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Piacenza una Colonia di Roma

Ufficialmente, Piacenza fu fondata nel 216 a.Cr. da 6000 coloni Romani in parte legionari veterani, in parte civili appartenenti alla classe media, gli “Equites” (un altro gruppo di pari consistenza nello stesso anno fondò Cremona) I particolari non li conosciamo. A Roma forse esistettero documenti scritti in merito alla decisione del Senato di fondare le due colonie, e rapporti sul loro andamento negli anni e nei decenni successivi, ma nulla ci è pervenuto. Anche a Piacenza stessa, ad un certo punto, dovette sorgere un archivio dove venivano catalogati e custoditi documenti concernenti la vita politica ed economica locale. Neanche questi ci solo pervenuti. Nemmeno gli antichi storici che citano Piacenza ebbero la possibilità di basare il loro lavoro sulla consultazione di documenti scritti, che erano già andati perduti. In effetti, questi storici vissero in epoca decisamente posteriore, e basarono le loro notizie su quanto un Romano ben acculturato comunemente sapeva, per tramandarle ai posteri. Bene, spero che nessuno sia così ingenuo da pensare che 6000 Romani, con famiglia al seguito, se ne siano andati a zonzo in gita turistica per la pianura padana, appena sottomessa a Roma, (ma solo a Sud del Po), e tutt'ora infestata da bande riottose provenienti dall'Appennino e dalla riva sinistra del grande fiume, in cerca di bottino! E che arrivati alla foce della Trebbia abbiano esclamato: “che bel posto é questo! Fermiamoci qui, e fondiamo una città!”.


resti di tipico insediamento romano

In realtà la cosa era stata da tempo accuratamente pianificata.Da decenni il sito abitato di Placentia veniva tenuto d'occhio da Roma. Diversi, fra i mercanti etruschi che lo frequentavano, non erano semplici mercanti, ma una volta tornati nel Lazio, riferivano ai Romani tutto quello che avevano visto e sentito. Conformazione geografica, la Trebbia, il Po e il suo guado, edifici e loro numero, abitanti stabili e loro etnia, frequentatori abituali e non, opportunità di approvvigionamento, eventuale presenza di elementi armati ostili ai Romani, tipologia delle merci in transito, e così via. Negli ultimi tempi il luogo pullulava di esploratori romani veri, che sotto mentite spoglie controllavano la veridicità delle informazioni già in loro possesso. Quindi a Roma, la foce della Trebbia e il suo insediamento commerciale erano già stati da tempo catalogati come di primaria importanza strategica e di agevole impianto di una colonia armata, un “Castrum” utile per tenere sotto controllo le inquiete popolazioni galliche della pianura cisalpina, e per maggior sicurezza era previsto l'impianto di un secondo “castrum” sulla sponda opposta, quasi di fronte: la futura Cremona. Una ulteriore scorreria di bande galliche in Toscana e Lazio del 225 a.Cr. fermata appena in tempo subito prima che attaccassero direttamente l'Urbe, determinò la decisione definitiva del Senato. I coloni partirono, conoscendo perfettamente la loro destinazione e cosa avrebbero dovuto fare sul posto, appena arrivati. 6000 coloni, dicono gli storici, ma non ci dicono chi fossero, salvo una parte di veterani da compensare con terre per il loro lungo servizio, e una parte di “Equites”. Costoro erano civili? Non lo sappiamo. Veterani ed equites si portavano dietro le loro famiglie, i loro servi? Compresi nel numero citato oppure extra? Non lo sappiamo. Possiamo solo ipotizzare: 6000 è anche il numero classico di soldati di una Legione. Quindi, a fondare la nuova colonia fu inviata una intera Legione di Veterani? O mista di Veterani e reclute (gli Equites)? Era la Legione Tebea? E' probabile, così come è probabile che si portassero dietro gli ausiliari, diciamo almeno altre 4000 persone, poi rimandati a casa, ma non le famiglie. Dopo tutto si andava in un territorio ancora lontano dall'essere completamente pacificato. Le famiglie sarebbero arrivate in un secondo tempo, debitamente scortate. Ossia quando l'accampamento iniziale classico della Legione, fatto di tende, e circondato da palizzata fossato e vallo, si fosse trasformato in qualcosa di più stanziale, con case di legno a sostituire le tende, case individuali e non più da dividere con i commilitoni. E comunque il ricongiungimento familiare non si verificò prima della fine della seconda guerra punica, o almeno non prima che Annibale avesse lasciato l'Italia per andare a difendere la sua patria, ora direttamente minacciata dai Romani. Nel frattempo, a Placentia cominciò l'assegnazione ai singoli coloni degli appezzamenti di terra, di estensione più o meno uguale, nel territorio circostante alla città (centuriazione del territorio, visibile ancora oggi, specie nelle fotografie aeree). Questi appezzamenti, sarebbero diventati di esclusiva proprietà degli assegnatari, che disboscandoli e coltivandoli, avrebbero dovuto in futuro trarre da essi il sostentamento proprio e delle loro famiglie. E i precedenti abitanti ? O scapparono all'arrivo dei Romani, che si impossessarono di quello che trovarono, o raggiunsero con i nuovi venuti un qualche tipo di accordo, probabilmente accettando di rifornirli fino alla loro autosufficienza. E' più probabile.


mappa antica

Nel giro di un secolo, i coloni romani di Placentia (dove case e palazzi e templi erano ormai in muratura, ed erano state costruite le terme, e poi il teatro) modificarono radicalmente l'ambiente circostante la città, dal Po fino ai piedi delle colline, e tale modifica fu irreversibile. Per quanto riguarda il Po, un ramo del Trebbia, che dopo aver lambito la città, sfociava nel grande fiume ad Ovest di questa, fu drenato, scavato e ingrandito, e ne fu ricavato un porto-canale navigabile dalle chiatte provenienti dal Po e perfino da navi di piccolo tonnellaggio. I moli, con relativi magazzini, dovevano trovarsi in faccia al teatro, dove oggi sorge Palazzo Farnese. Per quanto riguarda la pianura, la primieva foresta pluviale era quasi del tutto scomparsa, con tutti i suoi acquitrini e paludi, sostituita da una ordinata scacchiera di campi ben coltivati, divisi da siepi di alberi che gli stessi coloni avevano piantato; un po' come si presenta anche oggi. La città fu anche cinta di solide mura, ma erano ormai in pochi i discendenti dei 6000 coloni iniziali, molti dei quali vivevano ora in case coloniche sul proprio appezzamento di terra. In compenso molti nuovi piacentini erano arrivati e si erano stabiliti a Placentia. Però diversi patrizi avevano preferito farsi costruire delle ville, appena fuori dalle mura, per sottrarsi alla confusione del popolino e – diciamolo – alla sua puzza. Ma abbastanza vicino per essere protetti dalla milizia della città. In una di queste ville, forse proprio quella le cui fondazioni sono state rinvenute nei pressi del canale della fame, in occasione dei lavori per costruire la tangenziale, in una di queste ville, secoli dopo, nel 476 d.Cr. Odoacre Re degli Eruli, tribù germanica, uccise Flavio Oreste tutore di Romolo Augusto, ultimo Imperatore di Roma, che fu deposto. Fu la fine dell'Impero romano di Occidente (almeno per convenzione storica: in realtà era già finito nella pratica da almeno 50 anni). Cominciò il Medio Evo, e Piacenza era ormai solo la larva di quello che era stata nei suoi primi 400 anni di storia. Aureliano Ambrosio da Treviri, in viaggio da Roma verso Milano per esservi consacrato Vescovo (è di Sant'Ambrogio che stiamo parlando) passò per Placentia, e nel suo diario di viaggio manifestò tutto il suo sgomento per lo stato in cui era ridotta una città considerata un tempo “pulcherrima”. Ma era destino che questa città non scomparisse, come invece accadde ad altre. Qui il mio racconto fantastico finisce, per fare spazio alla Storia. (dott. Giulio Zanelli).