il Drammatico Suicidio di Luigi Tinelli
di Giorgio Vecchi
voi di Tinell pö dasfortünä..
voi di Tinell pö dasfortünä..
Quel martedì mattina di piena estate Luigi Tinelli, detto Nano, si destò che erano da poco passate le nove. Un orario inconsueto per lui che era solito alzarsi sempre prima delle sette ma aveva passato una notte insonne per il gran caldo e i brutti pensieri e solo verso le cinque era riuscito a riaddormentarsi. Si mosse lentamente sul fianco ancora intontito dal sonno per prendere con gesto automatico il Vacheron d’argento da taschino che giaceva sul comodino, dono dei genitori anni prima per il suo compleanno, e constatò d'essere in un bagno di sudore. Di colpo rammentò.., Era il trenta luglio del 1901 e per lui l'ultimo giorno da scapolo. Il giorno appresso infatti alle sei del pomeriggio si sarebbe sposato con Paolina Gandolfi, figlia dei gestori dell'albergo "Le tre corone" con la quale era fidanzato da oltre due anni. Un rapporto con poche ombre portato avanti da entrambi con convinzione e passione grande: non erano più adolescenti, lui fra poco avrebbe compiuto ventotto anni, lei ne aveva qualcuno di meno.

Si conoscevano da tempo perché il lavoro di lui, -vetturale lo si definiva allora, oggi diremmo titolare col padre e lo zio di un avviata ditta di noleggio vetture d'ogni tipo a trazione animale- lo portava a frequentare spesso gli alberghi cittadini: una vettura della ditta Tinelli stazionava stabilmente davanti alla stazione ferroviaria per condurre i viaggiatori appena giunti, in centro città o nei rispettivi hotel. I più noti erano allora il "San Marco", preferito dal grande compositore Verdi che spesso veniva a Piacenza, il "Croce Bianca", "l'Italia" che nel secolo scorso aveva ospitato un paio di volte Giuseppe Garibaldi, poi il "Roma" il "Leon d'oro", il "Cavalletto" e altri più popolari tra cui appunto il "Tre Corone" della famiglia Gandofi, non lontano da via Sopramuro, ove aveva sede la ditta Tinelli.. Da almeno tre lustri essa svolgeva la propria attività a Piacenza con buoni profitti grazie all'instancabile attivismo dei due fratelli Giacinto, detto "Al biundein", e Adamo che, a differenza del fratello rimasto celibe, era sposato e aveva numerosa prole. Luigi, nato nel 1873, era il primogenito e su di lui si appuntavano le speranze dei due Tinelli che avevano proprio in quei giorni varato un ambizioso progetto che speravano avrebbe ulteriormente incrementato le attività della ditta, vale a dire la costruzione di una linea tranviaria cittadina su rotaie a trazione animale di cui ormai si sentiva la necessità a Piacenza.

la vettura giardiniera dei fratelli Tinelli alla stazione
Luigi aveva però un carattere difficile e a quanto pare poca intraprendenza negli affari. Forse in casa l'avevano viziato troppo e i deludenti risultati si vedevano. Aveva ereditato dai Tinelli, in particolare dallo zio Cinto, un'indole superba e violenta che spesso degenerava in improvvisi e incontrollabili scoppi di collera. Ne aveva fatto di recente le spese un loro stalliere, accusato di chissà quale negligenza, che lui aveva preso a bastonate, cosa che aveva originato un processo nei suoi confronti per cui era stato condannato a indennizzare il poveretto. Dietro l'apparente carattere autoritario si nascondeva però un animo fragile e complesso che fu responsabile degli eventi che seguirono. Luigi, a chi lo frequentava, sembrava estroverso e amante della compagnia, aveva legato bene con la famiglia Gandolfi e spesso si intratteneva fino a tarda ora al Tre Corone con Paolina, che aveva un carattere brillante e riusciva spesso a fare breccia nella dura scorza del fidanzato. Ella aveva saputo conquistarlo con la sua dolcezza e il suo buon umore e da lei il giovane attingeva quella forza e determinazione che non possedeva. Le famiglie dei due giovani avevano visto con soddisfazione crescere e prosperare l'idillio e avevano cooperato al consolidamento del legame, in particolare papà Adamo aveva largamente contribuito all’acquisto di un piccolo appartamento in via XX Settembre per i futuri sposi che aveva fatto arredare secondo i desideri del figlio, sebbene questi si lagnasse della taccagneria del genitore. Ne era nato uno spiacevole contrasto tra padre e figlio perché le pretese di Luigi erano parse eccessive alla famiglia che lo considerava avventato e spendaccione. Lui se ne era lamentato con la fidanzata ed era affiorato quel suo carattere ombroso e instabile che gli faceva spesso vedere tutto nero e la vita stessa un inutile affannarsi per rincorrere una impossibile felicità. Ma questi non erano che momenti fuggevoli di malumore che la gaiezza di Paolina sapeva dissipare. Così col soddisfatto consenso delle famiglie i due si apprestavano a convolare a giuste nozze. Tutto era ormai pronto e nel tardo pomeriggio del giorno seguente si sarebbe celebrato il matrimonio con rito civile dinanzi al sindaco. Il rifiuto delle nozze religiose era forse dovuto all'acceso anticlericalismo dei Tinelli che avevano ricevuto la scomunica dalla Chiesa per l’acquisto nel 1877 di beni di provenienza ecclesiastica che lo Stato liberale aveva sottratto alla Chiesa e venduto ai privati. Più o meno come all'inizio dell'ottocento era avvenuto con i beni confiscati agli ordini religiosi dallo Stato napoleonico francese.

Dopo la cerimonia nuziale sarebbe seguito nell'Albergo "Tre Corone" il rinfresco di rito con molti amici e famigliari invitati poiché Luigi voleva che tutto si svolgesse con un certo decoro e solennità, gli piaceva fare bella figura in città e i Tinelli pure ci tenevano. Era previsto anche un viaggio di nozze a Roma e il soggiorno nella capitale in un ottimo hôtel.
Luigi si alzò dunque di malavoglia dal letto e dopo una frettolosa toeletta si vestì in fretta e uscì dalla casa di via Sopramuro addossata alla chiesa di San Francesco dove i Tinelli avevano oltre alle abitazioni anche le stalle per i cavalli e i depositi delle carrozze. Pare che si recasse da un amico gioielliere a prendere gli anelli necessari alla cerimonia ma invece di sceglierne due soltanto se ne fece dare ben cinque con la scusa di volerli far provare alla sposina. La stranezza fu poi riportata dal cronista di Libertà il giorno dopo. Costui racconta che più tardi il giovane si recò a casa della fidanzata e ivi pare dicesse a quest'ultima, in preda a uno sconcerto crescente e a una delle sue solite crisi depressive, che invece di sposarsi avrebbero fatto meglio ad andarsene via insieme da quel brutto mondo.. Evidentemente qualcosa covava in lui come riconobbe più tardi la fidanzata che forse in quel momento, conoscendo i suoi sbalzi di umore, non diede eccessivo peso alle sue parole. Più tardi Luigi tornò a casa e pare che distribuisse ai genitori e a un fratello gli anelli che aveva con sé dicendo che li conservassero a ricordo delle nozze. Con il fratello Giacinto, di sei anni più giovane, (mio futuro nonno materno), si recò dopo cena dalla fidanzata e vi rimase fino alla mezzanotte. Uscito sempre insieme a Giacinto si recò al caffè "Battaglia" a bere un caffè e cognac poi a passeggiare sul "Wauxhall”, (l'attuale Facsal) così riferisce l'articolista di Libertà. Tornati a casa i due fratelli e coricatosi Giacinto, Luigi poco dopo usciva nuovamente dirigendosi alla stazione. Poco prima aveva consegnato al fratello minore, con la scusa che temeva di perderlo essendo un pò brillo, l'ultimo anello.
Nonostante l'ora tarda, fu visto passeggiare nervosamente sotto la pensilina della stazione in preda a una forte agitazione. Un addetto che lo conosceva, e al cui saluto rispose appena, riferì poi che si era stupito di vederlo lì a quell'ora. Erano ormai circa le tre del mattino ed egli a un certo punto, senza che alcuno lo notasse, sgattaiolò dietro a un treno locale che faceva manovra sul primo binario quasi alla fine dell’edificio ferroviario, “proprio nella località di fronte all’ufficio postale”, si distese per traverso “presso la carrozza numero tredici”, ponendo il capo sulla rotaia e attese con raro sangue freddo che il convoglio ripartisse. Poco dopo si compiva il tragico epilogo: il treno si mosse e lo decapitò di netto. La testa pare ruzzolasse a qualche metro di distanza dal corpo. Non vi fu nessun grido e nessuno si accorse di nulla, il cadavere fu rinvenuto poco più tardi da alcuni ferrovieri che stavano controllando uno scambio lì accanto. Le indagini, svolte ”dal delegato di P.S. Capozzi e dall’ aiuto Commissario sig. Camoni" subito accorsi, stabilirono senza ombra di dubbio che si trattava di suicidio. Addosso al giovane ”furono trovati l'orologio e la catena d'argento, quattro lire in carta e una lira di rame; poi un taccuino che ha una pagina scritta in modo quasi indecifrabile: si leggono a stento le parole “gioventù” e “povera ragazza".
Luigi si alzò dunque di malavoglia dal letto e dopo una frettolosa toeletta si vestì in fretta e uscì dalla casa di via Sopramuro addossata alla chiesa di San Francesco dove i Tinelli avevano oltre alle abitazioni anche le stalle per i cavalli e i depositi delle carrozze. Pare che si recasse da un amico gioielliere a prendere gli anelli necessari alla cerimonia ma invece di sceglierne due soltanto se ne fece dare ben cinque con la scusa di volerli far provare alla sposina. La stranezza fu poi riportata dal cronista di Libertà il giorno dopo. Costui racconta che più tardi il giovane si recò a casa della fidanzata e ivi pare dicesse a quest'ultima, in preda a uno sconcerto crescente e a una delle sue solite crisi depressive, che invece di sposarsi avrebbero fatto meglio ad andarsene via insieme da quel brutto mondo.. Evidentemente qualcosa covava in lui come riconobbe più tardi la fidanzata che forse in quel momento, conoscendo i suoi sbalzi di umore, non diede eccessivo peso alle sue parole. Più tardi Luigi tornò a casa e pare che distribuisse ai genitori e a un fratello gli anelli che aveva con sé dicendo che li conservassero a ricordo delle nozze. Con il fratello Giacinto, di sei anni più giovane, (mio futuro nonno materno), si recò dopo cena dalla fidanzata e vi rimase fino alla mezzanotte. Uscito sempre insieme a Giacinto si recò al caffè "Battaglia" a bere un caffè e cognac poi a passeggiare sul "Wauxhall”, (l'attuale Facsal) così riferisce l'articolista di Libertà. Tornati a casa i due fratelli e coricatosi Giacinto, Luigi poco dopo usciva nuovamente dirigendosi alla stazione. Poco prima aveva consegnato al fratello minore, con la scusa che temeva di perderlo essendo un pò brillo, l'ultimo anello.
Nonostante l'ora tarda, fu visto passeggiare nervosamente sotto la pensilina della stazione in preda a una forte agitazione. Un addetto che lo conosceva, e al cui saluto rispose appena, riferì poi che si era stupito di vederlo lì a quell'ora. Erano ormai circa le tre del mattino ed egli a un certo punto, senza che alcuno lo notasse, sgattaiolò dietro a un treno locale che faceva manovra sul primo binario quasi alla fine dell’edificio ferroviario, “proprio nella località di fronte all’ufficio postale”, si distese per traverso “presso la carrozza numero tredici”, ponendo il capo sulla rotaia e attese con raro sangue freddo che il convoglio ripartisse. Poco dopo si compiva il tragico epilogo: il treno si mosse e lo decapitò di netto. La testa pare ruzzolasse a qualche metro di distanza dal corpo. Non vi fu nessun grido e nessuno si accorse di nulla, il cadavere fu rinvenuto poco più tardi da alcuni ferrovieri che stavano controllando uno scambio lì accanto. Le indagini, svolte ”dal delegato di P.S. Capozzi e dall’ aiuto Commissario sig. Camoni" subito accorsi, stabilirono senza ombra di dubbio che si trattava di suicidio. Addosso al giovane ”furono trovati l'orologio e la catena d'argento, quattro lire in carta e una lira di rame; poi un taccuino che ha una pagina scritta in modo quasi indecifrabile: si leggono a stento le parole “gioventù” e “povera ragazza".

Così a quasi ventotto anni chiudeva la sua breve esistenza lo sfortunato giovane, lasciando attoniti quanti lo conoscevano e lo amavano. In primis la madre Luigia a cui dettero la notizia con molto tatto ma il cui strazio non è difficile immaginare, e la giovane fidanzata dapprima incredula ma poi tristemente consapevole che il suo Luigi aveva in sé un male oscuro contro cui ella ben poco aveva potuto fare. Il cronista annota che Paolina pare esclamasse "lo avevo immaginato che sarebbe andata a finire così ". Difficile capire cosa possa aver realmente provocato in lui una decisione del genere. Forse il peso della responsabilità che sentiva gravare su di sé e le grandi aspettative da parte della famiglia perché assumesse le redini della ditta lo avevano sconvolto e depresso, forse c'erano altre ragioni personali che non sapremo mai.
L'impressione in città fu grande dato che la famiglia era conosciuta e stimata. La salma ricomposta fu, per volontà dei famigliari, trasportata nella cappella mortuaria dell'ospedale in via Campagna. Il giorno del funerale una enorme folla di parenti, amici e curiosi seguì il feretro che passando per la cinta muraria e poi alla barriera Cavallotti (attuale via Roma) fu trasportato al cimitero cittadino. Spiccavano nel mesto corteo, guidato da un frate che brandiva un crocifisso e che una volta al cimitero impartì l'assoluzione alla salma, le corone dei genitori, dei fratelli e quella della famiglia Gandolfi. Con la tragica scomparsa di Luigi detto Nano, si apriva, quasi agli albori del nuovo secolo, la lunga sequela di sventure che avrebbero colpito duramente la disgraziata famiglia dei Tinelli. (Al solit profesur).
L'impressione in città fu grande dato che la famiglia era conosciuta e stimata. La salma ricomposta fu, per volontà dei famigliari, trasportata nella cappella mortuaria dell'ospedale in via Campagna. Il giorno del funerale una enorme folla di parenti, amici e curiosi seguì il feretro che passando per la cinta muraria e poi alla barriera Cavallotti (attuale via Roma) fu trasportato al cimitero cittadino. Spiccavano nel mesto corteo, guidato da un frate che brandiva un crocifisso e che una volta al cimitero impartì l'assoluzione alla salma, le corone dei genitori, dei fratelli e quella della famiglia Gandolfi. Con la tragica scomparsa di Luigi detto Nano, si apriva, quasi agli albori del nuovo secolo, la lunga sequela di sventure che avrebbero colpito duramente la disgraziata famiglia dei Tinelli. (Al solit profesur).