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Castell’Arquato - Castél Arquä


lo stemma di Castell'Arquato

Castell'Arquato, Città d'Arte, Città del vino, sorprende già al primo sguardo, tra Emilia e Lombardia, tra Pianura Padana ed Appennino, a circa trenta chilometri dal capoluogo Piacenza e poco più da Parma, per il suo autentico aspetto medievale. Al secondo già rivela un denso tessuto di storia, natura e fascino. La sua unicità fa sì che sia entrato nel Club dei Borghi più belli d'Italia, che abbia ricevuto la certificazione TCI Bandiera Arancione, sia protagonista del circuito dei Castelli del Ducato di Parma e Piacenza, della Strada dei Vini e dei Sapori dei Colli Piacentini, ma è anche Città per la Pace. Il centro storico del capoluogo è caratteristico per l'intatta atmosfera medievale che vi si respira, è sviluppato sulla riva sinistra del torrente Arda, adagiato su un colle che domina la pianura. La posizione strategica dell'insediamento balza dunque subito agli occhi ancora oggi, nel terzo millennio. Indizi della sua storia, ma anche della quotidianità degli abitanti che si sono succeduti sul suo territorio nei secoli e nei millenni, si ricavano dai documenti. Liguri, Galli, Romani, poteri ecclesiastici e civili, papi, cavalieri di ventura e signori Rinascimentali hanno lasciato traccia nella storia arquatese. Le fonti documentarie, tutto sommato ancora poco studiate in modo organico, tracciano dunque un cammino denso che accompagna fino ai giorni nostri. Il primo documento scritto conosciuto sarebbe la copia di un atto di vendita del 13 marzo 760 (nelle Carte di Varsi), quindi di età longobarda: in esso leggiamo chiaramente la dicitura in finibus castri Arquatense. In documenti del VII secolo si trova la dicitura Castro fermo, nell'800 accompagnata da Arquatense, da questa data compare anche fines castellana che diventa la denominazione prevalente. Oggi l'economia del borgo è prevalentemente agricola, soprattutto legata alla coltura (ma anche cultura) della vite e del vino che affonda nei secoli; prelibata e di qualità è la produzione locale di salumi: coppa DOP, pancetta, salame e culatello. Imperdibili i piatti della tradizione: anolini, pisarei e fasò, tortelli di erbette con la coda, torta al cioccolato di Vigolo Marchese. A Castell'Arquato sono vive anche attività di ebanisteria e restauro di mobili antichi. Famosi pittori e artisti, come già nei secoli passati, dimorano a Castell'Arquato traendone magica ispirazione. Particolare è l'attenzione e la cura del verde che gli abitanti sfoggiano, abbellendo le vie e i vicoli del loro paese. Ma è il turismo, che soprattutto nella bella stagione, anima il borgo. Dalla primavera all'autunno la popolazione aumenta, si riaprono antiche dimore perfettamente restaurate, buen retiro di molti che fuggono dalle grandi città. Anche il turismo di giornata riempie le vie e i vicoli di Castell'Arquato: la primavera è il periodo ideale per le gite scolastiche che arrivano a scoprire Castell'Arquato e i suoi Musei. In estate il paese si riempie di italiani e stranieri che scoprono ammirati gli angoli più suggestivi e possono trovare manifestazioni, mostre ed eventi per tutti i gusti. Castell'Arquato non è solo il paradiso per gli appassionati del Medioevo e del turismo culturale. Infatti la ricchezza naturalistica del territorio circostante offre la possibilità di escursioni in mountain bike, a cavallo o semplicemente a piedi, magari in cerca di orchidee autoctone o piccoli animali. Il territorio è ricco di fossili e ritrovamenti geologici, ben testimoniati dal patrimonio del Museo Geologico Cortesi. Addirittura un'era geologica prende il nome da queste zone: il Piacenziano. E' stata appunto istituita la Riserva del Piacenziano che merita di essere scoperta, al pari di altri tesori naturalistici come ad esempio il bosco di Santa Franca.

Da qualsiasi via d'accesso si giunga a Castell'Arquato il borgo subito affascina, quasi sorprende per la sua intatta, inaspettata medievalità che un tempo custodiva un accesso all'operosa Pianura Padana. Le antiche case color della terra scendono da un pendio che le rende, soprattutto nelle giornate limpide, visibili da molto lontano. E subito i colori delle costruzioni volute dall'uomo si fondono con quelli che la natura ha miscelato dalla notte dei tempi. Approfondendo l'analisi oltre l'impatto visivo si scopre che il terrazzo naturale sul quale si è nei millenni costruito il paese, mattone dopo mattone, è costituito da sedimenti di origine marina. E qui inizia la preistoria di questa splendida sezione del territorio piacentino modellato anche dal Torrente Arda: essa affonda nel mare che ricopriva il bacino padano fino a 800.000 anni fa. Tra i cinque milioni e il milione e ottocentomila anni fa, periodo definito Pliocene, argille e sabbie si sono depositate sul fondo del grande bacino marino e oggi sono rocce compatte. Il tempo che ha formato le caratteristiche geologiche del luogo è al di fuori delle nostre percezioni. Granello dopo granello, alle pendici degli Appennini, già si gettavano le basi della splendida Città d'Arte che Castell'Arquato è oggi. La stessa arenaria dal caldo colore del sole, ricca di fossili, su cui sono costruiti i suoi gioielli architettonici proviene è figlia di quel mare antico come le calcareniti utlilizzate per costruire edifici pubblici e privati. Questo splendido e vitale ambiente marino subì un collasso, lento ma inesorabile nel Messiniano. Nel momento in cui venne meno la comunicazione tra il Mediterraneo e l'Oceano Atlantico iniziò l'evaporazione delle acque del mare. Si formarono allora "depositi evaporitici" la cui traccia resta nello sgorgare di fonti bicarbonato-solfuree-salso-bromoiodiche nella zona (in particolare Bacedasco). All'inizio del Pliocene, cinque milioni di anni fa, si ristabilì il contatto tra Mediterraneo e Oceano Atlantico. Le acque tornarono a defluire nel bacino padano e si ristabilirono condizioni climatiche più calde di quelle abitualmente presenti a queste latitudini. Non vivevano qui solo alghe, organismi microscopici o molluschi: spinti dalle correnti vennero a morire nella rada di Castell'Arquato molti cetacei che furono sepolti dai depositi argillosi e fangosi. L'abbondanza di ritrovamenti di scheletri dei grandi cetacei che nuotavano in questo antico tranquillo braccio di mare fa parlare di "golfo delle balene". Così il primo motivo di interesse della zona di Castell'Arquato, viene dall'affioramento di sedimenti marini. E quel mare era più vivo che mai, lo testimoniano le numerose specie giunte fino a noi sotto forma di resti fossili. La Riserva Naturale Geologica del Piacenziano (stratotipo geologico tra i 3,5 e 2,5 milioni di anni, Pliocene medio-superiore) è stata istituita a tutela degli affioramenti pliocenici del bacino padano, una delle nove sezioni i cui è suddivisa è quella compresa tra Lugagnano e Castell'Arquato. Molti degli importanti ritrovamenti sono visibili nel museo Geologico G.Cortesi allestito nei locali dell'antico ospitale di S.Spirito.

La presenza di insediamenti umani in territorio arquatese è testimoniata da reperti risalenti almeno al Paleolitico inferiore . Gli uomini del Paleolitico inferiore erano dediti alla caccia di grandi erbivori e alla raccolta in un ambiente simile alla steppa-prateria. Risalgono a quest'epoca i ritrovamenti in zona "Casa Marani" e "Pozzo Panegano" di cinque manufatti litici. Nel Neolitico diventano stabili gli insediamenti umani che lasciano i ritrovamenti risalenti al IV millenio a.C. La presenza umana nei pressi di Castell'Arquato è testimoniata a partire dall'Età del rame (o Eneolitico, 2000-1800 a.C.) dal ritrovamento di pugnali litici foliati detti "remedelliani" e di cuspidi di lancia. Il Piacentino è particolarmente scarso di testimonianze dell'età del bronzo antico (dal 1800 a.C.), nota anche per la cultura delle Terramare . Molti studiosi sono concordi nel definire un periodo di "vuoto culturale" per il Piacentino fino alla metà del VI secolo a.C per la scarsità dei reperti. I reperti classificati come preromani della vicina Veleja, fanno ipotizzare l'esistenza dell'abitato dai tempi protostorici alla romanizzazione. E altre considerazioni vanno in direzione di un'influenza gallico-celtica prima di quella Romana sul nostro territorio. Non è ancora definito il rapporto del territorio che diventerà il borgo arquatese nei confronti dei municipia di Veleja e Piacenza, all'intersezione dei cui territorio si trovava. Il confine tra piacentino e velejate pare essere nato dalla situazione belligeranza tra Liguri, Galli e Romani (che poi li sconfissero), prima della fondazione della colonia di Piacenza (218 a.C.). Le origini dell'agglomerato sono ancora nella nebbia, anche se la posizione salubre rispetto alle aree paludose, fa presumere che fosse fabbricato e abitato un castrum quadratum a difesa contro i Liguri (fine III sec. a.C o inizio II sec). I primi documenti scritti sulla toponomastica risalgono all'VIII sec d.C. (fine del dominio longobardo) parlano di Castro Arquato altri più tardi di Castel Quadrato o Castell'Arquato . Una leggenda narra che il cavaliere romano Caio Torquato avrebbe fondato un castrum, Castel Torquato, Castra Torquata. Plausibile è che un castrum romano sorgesse sullo sperone roccioso dove oggi svetta la Rocca Viscontea, ma non vi sono ritrovamenti archeologici a supportare l'ipotesi.
I ritrovamenti di epoca romana sono invece significativi:
- Resti di un ponte sull'Arda
- Resti di un insediamento rurale in località Crocetta
- Tomba in località Pontenuovo
- Tracce murarie alla Sforzesca e vasi di impasto scuro
- Tracce di abitato rustico alla Pusterla e molti altri.
Castell'Arquato può essere nata attorno ad un castrum militare risalente ai primi tempi della colonizzazione romana. In epoca imperiale si sviluppò probabilmente come piccolo capoluogo rurale, in una posizione favorevole nella rete viaria romana. La centuriatio romana pare non aver subito grossi sconvolgimenti nel paesaggio rurale circostante Castell'Arquato. E anche l'economia ancora oggi praticata ha radici in epoca antica, soprattutto la vitivinicoltura, coltura di alberi da frutto e cerealicoltura. A partire dal Basso Impero, poi con la caduta dell'Impero Romano e le invasioni barbariche si manifestò il degrado dell'economia rurale anche per il duro colpo inferto da pestilenze e carestie. Dal IV secolo d.C. si apre un periodo cupo anche per Castell'Arquato: pestilenze (Paolo Diacono scrive di quella terribile del 565), invasioni dei popoli del nord (nel 570 scendono i Longobardi) che impongono la loro organizzazione territoriale; nel 590 i Franchi), crisi climatiche che incidono fortemente nell'economia rurale dei luoghi. Un accenno di ripresa economica si vivrà solo a partire dall'VIII secolo. Lo studio dell'onomastica e della diplomatica inerente i fines castellana documenta in territorio arquatese il peso della dominazione longobarda. Non risulta peraltro semplice la definizione del territorio arquatese. Un'ipotesi plausibile di V.Fumagalli traccia una mappa che va da Viniola (nelle vicinanze di Fiorenzuola), da Salde (tra Ceno e Taro), dal monte Spinola e da Obolo. Documentata è una certa autonomia del centro di Castell'Arquato da Piacenza anche in epoca longobarda quando costituiva un avamposto contro i Bizantini. Rappresentava un distretto autonomo governato da un castaldo , affiancato dagli Arimanni . Dominava lo sbocco verso la Pianura Padana di un percorso che arrivava da Bardi, Borgotaro, dal Passo della Cisa fino alla Lunigiana. Le prime notizie riguardanti la pieve di Castell'Arquato sono dell'VIII secolo d.C. "un nobile e potente Signore nomato Magno ... fatto edificare o piuttosto riedificare et agrandire... forse in forma più bella che dianzi non era, il luogo o Terra che Castello Quadrato, o Alquadro appellasi oggi C.Arquato... e quivi anesse ancora una Chiesa in onore della gran Madre di Dio, la quale di molti beni dotò". (756-758 d.C.) . "Castell'Arquato con il suo castrum (organizzazione militare), la sua curtis (organizzazione agricola del territorio), la sua curia (amministrazione della giustizia), la sua pieve (amministrazione religiosa), il suo mercato ed i suoi apparati produttivi, mulini, forni, torchi, etc. tutti di privativa signorile e gravati di pesanti balzelli, costituiva il centro politico, economico e religioso di tutto un ampio territorio, dal quale i governanti traevano ampie e sicure rendite", P.CASTIGNOLI, 1989. Fatto è che alla morte di Magno (789 d.C.) questi dona al vescovo di Piacenza il paese, la chiesa di S.Maria e i beni annessi. L'originario edificio religioso andò distrutto nel disastroso territorio del 1117. Il ritrovamento di una vasca monolitica coeva all'edificio eretto nel 758 non aiuta a ricostruirne l'architettura, ma attesta che fin dall'VIII secolo la chiesa aveva funzione pievana e battesimale. Da una bolla di Bonifacio IX del 1296 si ricavano le 26 cappelle della giurisdizione territoriale della pieve. Si ricava anche che la cappella di località Panegano, recentemente restaurata, fosse davvero molto antica.

Dominio Vescovile,789-1220 d.c.
Con la donazione del 789 di Magno, Castell'Arquato passa sotto il dominio del Vescovo di Piacenza, che tra l'altro poco prima dell'anno mille riceverà dall'imperatore Ottone III il titolo di conte [il primo vescovo-conte di Piacenza è Sigifredo]. È questo un momento particolare della storia della Chiesa, fin troppo intrecciato con le vicende del potere temporale. Ci sono testimonianze che negli ultimi decenni del primo millennio il borgo arquatese godesse di notevole vitalità. Venivano allestite almeno tre volte l'anno importanti fiere nelle quali si commerciavano bestiame, vino, olio, cereali, forse anche prodotti finiti. I proventi di queste attività commerciali sono in questi secoli a vantaggio dell'autorità vescovile. Intorno all'anno mille anche Castell'Arquato gode della ripresa dopo i secoli bui e vede un aumento del fenomeno di urbanizzazione con la nascita del quartiere poi detto di Monteguzzo, nella parte inferiore del terrazzamento naturale su cui era sorto il primitivo castrum. Negli anni della discesa del Barbarossa (1154) esistevano corti vescovili e homines del vescovo, che avevano l'obbligo di provvedere alla custodia delle fortificazioni. Il Vescovo godeva per il territorio arquatese del fodro [diritto di esazione delle imposte dirette] su tutti gli uomini, nobiles, burgenses o castellani che posseggono case e terreni e sugli ecclesiastici di Santa Maria. In conclusione si può ricavare dalle fonti che i Vescovi di Piacenza esercitassero su Castell'Arquato un forte potere di carattere feudale e patrimoniale, minore doveva essere il peso del Comune di Piacenza. Parecchi abitanti della Val d'Arda erano sottoposti a giuramento di fedeltà feudale, il Vescovo esercitava i cosiddetti poteri bannali. (Sono poteri di comando, di reclutamento di soldati, di amministrazione di giustizia, di imposizione di tributi, e di ore di lavoro; obblighi a servirsi, e a pagarne l'uso, del mulino, del frantoio, del forno del signore). Dal 1204 al 1207 il Vescovo di Piacenza Grimerio scelse come dimora Castell'Arquato, luogo sicuro durante le lotte per intaccare immunità e privilegi economici del clero, tra Comune piacentino ed Episcopato. In questo periodo Grimerio getta le basi di una maggiore autonomia del borgo per sottrarlo all'influenza del comune di Piacenza. È un momento di crisi economica per l'Episcopato piacentino come per la pieve arquatese. La concessione del governo autonomo avviene ufficialmente nell'estate del 1220.

Tra Consoli, Podestà e Scotti,1220-1223 d.c.
Il primo documento dell'archivio storico della comunità arquatese, giunto attraverso copia quattrocentesca e trascrizione del Campi, è del 10 agosto 1220 e certifica che il vescovo Vicedomio cede al comune e agli homines di Castell'Arquato tutti i suoi beni nel borgo e nel territorio, dandoli in enfiteusi per 700 lire piacentine. Per 200 lire e un piccolo canone annuo cede anche "a titolo di investitura in perpetuo tutte le giurisdizioni, onori e ragioni di decimare" di Castell'Arquato, Lusurasco, San Lorenzo e Vernasca. Dal 1220 al 1223 sono ai vertici del potere i rappresentanti del popolo, è la breve fase consolare. Segue la lunga parentesi podestarile, nella quale i Podestà erano nominati dal Comune di Piacenza tra i membri più illustri delle famiglie piacentine (ad es. Scotti e Visconti) e restavano in carica tre anni. Il Podestà aveva funzioni civili e politiche, amministrava la giustizia. Organo supremo di governo è il Consiglio generale, presieduto dal Podestà o da un suo Vicario, con la presenza dell'Arciprete.
Castell'Arquato non sfugge alle aspre lotte che dilaniano l'Italia tra Guelfi e Ghibellini. Nel 1256 il borgo di parte guelfa (come il Comune di Piacenza), viene assalito dal ghibellino Oberto Pallavicino: memorabile la resistenza di Castell'Arquato. Gli assalitori furono sconfitti e venticinque impiccati a Piacenza. La fase podestarile termina nel 1290 quando Alberto Scotti, sostenuto dal partito guelfo, dal ceto mercantile e dalle corporazioni degli artigiani, diventa signore di Piacenza. Anche Castell'Arquato diventa una signoria vera e propria. Lo Scotti si lega alla famiglia Visconti (con Matteo) ed estende il proprio dominio al territorio di Piacenza. A Castell'Arquato insedia il podestà Tedesio de' Spectinis. L'alleanza coi Visconti finisce nel 1302, il figlio di Matteo, Galeazzo, sposa Beatrice d'Este e sposta il peso delle alleanze, dando il via ad un periodo di scontri che porteranno lo Scotti a mettere le mani anche su Milano. Nel 1304 Alberto Scotti viene cacciato da Castell'Arquato dal Comune di Piacenza, ma vi tornò tre anni dopo. Dopo la discesa di Arrigo VII del 1310 lo Scotti governerà il borgo, a fasi alterne, fino al 1316 quando il Visconti assalì Castell'Arquato. Lo Scoto resistette un anno, poi fu sconfitto e fatto prigioniero nel 1317. Sotto il dominio dello Scoto, Castell'Arquato acquista prestigio politico e si arricchisce di molte delle costruzioni che si possono ammirare ancora oggi, tra cui il Palazzo di Giustizia, nucleo di quello che oggi è il Palazzo del Duca e il Palazzo del Podestà.

Il dominio Visconteo,1317-1450.
La resa di Castell'Arquato (e dello Scotti) viene negoziata coi Visconti nel marzo del 1317 da quattro ambasciatori che si recano a Piacenza. Galeazzo Visconti non intende inimicarsi il borgo e gli concede "grazie speciali": facoltà di emanciparsi giuridicamente da Piacenza, privilegio di dotarsi di un autonomo corpus di norme legislative, sarà il fondamento degli statuti quattrocenteschi. Inizia il dominio visconteo che durerà fino al 1450, tra alterne vicende. Il borgo passa al fido visconteo Manfredo Landi che ne mantiene il governo fino al 1324, quando Castell'Arqauto viene ceduto al comune di Piacenza, soggetta anch'essa al dominio della chiesa, che governa sul borgo per dodici anni. Il popolo arquatese fatica a rinunciare alle prerogative di autogoverno. Piacenza torna ai Visconti nel 1336 con Azzo Visconti, che favorisce l'autonomia degli arquatesi da Piacenza, insediando un podestà di sua fiducia, Galvagno de' Comini e facilitando la fortificazione di una zona così importante dal punto di vista strategico e militare. Muore a trentasette anni. A Luchino, suo successore, si deve la costruzione della Rocca (dal 1342), promossa dal Comune di Piacenza. Luchino muore misteriosamente nel 1349, gli succede il fratello Giovanni che muore già nel 1354 aprendo un periodo di lotte di successione che da Milano si estende a Castell'Arquato. Continuano anche le controversie fiscali con il comune di Piacenza. Nel 1403 Gian Galeazzo investe Borromeo de' Borromei e la sua discendenza dei poteri feudali su Castell'Arquato, con annesse rendite fiscali. Ma il "marrano" passa dalla parte di Carlo VI di Valois, re di Francia. Il 1 maggio 1404 diventa regio feudo e il Comune di Piacenza protesta. In un periodo di crisi per i Visconti, ne approfittano Francesco II e Giovanni Scotti che si impossessarono della Rocca. Già nel 1407 Alberto Scotti (nipote di Francesco e Giovanni) finse di accettare la proposta di suo cognato Giovanni Terzi di Parma: costui gli aveva proposto di uccidere i suoi zii e di renderlo unico erede del feudo. In realtà lo Scotti giustiziò il cognato nella Rocca. Gli Scotti comunque mantennero il governo fino al 1414. Nel 1412 era stato assassinato Gian Maria Visconti. Minacciati dalla potente famiglia fiorenzuolana degli Arcelli, gli Scotti cedono i loro diritti agli arquatesi, che li rimettono a Filippo Maria Visconti, duca di Milano. Dal 1416 al 1470 il borgo si chiamerà Castel Visconti. Nel 1438 Filippo offre il feudo al condottiero Niccolò Piccinino, sotto il suo governo vengono promulgati gli Statuti Comunali, gli Statuta et Decreta Terrae Castri Arquati. Da Niccolò il borgo passa ai figli Francesco e Jacopo. Il cupo periodo del dominio visconteo si chiude con la morte di Filippo Maria senza eredi. Su Milano si allunga la mano di suo genero Francesco Sforza, che viene proclamato dopo il 1447 anche signore di Piacenza e del contado.

Il Dominio degli Sforza, fino al 1707.
Francesco Sforza è ormai sul trono di Milano, quando nel 1453 investe Bartolomeo Colleoni del feudo di Castell'Arquato. Per pochi mesi però, perché il condottiero passa alla Repubblica Veneta e il suo signore, gli toglie il feudo passandolo a Sceva da Corte e poi a Tiberto Brandolino da Forlì, anche lui fellone. È l'età dei capitani d'armi che mantengono per breve periodo il governo del borgo disinteressandosi della vita dei suoi abitanti. Quando muore lo Sforza suo figlio Galeazzo Maria è troppo giovane per reggere le sorti del ducato milanese, che è di fatto nelle mani della madre Bianca. Dapprima lei investe il cognato Bosio Sforza, conte di Santa Fiora, del feudo arquatese poi per sanare i debiti del ducato glielo vende. Passa poi a suo figlio Francesco Sforza di Santa Fiora. Nel 1499 la calata dei Francesi in Italia toglie momentaneamente Castell'Arquato (e Milano) agli Sforza: il potere è affidato a Pierre de Rohan "Gran Marescalco del Cristianissimo Lodovico Re di Francia", che lo delega al podestà Francesco Torti. Nel 1500 è Marescalco Gian Giacomo Trivulzio. Poi, cacciati i francesi, il piacentino passa sotto al dominio pontificio, prima di tornare a Francesco Sforza di Santa Fiora nel 1512. Lo Sfroza muore nell'ottobre 1527. Nel 1531 sale al potere Bosio II Sforza. Un anno prima papa Clemente VII unisce Castell'Arquato a Piacenza, sollevando le proteste degli arquatesi. Probabilmente risale a questi anni la costruzione dell'imponente Torrione Del Duca, che è ancora oggi oggetto si suggestive ipotesi sulla sua funzione e storia. Bosio II muore il 31 agosto 1533, la cittadinanza arquatese giura fedeltà alla "Serenissima sua moglie Costanza Farnese". Nel 1541 papa Paolo III Farnese, padre di Costanza, Signora di Castell'Arquato, concede l'indipendenza al borgo, avendone già gettato le premesse nel 1538 Memorabile è la sua visita nella primavera del 1543 in cui è acclamato dalla popolazione, riconoscente poiché l'indipendenza da Piacenza comportava anche alleggerimenti economici. In questa occasione il pontefice non risparmia lodi ai perfettissimi vini arquatesi. Nel 1545 diventa signore di Castell'Arquato il condottiero Sforza Sforza, figlio di Bosio II e Costanza. Muore a Castell'Arquato nel 1575 e il suo monumento funebre è ancora visibile, ricorda le sue imprese guerresche per tutta Europa. Sforza Sforza sarà insignito dell'ordine del Toson d'oro dal re di Spagna. Gli succede il figlio Francesco, cardinale, sotto la cui signoria si verificò nel 1620 la nota vicenda di Sergio e Laura. Qualche anno prima la storia registra la decapitazione di Pompeo Costerbosa che contro Francesco aveva tramato. Il governo della dinastia Sforza continua fino al 1707, quando il territorio arquatese entra a far parte del Ducato di Parma e Piacenza, è il momento di Farnese e Borboni. Significativa è in età napolenonica, nel 1805, la sollevazione di montanari piacentini. Nello stesso anno è devastato il Palazzo Pretorio, l'ultimo giorno dell'anno i francesi fanno molti prigionieri, poi fucilati all'interno della Rocca. Fino al 1860 il ducato di Parma e Piacenza diventa parte dei domini di Maria Luigia d'Austria, a questa data risale l'entrata nello stato unitario dei Savoia.

Oggi Castell'Arquato, Città d'Arte, Città del vino, resta una perla incastonata tra Emilia e Lombardia, tra Pianura Padana ed Appenino, a circa trenta chilometri dal capoluogo Piacenza e poco più da Parma. Il centro storico resta sviluppato sulla riva sinistra del torrente Arda, su quella destra si è sviluppata una zona residenziale che gode ancora della tranquillità della campagna. L'economia del borgo resta prevalentemente agricola, soprattutto legata alla coltura della vite e alla cultura del vino che affonda nei secoli; prelibata anche la produzione locale di salumi soprattutto coppa e culatello. A Castell'Arquato sono vive anche attività artigianali: ebanisteria, lavorazione del ferro battuto, realizzazione di oggetti in vetro, decorazione di ceramiche. Ma è il turismo, che soprattutto nella bella stagione anima il borgo. In estate la popolazione residente aumenta e si riaprono le antiche dimore perfettamente restaurate, buen retiro di molti che fuggono dalle grandi città. Anche il turismo di giornata riempie le vie e i vicoli di Castell'Arquato: il paese si riempie di italiani e stranieri che scoprono ammirati gli angoli più suggestivi. La primavera è invece il periodo ideale per le gite scolastiche. La ricchezza naturalistica del territorio circostante offre la possibilità di escursioni in mountain bike, a cavallo o semplicemente a piedi.
"da il comune di Castell'Arquato, attività turistiche del comune"
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