dal Bottegone al Roma
di giorgio vecchi
Quasi più nessuno a Piacenza ricorda il caffè-ristorante Bottegone. Era situato in una delle case poste nella Piazzetta Grida, dietro a Piazza Cavalli, poco oltre i locali dellex Banco di Roma, presso lo storico negozio di Guffanti che vendeva tappi e altri materiali per imbottigliare. Negli anni sessanta era ancora possibile rintracciarne l'esatta ubicazione. L'edificio che lo ospitava aveva cambiato nome ma non attività, un'insegna infatti recitava Caffè Romagnosi e, più sotto, già Bottegone.
Nel 1929 mio padre tornò a Piacenza dopo due anni passati in Sicilia come barman presso il prestigioso Lido di Mondello. Coi buoni guadagni ottenuti prese in gestione in società coi fratelli maggiori Angelo e Giovanni, l'allora ristorante Bottegone. Una sbiadita foto del 1931 lo ritrae davanti al vecchio locale -metà caffè metà ristorante- insieme a uno sconosciuto cliente. In un'altra foto del medesimo periodo vediamo immortalati di fronte al Bottegone, sul gradino del lampione prossimo al cavallo di Ranuzio, zio Egidio, zia Maria (moglie di zio Giovanni) insieme alla cognata Rosa e allamico Gianni Ambrogi che era allora un assiduo frequentatore del locale. Fu proprio al Bottegone che zio Egidio, il minore dei fratelli Vecchi, mosse i primi passi come aiutante cuoco. Zia Rosa, una delle giovani sorelle di papà, dava una mano nel locale e si avvicendava alla cassa con la cognata Maria.
veduta del ristorante bottegone
Il Bottegone fu il covo, nella prima metà degli anni 30, di un nutrito gruppo di avventori che amavano fare vita di caffè giocando a carte e spettegolando su fatti e misfatti della città. Erano persone appartenenti a ceti alquanto compositi: piccoli borghesi benestanti, impiegati, professionisti, bottegai, negozianti, umili operai. Era il nucleo primario di quella che più tardi sarebbe stata la clientela dei pëssgatt al vecchio Roma. Costoro trascorrevano i loro momenti di libertà riunendosi in quel locale che s'affacciava su piazza Cavalli ed era un po' una vetrina privilegiata da dove percorrere con l'occhio il movimento della Piazza -che nei giorni di mercato si riempiva di ogni sorta di venditori e curiosi- e quello del Corso, gremito di passanti durante le pomeridiane passeggiate "prima di cena".
Mio padre soleva raccontarmi qualche divertente episodio accaduto tra le sue mura. Una mattina un cliente seduto ad uno dei tavoli interni chiacchierava con un amico, era giorno di mercato e il viavai degli avventori notevole. Ad un tratto si udì un forte trambusto e il cliente in questione fu visto afferrare per il bavero un giovane male in arnese che si era seduto di lato a lui fingendo di sfogliare l'edizione giornaliera della "Scure". Era un borsaiolo di professione che fu ammanettato seduta stante tra lo sbigottimento dei presenti. Il disgraziato aveva scelto davvero male la sua vittima: si trattava di un funzionario di polizia. Un altro giorno i frequentatori del locale fecero una marcia per piazza Cavalli agli ordini nientemeno che di Re Vittorio Emanuele III ! In realtà si trattava di un ometto che aveva una forte somiglianza col monarca e ci teneva ad esibirla. Così gli amici lo elessero per un pomeriggio loro condottiero e sfilarono per il centro ai suoi ordini. Si fingevano soldati inquadrati militarmente e per l'occasione si erano muniti di scope di saggina e bastoni, sicuramente forniti dal Bottegone, che brandivano come fossero fucili. Mia madre, allora poco più che ventenne, abitava dall'altra parte della Piazza -in una delle case sull'angolo con via Sopramuro che furono poco dopo demolite per far posto ai portici del Secondo Lotto- e ricordava perfettamente quella strana processione che la fece ridere di cuore insieme alla madre e alla più giovane sorella Mariuccia.
Nel 1929 mio padre tornò a Piacenza dopo due anni passati in Sicilia come barman presso il prestigioso Lido di Mondello. Coi buoni guadagni ottenuti prese in gestione in società coi fratelli maggiori Angelo e Giovanni, l'allora ristorante Bottegone. Una sbiadita foto del 1931 lo ritrae davanti al vecchio locale -metà caffè metà ristorante- insieme a uno sconosciuto cliente. In un'altra foto del medesimo periodo vediamo immortalati di fronte al Bottegone, sul gradino del lampione prossimo al cavallo di Ranuzio, zio Egidio, zia Maria (moglie di zio Giovanni) insieme alla cognata Rosa e allamico Gianni Ambrogi che era allora un assiduo frequentatore del locale. Fu proprio al Bottegone che zio Egidio, il minore dei fratelli Vecchi, mosse i primi passi come aiutante cuoco. Zia Rosa, una delle giovani sorelle di papà, dava una mano nel locale e si avvicendava alla cassa con la cognata Maria.

veduta del ristorante bottegone
Il Bottegone fu il covo, nella prima metà degli anni 30, di un nutrito gruppo di avventori che amavano fare vita di caffè giocando a carte e spettegolando su fatti e misfatti della città. Erano persone appartenenti a ceti alquanto compositi: piccoli borghesi benestanti, impiegati, professionisti, bottegai, negozianti, umili operai. Era il nucleo primario di quella che più tardi sarebbe stata la clientela dei pëssgatt al vecchio Roma. Costoro trascorrevano i loro momenti di libertà riunendosi in quel locale che s'affacciava su piazza Cavalli ed era un po' una vetrina privilegiata da dove percorrere con l'occhio il movimento della Piazza -che nei giorni di mercato si riempiva di ogni sorta di venditori e curiosi- e quello del Corso, gremito di passanti durante le pomeridiane passeggiate "prima di cena".
Mio padre soleva raccontarmi qualche divertente episodio accaduto tra le sue mura. Una mattina un cliente seduto ad uno dei tavoli interni chiacchierava con un amico, era giorno di mercato e il viavai degli avventori notevole. Ad un tratto si udì un forte trambusto e il cliente in questione fu visto afferrare per il bavero un giovane male in arnese che si era seduto di lato a lui fingendo di sfogliare l'edizione giornaliera della "Scure". Era un borsaiolo di professione che fu ammanettato seduta stante tra lo sbigottimento dei presenti. Il disgraziato aveva scelto davvero male la sua vittima: si trattava di un funzionario di polizia. Un altro giorno i frequentatori del locale fecero una marcia per piazza Cavalli agli ordini nientemeno che di Re Vittorio Emanuele III ! In realtà si trattava di un ometto che aveva una forte somiglianza col monarca e ci teneva ad esibirla. Così gli amici lo elessero per un pomeriggio loro condottiero e sfilarono per il centro ai suoi ordini. Si fingevano soldati inquadrati militarmente e per l'occasione si erano muniti di scope di saggina e bastoni, sicuramente forniti dal Bottegone, che brandivano come fossero fucili. Mia madre, allora poco più che ventenne, abitava dall'altra parte della Piazza -in una delle case sull'angolo con via Sopramuro che furono poco dopo demolite per far posto ai portici del Secondo Lotto- e ricordava perfettamente quella strana processione che la fece ridere di cuore insieme alla madre e alla più giovane sorella Mariuccia.

pubblicità dei locali gestiti dai fratelli vecchi
Il Bottegone era inoltre la meta abituale di molti amanti della lirica, per lo più loggionisti arrabbiati, che durante la stagione operistica, dopo la recita notturna, si ritrovavano nel locale per commentare la qualità delle rappresentazioni e consumarvi una pastasciutta nottambula. Papà mi parlava di un mitico cuoco, totalmente sordo, che avevano allora, un certo Pipotto originario di Borgonovo, che si prodigava in cucina per accontentare tutta la numerosa combriccola. Pare che in più di un'occasione le pastasciutte distribuite in una sola notte superassero le cento unità.
Uno dei frequentatori abituali del locale era Luigi Tinelli, detto Nano, fratello maggiore di mia madre. Secondo zia Rosa, che lo ricordava bene, era un giovanotto tranquillo ed educato che perdeva un poco del suo aplomb solo quando beveva. Purtroppo c'era chi si divertiva a farlo bere per vederlo dare in smanie e ridere alle sue spalle. Certo per il mio giovane zio, ignaro della crudele sorte che lo attendeva in terra dAfrica, bere rappresentava forse un sorta di compensazione dai dolori di una vita grama. Faceva l'autista in ciò seguendo la tradizione famigliare ma la florida azienda di trasporti automobilistici dei Tinelli ormai non esisteva più, travolta alla fine degli anni 20 da un tracollo reso ancor più drammatico dalla morte dei titolari. A pochi mesi di distanza, nel 1927, scomparvero infatti sia suo nonno Adamo, -gestore insieme al fratello della prima tramvia a cavalli che ebbe Piacenza-, che il padre Giacinto stroncato a soli 48 anni da una trombosi. Fu sicuramente per tramite di Nano Tinelli che mio padre conobbe la di lui sorella Bruna e se ne invaghì.
Uno dei frequentatori abituali del locale era Luigi Tinelli, detto Nano, fratello maggiore di mia madre. Secondo zia Rosa, che lo ricordava bene, era un giovanotto tranquillo ed educato che perdeva un poco del suo aplomb solo quando beveva. Purtroppo c'era chi si divertiva a farlo bere per vederlo dare in smanie e ridere alle sue spalle. Certo per il mio giovane zio, ignaro della crudele sorte che lo attendeva in terra dAfrica, bere rappresentava forse un sorta di compensazione dai dolori di una vita grama. Faceva l'autista in ciò seguendo la tradizione famigliare ma la florida azienda di trasporti automobilistici dei Tinelli ormai non esisteva più, travolta alla fine degli anni 20 da un tracollo reso ancor più drammatico dalla morte dei titolari. A pochi mesi di distanza, nel 1927, scomparvero infatti sia suo nonno Adamo, -gestore insieme al fratello della prima tramvia a cavalli che ebbe Piacenza-, che il padre Giacinto stroncato a soli 48 anni da una trombosi. Fu sicuramente per tramite di Nano Tinelli che mio padre conobbe la di lui sorella Bruna e se ne invaghì.

la vettura dei tinelli alla stazione
Al Roma papà approdò alla fine del 1931 e buona parte della clientela del Bottegone lo seguì nel nuovo locale. Ecco come andarono le cose. Dopo la gestione Castaldi la famiglia Maserati, proprietaria del vecchio fabbricato di via Cittadella, tentò di subentrare nella conduzione dell'albergo, ma le sorelle erano inesperte e poco concordi sul da farsi e così papà ebbe la sua grande occasione. Fu steso un contratto tra i tre fratelli Vecchi e le sorelle Maserati che prevedeva l'affitto dell'immobile e, per una somma non indifferente, il ritiro delle dotazioni e della mobilia dell'albergo. Per un certo periodo i Vecchi gestirono dunque congiuntamente tanto il Bottegone che il Roma.
Nel 1934 la società che i tre fratelli avevano costituito tra loro fu sciolta e mio padre rimase unico gestore dell'hotel lasciando il Bottegone al fratello Angelo mentre l'altro fratello Giovanni, coi denari ottenuti dalla sua liquidazione, assumeva la gestione del Cavour, un altro storico caffè cittadino, dove sarebbe rimasto per oltre trentacinque anni fino alla morte. Zio Angelo rimase invece poco tempo nel Bottegone, non era molto portato per quel tipo di attività, lui era certamente più brillante nelle pubbliche relazioni. Amico, come sappiamo, di pittori e artisti locali amava raccogliere quadri e oggetti di pregio. Della sua amicizia con l'estroso Bot ci è rimasta, tra le altre cose, la famosa serie di etichette preparate dal pittore e celebranti i vini dellOltrepò che venivano bevuti dai clienti del Bottegone e più tardi da quelli del Roma.
Nel 1934 la società che i tre fratelli avevano costituito tra loro fu sciolta e mio padre rimase unico gestore dell'hotel lasciando il Bottegone al fratello Angelo mentre l'altro fratello Giovanni, coi denari ottenuti dalla sua liquidazione, assumeva la gestione del Cavour, un altro storico caffè cittadino, dove sarebbe rimasto per oltre trentacinque anni fino alla morte. Zio Angelo rimase invece poco tempo nel Bottegone, non era molto portato per quel tipo di attività, lui era certamente più brillante nelle pubbliche relazioni. Amico, come sappiamo, di pittori e artisti locali amava raccogliere quadri e oggetti di pregio. Della sua amicizia con l'estroso Bot ci è rimasta, tra le altre cose, la famosa serie di etichette preparate dal pittore e celebranti i vini dellOltrepò che venivano bevuti dai clienti del Bottegone e più tardi da quelli del Roma.

etichetta vino disegnata da Bot
Così zio Angelo decise di cedere il Bottegone, la cui conduzione, ora che era rimasto solo, gli pesava alquanto. Anche la moglie Piera non si trovava a suo agio nel vecchio locale. Lei veniva da una famiglia montuese di agricoltori e produttori di vini e in città soffriva di nostalgia per il suo Oltrepò. Gli zii si ritirarono in campagna nella casa di Montù Beccaria che zio Angelo aveva allestito e ben sistemato. Era una casa modesta ma di un innegabile fascino, piena di libri e testimonianze della sua infaticabile attività di raccoglitore e collezionista di belle cose.
Zio si era però ritirato dagli affari solo per modo di dire poiché seguitò ad esercitare ancora per parecchio una sorta di tutela da fratello maggiore nei confronti di papà. Di tanto in tanto lasciava il paese e tornava al Roma dandosi arie da padrone del vapore, ma più che lavorare gli piaceva dirigere. Nell'aprile del 1935 il giornalista Elémo DAvila in visita alla nostra città ne parla in un articolo apparso sul giornale di Cuneo, la "Sentinella d'Italia", descrivendolo come illuminato conduttore d'hotel e lodandone la cultura e il buon gusto. Era un uomo intelligente che sapeva affascinare e incantare le persone. Rimase ancora per vari anni intestatario della licenza del Roma finché dopo la guerra, con atto stipulato presso l'amico notaio Telfner, la faccenda venne definitivamente regolarizzata e mio padre divenne il solo ed unico gestore dell'hotel. A guadagnarci fu mio zio che ne ricavò una discreta sommetta a titolo di liquidazione definitiva.
Zio si era però ritirato dagli affari solo per modo di dire poiché seguitò ad esercitare ancora per parecchio una sorta di tutela da fratello maggiore nei confronti di papà. Di tanto in tanto lasciava il paese e tornava al Roma dandosi arie da padrone del vapore, ma più che lavorare gli piaceva dirigere. Nell'aprile del 1935 il giornalista Elémo DAvila in visita alla nostra città ne parla in un articolo apparso sul giornale di Cuneo, la "Sentinella d'Italia", descrivendolo come illuminato conduttore d'hotel e lodandone la cultura e il buon gusto. Era un uomo intelligente che sapeva affascinare e incantare le persone. Rimase ancora per vari anni intestatario della licenza del Roma finché dopo la guerra, con atto stipulato presso l'amico notaio Telfner, la faccenda venne definitivamente regolarizzata e mio padre divenne il solo ed unico gestore dell'hotel. A guadagnarci fu mio zio che ne ricavò una discreta sommetta a titolo di liquidazione definitiva.

gli zii maria e giovanni davanti al bar cavour
Ignoro cosa successe al Bottegone dopo l'uscita della famiglia ma sicuramente la sua breve stagione come celebrato ristorante notturno era finita. So che fu sede volante per alcuni anni del giornale "La Settimana", che usciva di lunedì quando "Libertà" non era nelle edicole per il turno di riposo. Il suo proprietario e direttore factotum era Guido Fresco, curioso giornalista e altro pittoresco personaggio di spicco nella Piacenza d'allora.
Tornando al Bottegone credo che i nuovi gestori limitassero l'attività alla sola caffetteria. In seguito, come ho gia ricordato, con il nome di Romagnosi si trasformò in un popolare caffè frequentato soprattutto da persone abitanti nelle adiacenze della industriosa e alacre via Calzolai. (al solit profesur).
Tornando al Bottegone credo che i nuovi gestori limitassero l'attività alla sola caffetteria. In seguito, come ho gia ricordato, con il nome di Romagnosi si trasformò in un popolare caffè frequentato soprattutto da persone abitanti nelle adiacenze della industriosa e alacre via Calzolai. (al solit profesur).