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le Gite Gastronomiche sulla Mitica Carlotta


un ricordo d'infanzia del "solit profesur"

Mio padre non prese mai la patente -le auto e i motori non lo interessavano- ma dover dipendere dagli altri non fu un problema dato che gli habitués della compagnia patentati non si contavano al vecchio Roma. Era allora consuetudine, specie nei lunghi pomeriggi autunnali, fare gite automobilistiche nei dintorni di Piacenza coronate invariabilmente da spuntini in qualche trattoria rinomata. Certe vecchie foto d'anteguerra mostrano papà in gita al Parco provinciale con amici e amiche.

Spesso si formavano gruppi numerosi di pëssgatt che a bordo di due o più automobili battevano le colline dell'Appennino piacentino e pavese tra il Penice e il Brallo alla ricerca degli antichi sapori. Talvolta se il gruppo era più ristretto, trovava posto su una sola auto, la gloriosa Carlotta di Gino Sormani sempre a disposizione per queste uscite. Si trattava di una vecchia Bianchi degli anni 30, che già allora era considerata una rarità d'epoca e suscitava la curiosità della gente al suo passaggio. Aveva un volante durissimo con uno sterzo impossibile che solo la perizia del Gino sapeva manovrare senza incertezze. L'interno era in cuoio marrone con i sedili anteriori e posteriori interi e nell'ampio spazio di mezzo era dotata di due seggiolini supplementari ripiegabili. In essa potevano prendere posto comodamente almeno otto persone.


la mitica Carlotta

Su questa macchina straordinaria che oggi farebbe gola ai collezionisti feci le mie prime esperienze di passeggero. Per tutta la prima metà degli anni cinquanta essa fu utilizzata per ogni sorta di escursioni dando sempre un rendimento più che soddisfacente. Il Sormani, che abitava in via San Giovanni, pare fosse stato uno dei primi piacentini a prendere la patente. Aveva la rappresentanza della Bianchi, e un'officina meccanica dalle parti di via San Bortolomeo. Ci capitai una volta e mi colpì il fatto che tenesse lì per guardia una coppia di cani lupo pastori tedeschi. Avrebbe anzi voluto regalarmi un cucciolo quando la femmina partorì ma mia madre si oppose strenuamente nonostante le mie proteste.

Gino era quasi parente nostro, essendo legato a zia Mariuccia da una lunga amicizia sentimentale non saprei come definirla in altro modo. I due maturi innamorati erano discretissimi ma tutti sapevano del loro legame. Gino era però uno spirito libero, uno scapolone che non intendeva farsi prendere al laccio da nessuna femmina. Quanto a zia Mariuccia lei non pretendeva nulla da lui e così andavano d'amore e d'accordo. Era consuetudine dunque che mio padre e zia Mariuccia di pomeriggio, -specie nei periodi morti dell'attività alberghiera che coincidevano con i mesi invernali o la primavera- facessero piccole gite in provincia o in Oltrepò con il loro gruppo di amici.

Oltre a Gino Sormani di solito lo componevano Gigion Canevari, zio Natale (quando ancora non era sposato e fungeva da chef in seconda), zio Gino Bassi (almeno finché non ebbe la grave crisi cardiaca che doveva cambiare la sua vita), Paganelu, il cognato di Oswaldo Bot, Vanettu Ferrari, Gigion Buttafava, che aveva negozio di fabbro dalle parti di via X Giugno, e altri pëssgatt che occasionalmente mettevano a disposizione le loro auto come Lambertini, Tirelli o Cecco Metti. Tra essi va pure ricordato Renato Ferrari, (detto scherzosamente Tino Scotti per una lontana somiglianza con l'attore meneghino) titolare della cantina "Quattro Valli", che periodicamente si recava a Montù per acquistare vino. Anche "Gion" Civardi detto, chissà perché, il "Messicano" e Turino Guastoni venivano talvolta; il primo con qualche sua sgangherata automobile (sebbene preferisse usare quelle degli altri), il secondo quando riusciva a sfuggire alla rigida sorveglianza della moglie Cina. Ma di regola, per queste sortite. si utilizzava la capiente Carlotta di Sormani. Anch'io spesso partecipavo quando era presente zia Mariuccia. Data la mia magrezza mi sistemavano su un piccolo sgabello di legno tra i due seggiolini ripiegabili. A bordo della Carlotta visitammo ogni località della provincia spingendoci fin nelle più impervie zone dell'Appenino.Ogni volta il copione era più o meno questo: individuato un luogo promettente, assurto a recente fama per i prodotti o per le lodi tessute da altri amici, si approntava la vettura e si partiva.


comitiva di amici in gita al parco provinciale

Gino e compagnia erano instancabili degustatori di prelibatezze nostrane e non cera angolo, per quanto remoto, che essi non avessero visitato. Dai loro frequenti accenni so ad esempio che una delle loro mete favorite era una trattoria in località Sette Sorelle dove si poteva gustare un ottimo salame con la "guta".

Un pomeriggio d'inverno ci trovavamo sulla Carlotta diretti a Ruino in val Tidone, ove dicevano ci fosse un’osteria che aveva dei salumi straordinari. Mio padre quel giorno non c'era. Per qualche ragione partimmo tardi e presto cominciò a nevicare ma nessuno disse quel che sarebbe stato ovvio, ossia tornare indietro e rinunciare per quel giorno alla gita. Quei gaudenti invece non fecero una piega e continuammo il viaggio mentre il manto nevoso assumeva una consistenza inquietante. Finì che il paesaggio venne in breve completamente trasformato così che ci ritrovammo ad un certo punto su quelle alte colline senza più riuscire ad orientarci nonostante Gino fosse un esperto conoscitore della zona. La neve aveva coperto ogni possibile indicazione, ormai si era all'imbrunire e faceva piuttosto freddo. Zia Mariuccia fece capire che era bene tornare ma Gino era testardo e continuò ad andare avanti dato che la valente Carlotta, non sembrava risentire del manto sdrucciolevole e procedeva sicura. Ad un certo punto individuammo in lontananza un piccolo centro abitato sul cucuzzolo di un'altura, vi giungemmo poco dopo e scoprimmo che invece di Ruino eravamo approdati a Canevino. Gino non fece una piega, sceso dall'auto chiese se c'era una buona trattoria nei dintorni, gliela indicarono e ci recammo tutti lì. Era un locale modesto ma ben riscaldato da una capace stufa e sembrava possedere le caratteristiche giuste per quei ghiottoni. Annesso alla misera osteria cera un negozietto pieno d'ogni ben di Dio: formaggi, cacciatorini, ciccioli, mortadelle adagiati sul rozzo bancone tra l'affettatrice e un cestone colmo di un nero pane casalingo. Inoltre per la gioia dei nostri gitanti una selva di salami, coppe, pancette, prosciutti e culatelli pendevano invitanti dal basso soffitto. "Al va propi bein par noi" dissero tutti con aria soddisfatta e poco dopo eravamo seduti a una tavola coperta da una incerata a fiori rossi e gialli con delle scodelle di un vino rosso anonimo ma generoso. Alla fine della merenda su ogni piatto c'erano grandi mucchi di pelli, segno che il salame e la coppa avevano incontrato il favore degli amici. Gino poi aveva ordinato anche della robiola coi "begh saltarein"che venivano raccolti col pane mentre tentavano la fuga e divorati insieme al formaggio. Io che ho sempre avuto allergia per quasi tutti i tipi di formaggio esistenti inorridii a quella vista e venni bellamente preso in giro e compatito da quegli sbafatori."Te, smurciòn, at sé mia sa vô di mangé bein", mi disse il Gino che mi considerava un ragazzino viziato e un po schizzinoso.


gino sormani in una foto giovanile

Un giorno che io non ero andato capitò che la Carlotta per un momento di fatale distrazione del Gino, uscisse di strada capovolgendosi. Per fortuna nessuno si fece male, neppure la vettura ebbe seri danni, ma mio cugino Giancarlo, allora cinquenne, era a bordo con zia Mariuccia e ne ebbe un tale spavento che per alcuni anni si rifiutò di metter piede su un'auto.
Pure a Pisa, nei primi anni '50, andavamo con la Carlotta del Gino. Del primo viaggio, che fu poi seguito da innumerevoli altri, ricordo un episodio che mi emozionò alquanto. Allora non esistevano autostrade e per scendere in Toscana bisognava superare gli impervi Appennini attraverso il tortuoso Passo della Cisa, seguendo un ripido percorso con innumerevoli tornanti, curve e bruschi strappi che obbligavano l'auto a continui cambi di marcia. Il motore della vecchia Bianchi fu messo a dura prova ma si comportò benissimo. Ad un certo momento però la nostra vetusta vettura venne affiancata e superata da una Topolino con una manovra spericolata che irritò alquanto il Sormani, uomo buonissimo ma dal carattere suscettibile. Ebbe inizio allora una vera e propria gara in cui la Carlotta si misurò duramente con l'altra macchina. Le due vetture si superavano continuamente con sorpassi azzardati che ci facevano provare brividi di spavento. Zia Mariuccia cominciò a lamentarsi con il fidanzato di lasciar perdere ma Gino al solito era testardo e non voleva mollare l'inseguimento. A un certo punto raggiungemmo la Topolino ferma ad un passaggio a livello, ma Gino aveva adocchiato un sovrappasso laterale che scavalcava il casello: era un sentiero ripido e stretto che lui imboccò senza pensarci due volte aggirando l'ostacolo e lasciando con un palmo di naso l'altro autista.

Innumerevoli furono le uscite che i pèssgatt del Roma fecero sulla vecchia Carlotta, tanto che il Gino, d'accordo con mio padre, finì per lasciarla stabilmente nel cortile del Roma. Era la vettura delle emergenze e continuò ad esserlo ancora per molto tempo. Poi Gino finì per trascurarla alquanto sebbene si rifiutasse di acquistare altre vetture più moderne. Lui, già avanti con gli anni, cominciò a perder colpi come il vecchio motore della sua Carlotta. La batteria non venne sostituita per tempo e l'auto rimase a lungo immobilizzata in attesa che quel bell'originale del suo padrone si decidesse a cambiarla. Finì per diventare l’alloggio estivo del vecchio Torelli, un nostro antico cameriere, quando fuggiva dall'Ospizio per approdare al Roma. Nel ’55, quando il Roma chiuse i battenti, il Sormani la riportò nella sua officina dove probabilmente rimase fino alla sua tragica scomparsa il 20 marzo del 1966. Quel giorno fatale il Sormani era andato con gli amici a una delle tante colazioni in un ristorante della provincia. Uscendo sopra pensiero o coi riflessi forse un po appannati a causa del pranzo e delle probabili abbondanti libagioni, Gino commise un'imprudenza imperdonabile attraversando la strada dietro a una corriera in sosta senza avvedersi che sopraggiungeva a forte velocità una vettura che lo investì in pieno scaraventandolo alcuni metri più in là in un fossato. Fu una fine terribile ma in carattere per un personaggio come lui che ai motori e alle auto aveva consacrato la sua vita. (di giorgio vecchi).