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il Castello di Calendasco

tra queste mura nasce un santo e si compie un omicidio

È disseminato di castelli l'intero territorio Piacentino, alcuni semidistrutti, altri grandiosi e abitati, alcuni visitabili, dall'Appennino e fino al Po. Riaperto ai cittadini, dopo un accurato restauro architettonico, l’antico castello di Calendasco è ricco di storia da raccontare. Il castello viene costruito in laterizio, così come in mattoni è il più antico recetto, probabilmente già attorno ai primi anni del ’200. Per dovere di cronaca storica bisogna premettere che nel X Secolo fu voluto per volontà del vescovo di Piacenza, padrone di questo territorio, un primo luogo difensivo, il recetto che era un prototipo di grande magazzino dove accumulare i prodotti della terra. Ma serviva anche come luogo di riparo dei contadini in caso di pericolo e la chiesa, costruita anch'essa su di un monticello, un tumulo, fa parte della prima antica costituzione del borgo nascente di Calendasco. Basti dire che ci sono documenti datati all'epoca longobarda che trattano di affari svolti dal “presbiter de Kalendasco” ma non solo, e dunque un bel fardello storico.

Possiamo tracciare una breve sintesi della storia di questo castello, con l'ausilio di documenti di prima mano, che a suo tempo abbiamo potuto visionare negli Archivi di Stato di Piacenza, Parma ed anche di Milano. Il castello viene costruito in un territorio di parte guelfa, quando il vescovo di Piacenza era addirittura conte e la Chiesa aveva un proprio manipolo di uomini armati (la masnada). Non s'andava tanto per le buone a quel tempo. Le carte ci dicono che il “castrum seu rocheta Calendaschi” possedeva un grande fossato (fovea) e due “caminate magne” cioè due saloni con camino, uno superiore ed uno al piano inferiore, oltre ad alcune stanze residenziali. Erroneamente da quanto qualcuno scrisse, il castello non ha mai avuto quattro torri: una sola e cilindrica (probabile che quella primiceria fosse quadra). Casomai dato che il castello ed il recetto sono addossati, lo testimoniano anche i due ingressi a levatoio (oggi trasformati in solidi ponticelli in cotto), si può contare la piccola torre che fino agli anni '70 del secolo scorso sorgeva sul lato nord-ovest del recetto e poi miseramente crollata.

Si narra anche di un “pozzo del taglione”, cioè con lame acuminate ove gettare nemici, giustiziandoli in modo orrendo, cosa mai verificata, mentre è assodato che nel fondo della torre si sono lasciati gettare prigionieri, questo è possibile ed anzi era praticato. Un'altra invenzione della fantasia popolare è quella che narrava di un ipotetico “tunnel” che dal castello di Calendasco arrivasse niente meno che fino al palazzo Farnese di Piacenza. Inimmaginabile, basti pensare alle falde acquifere poco profonde e poi alla distanza, che anche in linea retta tocca i sette chilometri. Tra i feudatari accreditati, ovviamente i Confalonieri fanno la voce grossa: restano nel recetto affreschi dello stemma della casata (gonfalone bianco su sfondo rosso) e il cassonato ligneo della “caminata superiore” tempestato dello stemma. Decine di documenti attestano della loro feudalità in questo borgo, e se l'archivio parrocchiale è ben ricco di carte, anche in quelli di Stato non mancano carteggi notevoli. Nel 1290 dentro al castello vi nasce Corrado Confalonieri, poi convertito e divenuto santo francescano eremita a Noto in Sicilia e della nascita lo attesta anche il vescovo di Piacenza in un atto notarile di curia del 1617. Si dice anche d'altre famiglie quali i Guadagnabene, mercanti piacentini, feudatari in loco ma dell'atto d'infeudazione non c'è traccia e quindi fa buona fede la ricerca istituita appunto nel 1611 e culminata nel 1617 con l'atto curiale.

Nel 1482 una truppa inviata da Lodovico il Moro pone sotto assedio il castello tenuto dal capitano Antonio Confalonieri, genero del conte Sanseverino lì rifugiato. In due giorni, tra 17 e 18 gennaio l'assedio con “archibusii e ballotte” si conclude, con un freddo che attanaglia: il Sanseverino se ne parte per Milano ed il Confalonieri rimane saldamente al suo posto, questo è nero su bianco. Ai Confalonieri nel '400 il Duca di Milano concede anche di poter ampliare il castello e le sue mura, sono documenti conservati in Archivio di Stato a Milano. Nel 1547 Giovan Battista Confalonieri residente nel maniero e importante nobile piacentino partecipa all'uccisione di Pierluigi Farnese figlio di papa Paolo III. Ci vorranno ben 40 anni perché i Confalonieri del ramo del casato assassino migrino a Milano e con il buon gruzzolo della vendita del feudo, terre, castello e recetto compresi. Questo fatto bloccherà il culto a Piacenza di San Corrado Confalonieri fino ai primi anni del '600 e anche questo è acclarato, la famosa “Damnatio Farnesiana”. Il 13 settembre del 1572 Camilla Confalonieri, moglie di Lodovico, uccide in camera da letto del castello al piano superiore il marito, con l'ausilio dell'amante Antonello dei Rossi. Lei fuggirà dal maniero travestita da uomo, ma in città sarà poi catturata.

Il castello a fine '500 con la confisca farnesiana passa al conte Zanardi Landi e avanti nel tempo al nobile milanese Vimercati. Non ne prenderanno mai possesso i Perletti di Calendasco, ultimi feudatari locali, che vivranno nel loro grande palazzo in piazza di fronte alla chiesa del paese ed il maniero ha altre proprietà. Il castello arriverà poi nei beni della famiglia piacentina Scopesi Dalla Cavanna e proprio quest'ultimi a fine '800 lo doneranno al Comune di Calendasco. Nel tempo il maniero, abbandonato, divenne luogo d'accoglienza di sfollati in tempo di guerra e poi nel salone al piano terra vi fu insediato un maglificio, che diede lavoro a tante donne locali. Va detto che anche quando pochi decenni fa il castrum era abbandonato: mai negli anni nessuna delle amministrazioni comunali lo lasciò diroccare e quando necessitava il tetto veniva sempre rifatto o aggiustato per evitare dannose infiltrazioni.

Oggi il grande castello di rossi mattoni cotti nelle fornaci antiche che erano una alla località Arena e l'altra appresso al Po al Mezzano, si porge alla cittadinanza restituendo un prezioso bene civico. Il suo ottimo restauro sta consentendo adesso un uso per varie attività culturali e di aggregazione, potendo calpestare come secoli fa i suoi due grandi saloni storici. Come recitava una strofa dell'Inno di Calendasco, composto da don Federico Peratici nel 1966, possiamo anche noi cantare “stretti intorno al campanile della chiesa ed al turrito e magnifico castello, sorge come un magnifico vascello!”. (di Umberto Battini).


il Castello in una veduta dei primi del ‘900