendono a sud fino a via Stradella e a est fino alla strada della Raffalda. Di lì a poco cominciarono a sferragliare i tram elettrici. Il numero tre faceva capolinea davanti ad uno dei radi edifici di rispettabili dimensioni, all’angolo di via Stradella (abbattuto or non è tanto), dove una insegna propagandava un laboratorio di bambole, bicchieri ed altre cose in materiale infrangibile (vale a dire di plastica). Mancando landmarks più significativi ci si accontentò di quello.


la via emilia pavese fuori barriera torino

Il tram inalberò la parola “Infrangibile” come indicatore del capolinea occidentale (l’altro era il cimitero urbano) e così l’intero quartiere fu battezzato per l’eterno: “Infrangibile”. I binari del tram correvano lungo la via Emilia, da non confondere quindi con l’altra strada ferrata di cui ancora oggi si vedono lacerti tra l’Arsenale militare (via XXIV Maggio), la ex Manifattura Tabacchi (Raffalda) e lo stabilimento militare “Pertite”. In parallelo con le abitazioni cresceva il bisogno di un luogo di culto. Come di solito si incominciò a pregare e celebrare in un locale d’emergenza. Il 6 gennaio 1938 fu istituita la delegazione vescovile per la cura del mezzo migliaio di anime residenti, affidate a don Ugo Groppi. L’acquisto dell’area arrivò solo nel dicembre 1951, la posa della prima pietra nell’aprile 1955. La chiesa, dedicata alla Sacra Famiglia, fu finalmente inaugurata il 29 maggio 1957 (parroco don Giuseppe De Micheli). Dirimpetto al tempio e alle pertinenze parrocchiali (oratorio e asilo) una vasta area verde - ora adibita a giardino pubblico - negli anni ‘50 e ‘60 vide le gesta della Folgore, la squadra di calcio di parte “guelfa” e della Garibaldina, avversaria di parte “ghibellina”. Sì, perché anche all’Infrangibile, dal ‘48 esisteva la Cooperativa, centro del contropotere politico e sociale. Non si può invero evocare il sanguigno modello guareschiano, a Piacenza (e all’Infrangibile) le passioni erano abbastanza tiepide. Dei politici formatisi all’ombra della Cooperativa popolare Infrangibile di via Alessandria ricordiamo almeno l’assessore ai lavori pubblici Luciano Beltrametti (vivente) e il consigliere comunale Albino Schiavi (defunto), entrambi del PCI. A chi volesse saperne di più si consiglia il volume curato da Angelo Orsi: Il Museo dei Poveri, 2006. Lungo la via Stradella, all’estremo occidentale del quartiere, s’incontrano due edifici scolastici. Più a sud, la scuola intitolata al grande matematico e patriota Angelo Genocchi. L’edificio risalente al 1910 è addirittura precedente alla aggregazione di quelle terre al comune di Piacenza e coevo dei primi insediamenti militari. Ospitò dapprima la regia scuola tecnico-professionale, poi la regia scuola secondaria di avviamento agrario (di cui fu preside il noto autore di canzoni maestro Concina), infine la scuola media dell’obbligo. Tale è ancora il suo impiego, anche se gli accorpamenti degli ultimi anni l’hanno condotta sotto la direzione didattica della scuola Don Milani (a sua volta ridedicata allo scrittore Italo Calvino). L’altro edificio scolastico è una scuola elementare intitolata ad Alcide De Gasperi, il capo del governo che guidò l’Italia negli anni difficilissimi del dopo guerra (1946-53). L’edificio è recente ma il sito ebbe precedenti impieghi come “scuola all’aperto” dell’Opera Nazionale Balilla.


veduta della via emilia pavese

Un quartiere tranquillo e di storia breve, segnato da un destino militare. Le pagine più famose, incise nel marmo, sono eventi luttuosi legati a questo marchio d’origine. Il 27 settembre del 1928, alle ore 15.45 saltò la caldaia del caricamento proiettili nel recinto della Pertite, non lontano dalla quella che allora veniva chiamata la seconda strada di circonvallazione. Cento chili di tritolo liquido esplosero provocando 13 morti e tre feriti gravi. La città fu investita da una scossa sorda come un tonfo, seguito dal tremito dei vetri. Poco al confronto di quanto sarebbe accaduto dodici anni dopo.


esplosione alla pertite dell'8 agosto 1940

Era l’8 agosto del 1940 quando saltò di nuovo il caricamento proiettili della Pertite. Gli scoppi furono due e i vetri delle case di città andarono in frantumi. Trentanove i morti (più un quarantesimo dichiarato testualmente(“irreperibile”) e cinquecento i feriti.
La notizia fu data dal giornale piacentino La Scure in seconda pagina, con una apertura a sole due colonne, come dispaccio dell’agenzia Stefani. L’Italia era in guerra, la prima pagina recava il motto “Il Duce ha sempre ragione”. Il titolone d’apertura magnificava l’avanzata delle truppe italiane nella Somalia britannica. Piangere i morti si doveva, ma senza deprimere il morale della Nazione. Paradossalmente quel giorno La Scure riportò in taglio basso di prima pagina lo scoppio di un treno carico di esplosivi nella stazioncina di Miramas presso Marsiglia, città della nemica Francia! Il giorno dopo, l’annuncio dei funerali fu fatto precedere da due confortanti annunci: “trecentosessanta feriti già tornati alle loro case, i macchinari risultano efficienti”. Ma sulla grande fossa comune, al cimitero, quel giorno piovve a dirotto.(testo dalla rivista l'Urtiga per gentile concessione di LIR edizioni).


ventennale della sacra famiglia