penna

un Assalto al Bordello di via Croce

di giorgio vecchi


"E va bene, se proprio siete decisi, facciamolo!" sbottai. Mi ero stufato di sentire ultimamente dai compagni la solita solfa sulla necessità di dar corso a un nostro recente progetto: un'audace incursione in una delle case di tolleranza cittadine. Si era, credo, nell'autunno del 1955, e le case di quel tipo prosperavano a Piacenza come in cento altre località italiane. Mancava però poco alla loro chiusura che sarebbe avvenuta nel 1959 con la cosiddetta legge Merlin. Noi ragazzi, in preda ai primi pruriti erotici, avevamo preso l'abitudine certi pomeriggi autunnali, dopo aver fatto i compiti, quando la nebbia calava sulla città, di fare un salto dalle parti di cantone Buffalari o in via della Filanda dove c'era il famoso postribolo chiamato chissà perché Argentina, a spiare chi entrava in quei luoghi di peccato che ci attraevano irresistibilmente. A scuola non si parlava d'altro, frequentavamo da poco la seconda media alla scuola Manzoni ma ci davamo le arie di giovanotti navigati usando un linguaggio scurrile denso di sottintesi. Circolavano in classe certi giornalacci sconci e qualche volumetto dedicato ai piaceri del sesso che scorrevamo avidamente. Io avevo scoperto tra i libri regalatimi da Giuseppe Torelli, (l'anziano ex cameriere che spesso fuggiva dall'Ospizio Maruffi, dove trascorreva gli ultimi anni, per rifugiarsi al Roma) una vecchia copia in brossura, piuttosto sdrucita, del Decamerone. Fu un approccio sorprendente perché non mi aspettavo che il libro del Boccaccio fosse così esplicito e ricco di episodi intrisi di una sessualità tragicomica.

Era l'ultimo anno di vita del vecchio Roma e quell'estate avevo a disposizione tutto il terzo piano poiché, come ho già ricordato altrove, gli inquilini che per anni l'avevano abitato se ne erano andati con sostanziose buonuscite elargite dalla Cementirossi in vista della prossima demolizione. Mi ero arredato nell'adiacente solaio con vecchi mobili pescati lì intorno uno studiolo che avrebbe fatto gola al conte Mascetti e vi avevo sistemato la mia piccola biblioteca. La lettura del "Decamerone" scatenò i miei bollenti ardori e decisi di metterne al corrente i quattro compagni con cui solevo trovarmi quasi ogni pomeriggio per fare i compiti. Volevo anche mostrare loro i miei nuovi territori così li invitai a raggiungermi all'albergo un sabato pomeriggio di primo ottobre. Nelle vuote stanze lasciate dagli inquilini ingaggiammo dure battaglie con le pistole ad acqua in dotazione obbligata e per un po' il gioco ci prese. Più tardi, dopo una rapida merenda a base di biscotti secchi (quelli che allora si vendevano sulle bancarelle del mercato in piazzetta Grida a “tre etti cento lire”) calmatici alquanto, li misi al corente delle mie scoperte bibliografiche, leggendo loro alcuni significativi passi del libro. Ciò diede la stura a una sfilza di battute salaci e risatine maliziose che commentavano le esilaranti avventure del “mutolo" Masetto di Lamporecchio, ortolano tuttofare presso un convento di suore, o dell'abate che aveva sedotto una giovane innocente facendole credere che il sesso era una devota pratica per espiare i peccati del mondo..


cantone dè buffalari

Eravamo tutti e quattro ancora su di giri a causa di quelle licenziose letture quando Gianni ci riportò alla realtà dicendo che a suo parere avremmo compiuto un'azione meritoria se avessimo dato l'assalto a una delle case chiuse che avevamo "visitato" nei giorni precedenti. La proposta fu accolta da un coro di urla selvagge di approvazione. Ci fingevamo scandalizzati da quei commerci carnali mercenari ma in realtà volevamo solo compiere una bravata per puro spirito d'avventura.. Io per la verità non ero affatto d'accordo perché temevo che ci scoprissero e denunciassero alla questura, inoltre ogni volta che ci eravamo spinti nei pressi di quelle zone "proibite" avevo provato vergogna e imbarazzo all'idea che qualche conoscente mi vedesse e riferisse la cosa ai miei. Un giorno bighellonando in cantone Buffalari vedemmo effettivamente uno dei pëssgatt, abituale frequentatore dell'hotel, sull'altro lato del vicolo ma quello fece finta di non vedermi e s'infilò lesto nel bordello. Probabilmente era più preoccupato di me di essere notato. Ora Gianni addirittura suggeriva di compiere un “assalto” contro quella rinomata istituzione che tanto stuzzicava la nostra fantasia. E poi, che cosa intendeva con attaccarla? gli chiesi, preoccupato e incuriosito al tempo stesso. Lui mi rispose che ci aveva pensato su un bel po' e ci espose il suo piano. Verso il tardo pomeriggio, quando già il buio era padrone della città, ci saremmo divisi in due gruppi. Il primo armato di fionde e sassolini avrebbe lanciato una gragnuola di colpi sulle finestre al piano terra della "casa", tornando poi di corsa sui suoi passi. Il secondo gruppo avrebbe atteso, all'altra estremità del vicolo, l'uscita di qualche guardiano o portinaio dall'edificio per prenderlo di mira con le fionde e poi fuggire a gambe levate. Se poi avesse messo il naso fuori anche la maitresse o qualche "signorina" sarebbe stata festa completa. Il piano pareva temerario ma ingegnoso e l'accogliemmo con l'entusiasmo irresponsabile di noi dodicenni. Anch'io lo trovai fattibile ma raccomandai prudenza e tempismo. Scartammo i due postriboli di Canton Buffalari e via Filanda, in zona Sant'Agnese -quartiere quest'ultimo troppo popolaresco che pullulava di bande di ragazzotti attaccabrighe- dove avremmo rischiato di fare brutti incontri. L'ideale ci parve quello più centrale nei pressi di via Croce, così lo identificavamo noi, mentre in realtà si trattava di via Montani, una piccola traversa che da via Croce conduce, con uno stretto percorso a elle, a viale Beverora. L'ubicazione del bordello, nell'angolo formato dai due tronconi di strada, permetteva di attaccarlo da entrambe le parti ed eclissarci poi facilmente nelle due direzioni.

Decidemmo dunque di portare avanti la faccenda e il Pablito che abitava poco distante da via Garibaldi decise di fare insieme a Gianni, senza dare nell'occhio, un'ulteriore ispezione nella zona per ben calcolare i tempi dell'azione. Io che già ero pentito di aver accettato di unirmi agli amici cercavo di tirarla in lungo sperando cambiassero idea. Ma quelli insistevano entusiasti del progetto e finii dunque per capitolare. Ormai il dado era tratto e venne deciso il giorno dell'impresa che doveva essere un martedì pomeriggio quando stimavamo che vi fossero meno militari in libera uscita poiché essi costituivano la clientela principale del bordello. Purtroppo proprio quel giorno mi misi a letto con un febbrone da cavallo e le tonsille infiammate come sempre mi accadeva ai primi freddi autunnali e dovetti dare forfait. Un poco mi dispiacque ma in definitiva mi ritenni fortunato perché quell'inconveniente mi permetteva di ritirarmi in buon ordine senza perdere la faccia coi compagni. Non ero un cuor di leone e l'idea di trovarmi a tu per tu con qualche brutto ceffo non mi allettava. Attesi però con trepidazione l'esito dell'imboscata; avevo pregato gli amici di venire di filato al Roma a riferirmi tutto ma non vidi nessuno quella sera. Il giorno dopo venne mesto il Pablo a raccontarmi i particolari dell'azione che si era ahimè risolta in un clamoroso fiasco. Le finestre al piano terra del locale erano sempre chiuse ermeticamente con inferriate a maglie spesse che avevano attutito e reso innocue le nostre modeste artiglierie. Infatti dopo una prima bordata seguita poi da una seconda più massiccia nessuno era comparso sulla porta del casino e questo aveva disorientato il gruppo. Poco dopo cominciò a piovere a dirotto e non restò che dare fine all'impresa. Dissi al Pablo, tanto per dire qualcosa, che avremmo dovuto studiare una diversa strategia per il futuro ma sapevo in cuor mio che quel fallimento avrebbe avuto conseguenze negative sulle nostre velleità guerrigliere. Infatti in seguito nessuno parlò più di compiere imprese analoghe anche perché avevamo ben altro a cui pensare: quell'anno avevamo perduto con sommo dispiacere Emilio Cordani, il nostro giovane e valente insegnante di lettere sostituito da un'arcigna e malmostosa docente, "de cuyo nombre no quiero acordarme", che a causa del suo atteggiamento iniquo e autoritario, prendemmo quasi subito a detestare con pesanti conseguenze sul nostro rendimento in italiano e latino. Al solit profesur..


targa in latta con le tariffe