penna

Guglielmo Maiocchi

l'antiavvocato

Ci sono degli uomini che nella loro vita non hanno fatto niente, assolutamente niente, un niente con la enne maiuscola; eppure, anche dopo scomparsi, lasciano dietro di sè un'ombra di ricordo, non lunga ma insistente. Non c'e nessuna memoria, eppure la memoria dura; e basta uno scherzo, una parola, un raffronto perchè il loro nome si riaffacci alla ribalta. Tutta la loro vita sta in un aneddoto, in una celia famosa, di un duello da "siur Panera": ma da questo tratto, anche a distanza di decenni, la loro figura continua a prendere luce e rilievo. Non vivono soltanto le statue, ma anche le caricature.


Guglielmo Maiocchi (piacentino e vissuto a cavallo dei due secoli passati), avvocato senza cause, odiatore dei codici, miscredente della giustizia, ateo del Foro, rivive ancora e si illumina tutto nel breve giro di poche quartine che la memoria dei colleghi si tramanda di generazione in generazione. C'e bisogno di ricordare come nacquero?
Il compianto avvocato Giacomo Lanza lo aveva incaricato di portarsi all'udienza civile, e ottenere per lui dal presidente del Tribunale il rinvio di alcune cause. Maiocchi quel giorno doveva trovarsi in stato di grazia, perchè altrimenti non avrebbe accettato di varcare la soglia del palazzo di giustizia; o quanto meno, pure oltrepassandola, l'avrebbe come al solito riempita dei suoi tetri grugniti e delle sue invettive feroci. Abbiamo detto che era un miscredente, che nel tempio di Temi non vedeva che una tarlata impalcatura di teatro, dove si recitava quotidianamente la piccola commedia della giustizia. Invece, estro o non estro quel mattino riusci a trovare nella grigia aula il riso sonante di alcune quartine burlesche, e li per li raccontò in versi al suo mandante come era accaduto che avessero potuto rinviare le cause contro la fiera resistenza del presidente Buroni.

"Giusta tue brame, Giacomo,
tue cause ancor rinviai;
ma ad ottenerlo, credilo,
patir dovetti assai,
come l'ardente bulgaro
contro l'0diato osmano,
palle sparai su palle
contro il Buron, invano
con vieti luoghi e topici
tentò la resistenza:
Che le tue cause, vedilo,
sen vanno ad altra udienza."


L'antiavvocato, nel nome della poesia,
si era riconciliato per un momento colla procedura civile.
Ma la celia non poteva stare così in superficie,
e doveva ripiegare su un accento più grave e commosso:

"il presidente ignora
quanta filosofia
presiede all'opra umile
di quegli che rinvia;"


Per morire poi, amara e sconfortata, quasi in un singhiozzo:

"che è la vita, o Dio,
se non dell'ultim ora
il quotidian rinvio?"

Tutto Maiocchi oggi stà nel giuoco burlesco di queste poche strofe, alle quali ha raccomandato il suo ricordo. E per queste sopratutto chi l'ha conosciuto lo ricorda e lo vede. Dietro questa leggera guasconata poetica, chiusa e sigillata da un singhiozzo, c'e tutta la sua figura umana di Bohemien dell'intelligenza, ozioso, vano, spregiudicato. Avvocato, fece la caricatura di se stesso portando i fascicoli dei colleghi in Tribunale come un modesto commesso di studio.


portale del palazzo Landi sede del tribunale

Umanista profondo, si diede bel tempo insegnandole declinazioni latine agli studenti poltroni. Romantico e cavallottiano, portò la mascheratura dei grandi principi all'osteria e calcò sulla testa un berretto frigio davanti al mezzo litro della Montà di Rat. Fu un dandy a vent'anni per vestire gli stracci dei cinquanta. E trascinò la sua tetra figura di Don Chisciotte dello spirito tra lo sbadiglio e l'invettiva, tra lo sperpero e l'elemosina. Ebbe la vita più inutile e pittoresca che sia stata mai concessa a creatura umana. La sua ombra passa ancora in qualche crepuscolo, contro le vecchie pietre di via Borghetto, dinoccolata e spettrale. E' giusto che ci sia ancora chi la riconosca e la interroghi per averne in cambio un breve sorriso. (romolo moizo-la strenna piacentina anno XVI).