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Teresina - Piccole Storie Dimenticate

TERESINA
"racconto di Piero Zucconi"

Le piccole storie qui raccontate sono basate su fatti realmente accaduti che riguardano alcuni miei antenati: Luigi e Ferdinando Zucconi, Giustina Borselli e sua figlia Teresa Pecorini, mia nonna. Le storie sono tutte ambientate nel paese di Campremoldo Sotto che ha fatto da fondo storico e sociale alla mia ricerca. Alcuni personaggi sono realmente esistiti, altri sono inventati, ma tutte queste persone hanno preso corpo nella narrazione degli avvenimenti che ho cercato di ricostruire ed ora vivono nel mio cuore.

Teresina era la figlia di Giulio Pecorini e di Giustina Boselli. Era nata a Campremoldo Sotto il 19 Settembre 1860 ed era la seconda di quattro figli che, oltre a lei, erano Carlo, di tre anni più anziano, Emilia e Luigi rispettivamente più giovani di sei e sette anni. Teresina aveva ereditato l'aspetto da suo padre: era alta, con la faccia rotonda ed i lineamenti ben delineati. Il suo nome era Teresa, ma come accade per tanti bambini che vengono chiamati da piccoli con il diminutivo, questo le restò appiccicato per tutta la vita. Non era bellissima come sua madre; del resto quale donna avrebbe potuto esserlo? La casa di Teresina si trovava al centro del paese ed era stata fatta costruire da Don Azio, parroco di Campremoldo per sua nipote Giustina che vi era andata a vivere col marito. Don Azio aveva sempre dimostrato un affetto particolare per sua nipote Giustina che aveva accolto in casa sua a Campremoldo assieme alla sorella Caterina quando, quasi ventenni, erano uscite dal collegio. Teresina era così cresciuta in campagna, ben felice di trovarsi nella realtà in cui viveva. La sua famiglia era abbastanza benestante da non avere particolari problemi economici. Suo padre Giulio possedeva una fattoria e delle terre a Castel San Giovanni condotte dai suoi mezzadri ed un allevamento di cavalli che costituiva il suo orgoglio. Campremoldo Sotto era un paese piccolo ma popoloso. Vi era la chiesa, uno spaccio di alimentari ed un'osteria, una bottega di barbiere, una segheria e perfino una pesa pubblica. Amministrativamente dipendeva da Gragnano che distava due chilometri e mezzo, e che costituiva la méta dei viaggi che Teresina compiva con la famiglia in occasione di feste o di mercati. Personalmente, era stata a Castel San Giovanni a trovare i nonni o ad un negozio di stoffe e di abiti da donna, ma era arrivata all'età di 17 anni senza mai essere stata a Piacenza. Accadde però che nel 1877 venne l'occasione e per un motivo del tutto particolare: assistere ad un'opera lirica al teatro Municipale di Piacenza! Infatti un parente di Milano, Osvaldo Boselli, zio di sua madre Giustina e fratello di Don Azio, inviò una lettera con questo invito, che era rivolto ai suoi genitori con la precisazione che avrebbero potuto portare con sé anche i figli maggiori. Carlo, il primogenito, si trovava a Pinerolo per arruolarsi nel reggimento Nizza Cavalleria dell'esercito piemontese ed Emilia e Luigi erano troppo piccoli per poter partecipare ad un avvenimento del genere, ma Teresina poteva ben farlo, anzi lo voleva assolutamente! Questo tale Osvaldo Boselli era un ricco commerciante di seterie che aveva amicizie altolocate ed essendo stato invitato a Piacenza per un incontro d'affari dai signori Trevani, pensò bene di organizzare una serata di teatro con i suoi parenti di Campremoldo che da tempo non vedeva. Teresina era elettrizzata all'idea di partecipare a quell'avvenimento e nei giorni che precedevano quello fatidico, raccontava a chiunque incontrasse che sarebbe andata a vedere un'opera lirica a Piacenza, facendo morire d'invidia tutte le sue amiche che l'immaginavano già, seduta su di una poltrona di velluto, assistere ad uno spettacolo operistico in un teatro illuminato. L'idea del viaggio, di poter vedere Piacenza, di poter assistere ad uno spettacolo di tanta bellezza, non la lasciava dormire. Aveva 17 anni e voleva, almeno per quella volta, provare il gusto dell'avventura. Sua madre Giustina non era meno emozionata di lei anche perché con lo zio Osvaldo ci sarebbe stata anche sua sorella Caterina che viveva a Milano e faceva l'insegnante. Ora avrebbe potuto rincontrarla! Quante cose avrebbero avuto da raccontarsi! Voleva assolutamente essere all'altezza dell'avvenimento e subito il suo pensiero era volato agli abiti che avrebbe potuto indossare. Giustina era una donna che in gioventù era stata considerata come un insuperabile esempio di bellezza, una bellezza che non era svanita nemmeno ora che aveva 45 anni. Poteva suscitare ammirazione a prescindere dall'abito portato, ma era preoccupata di dover “fare bella figura” ed in ogni modo aveva già programmato che in quell'occasione avrebbe indossato qualcuno dei gioielli di famiglia. Il solo ad essere titubante era Giulio, suo marito, che trovava delle difficoltà nella programmazione del viaggio e dell'alloggio, perché avrebbero dovuto partire un pomeriggio e sarebbero tornati soltanto il giorno dopo. Ma dovette arrendersi di fronte all'entusiasmo di Giustina che, rimproverandogli la sua pigrizia, gli disse che non doveva preoccuparsi perché la carrozza l'avrebbero tirata i cavalli, sul Trebbia che dovevano attraversare c'era un bel ponte e che per la notte sarebbero stati ospiti a casa degli amici di suo zio Osvaldo. Allora Giulio prese a vantarsi di avere una zia di Castel San Giovanni, sorella di suo padre, che si chiamava Pecorini Giovanna ed era una soprano diplomata al Conservatorio di Milano. Aveva cantato al Municipale di Piacenza e al Teatro Grande di Brescia interpretando diverse opere. Poi nell'agosto del 1846 aveva cantato anche al Carlo Felice di Genova, nell'opera “La gazza ladra” di Rossini e al Teatro San Benedetto a Venezia aveva dato vita al personaggio di Annetta nell'opera “Crispino e la comare”. Chi più di lui era indicato a partecipare ad una rappresentazione operistica? Quando venne quel giorno, Teresina salì in carrozza con i suoi genitori ed alla partenza fu salutata da una piccola folla che sventolò i fazzoletti. Poi tutto si svolse come in un sogno. Il viaggio fu piacevole e senza incidenti. Arrivarono a Piacenza dalla Porta di Sant'Antonio ed attraverso una serie di vie strette fra le case, raggiunsero il cortile acciottolato di un bel palazzo che si trovava nella piazza antistante la chiesa di Sant'Antonino. Qui i coniugi Pecorini e Teresina, furono accolti dagli ospiti Trevani e trovarono assieme a loro Osvaldo Boselli e la sua figlioccia Caterina che li aspettavano con ansia. L'incontro tra le due sorelle Boselli fu festoso e nello stesso tempo commuovente. Erano anni che non si vedevano e nell'abbracciarsi dopo tanto tempo rivissero in un attimo la loro gioventù. Entrambe erano cresciute in collegio e quando ne erano uscite, erano andate ad abitare presso Don Azio, loro zio, a Campremoldo. Ma in seguito, Giustina si era sposata e Caterina qualche anno dopo aveva scelto di andare ad abitare a Milano dallo zio Osvaldo che l'aveva accolta come una figlia. Così adesso si ritrovavano e la gioia di rivedersi era stampata nei loro sorrisi. Da quel momento non si lasciarono un istante e per tutto il tempo furono viste chiacchierare tra di loro. Teresina, quando sua zia Caterina l'abbracciò e le disse che si era fatta grande, notò che era assomigliava molto a sua madre e che era altrettanto bella. Quando Teresina entrò nel teatro al braccio di suo padre, rimase abbagliata dallo splendore del suo interno e dall'eleganza del pubblico presente. I suoi occhi inseguivano i vestiti delle altre ragazze presenti e le loro acconciature, paragonandole alle proprie con imbarazzo. Infatti lei indossava un semplice vestito di panno verde dalla scollatura quadrata e portava i capelli raccolti a treccia sulla nuca. Invece Giustina, sua madre, si era rivolta ad una famosa sarta di Castel San Giovanni che le aveva confezionato un vestito all'ultima moda, blu con orlature color oro. Aveva ricevuto i complimenti dei signori Trevani che le avevano detto che il pubblico si sarebbe chiesto se assieme a loro ci fosse una regina. In attesa dell'inizio dello spettacolo, Teresina ammirava anche la bellezza del teatro, cercando di osservare tutto con attenzione per poterlo descrivere al suo ritorno, ma troppe erano le cose che la colpivano e temeva di non poterle ricordare tutte. Poi le luci delle lampade furono abbassate, l'orchestra incominciò a suonare e a lei parve di ascoltare la più bella melodia che le sue orecchie potessero sentire. Quello che avvenne sul palcoscenico fu qualcosa a lei incomprensibile. Capì soltanto che si stava rappresentando una storia drammatica di grande interesse e commozione. Le voci dei cantanti vibravano sulla scena e riempivano di melodia la platea affollata e i palchi dorati fino a raggiungere la volta dipinta di quel paradiso. Il giorno seguente, prima di intraprendere il viaggio di ritorno, Giustina ordinò al vetturino di passare per la strada che portava alla Piazza dei Cavalli, la piazza principale della città, per poterla ammirare assieme a Giulio ed a Teresina. Era una grande piazza piena di carrozze per il servizio di trasporto e di banchi di vendita dei prodotti più disparati fra i quali scorrazzavano tanti ragazzini. Sullo sfondo troneggiava l' imponente palazzo del Comune che aveva il basamento ad archi di pietra ed un piano di mattoni rossi merlato, alla cui sommità svettava una torretta con la campana. Ai lati della piazza selciata, sorgevano due statue equestri di bronzo dallo stupefacente realismo che raffiguravano due duchi della dinastia dei Farnese, signori di Piacenza, che due secoli prima avevano insignito i Boselli del titolo nobiliare. Teresina ed i suoi genitori scesero di carrozza ed attraversarono la piazza, passando fra la gente che curiosava fra i banchi di vendita. Fra questi vi era un venditore di oroscopi che per un soldo distribuiva dei foglietti stampati sui quali si poteva leggere il proprio destino. Costui si chiamava Giuseppe Pollaroli ed era l'ideatore dei “pianeti della fortuna” che vendeva girando le piazze ed i mercati. Ad ognuno destinava un foglietto, che era scelto a caso dal becco di un vivace pappagallino, fra tutti quelli che appartenevano alla categoria del destinatario e, per far questo, il venditore di oroscopi aveva diviso l'umanità in sedici categorie per poter meglio indirizzare le sue previsioni. Teresina volle provare e dopo aver rifiutato un oroscopo che riguardava una “ragazza”, preferì quello che destinato ad una “donna giovane”. Vi lesse che ben presto avrebbe trovato per marito un uomo ricco e coraggioso ed avrebbe vissuto fino ad anni 87. Comunque le consigliava di essere affabile con tutti e che per essere felice doveva scacciare una persona che godeva della sua confidenza perché era falsa. Teresina si chiese chi potesse mai essere. In occasione del matrimonio di Giustina con Giulio Pecorini, Don Azio aveva fatto costruire per i due coniugi il caseggiato adiacente alla chiesa affinchè potessero vivere a Campremoldo la loro vita matrimoniale secondo il volere di Dio. Inoltre il prete aveva promesso alla nipote l'eredità della casa e della terra e questo era stato scritto nel suo testamento. Di questo testamento venne a sapere anche Fernanda, la moglie del cugino del prete che lavorava la terra a mezzadria e viveva nel fabbricato attiguo la stessa casa canonica. Fu Giustina a rivelarle la cosa, lodando il provvedimento dello zio e benedicendolo per la sua scelta. Fernanda accolse la notizia con apparente freddezza e subito informò del fatto il marito Egidio. Costui era un tipo scontroso che mal sopportava di lavorare a mezzadria, considerando che a lui toccava la fatica ed al prete i frutti. La terra di proprietà di Don Azio era ubicata a nord della chiesa ed era coltivata a granoturco, erba medica e patate. Su questa terra vi era anche una stalla con otto mucche da latte, due manzole e due buoi che servivano per i lavori di aratura e di trasporto dei carichi. Era una buona terra, ben irrigata che forniva prodotti sufficienti alle necessità di più famiglie. Inoltre vi si tenevano animali da cortile: galline, faraone e tacchini. C'era del lavoro da fare per coltivarla ed Egidio, dovendolo fare solo con l'aiuto di un bergamino, si lamentava del suo impegno pensando che doveva lavorare per due, perché la metà dei prodotti sarebbero finiti nelle mani e nella pancia del cugino prete che, mentre lui sudava sotto il sole o tremava per il gelo, se ne stava bello seduto in poltrona a fiutare tabacco. Quando sua moglie gli sussurrò la notizia del contenuto del testamento e della destinazione della terra a Giustina, prese a portare rancore verso Don Azio. Fernanda gli aveva insinuato quel tarlo ed ora contribuiva a farlo rodere in testa al marito con tutti gli argomenti di cui disponeva. Il prete non vedeva che tutto il lavoro gravava sulle loro spalle? Se fosse stato animato da un minimo senso di giustizia, non si sarebbe comportato in quel modo ed avrebbe lasciato la terra a loro, non alla nipote che non sapeva nemmeno come si mungeva una mucca. Loro la meritavano per tutto il lavoro che vi avevano profuso, concludendo che quell'ingiustizia non poteva essere sopportata e che bisognava “fare qualcosa”. Fernanda per prima cosa smise di provvedere alla tenuta della chiesa ed al prete, che le chiese conto di questa presa di posizione, rispose che aveva troppo lavoro da fare con l'orto, gli animali e la casa e non avrebbe potuto più servirlo come aveva fatto sino ad allora. Don Azio rimase perplesso nel sentire quelle parole pensando che cosa fosse successo perché quella donna si dimostrasse di colpo così astiosa, ma non obiettò. Non voleva avere discussioni con lei e pensava che le cose sarebbero andate a posto da sole. Il tarlo che rodeva Fernanda non si placava e quasi giornalmente l'argomento del testamento entrava nei discorsi che la sera, prima di dormire, lei ed Egidio si sussurravano al buio. Lei rimproverava al marito che, dopo tanto parlare dell'ingiustizia che stavano subendo con il testamento a favore di Giustina, adesso pareva quasi che lui si fosse dimenticato di tutto e non facesse niente per sanare quella situazione. “Cosa potrei fare?” replicava l'uomo. “Dovrei andare da mio cugino prete a dirgli di cambiare testamento e di lasciare tutto a noi? Dovrei andare ad inginocchiarmi davanti a lui? Inginocchiarmi davanti ad uno che fa il prete e non ha nemmeno il buon senso di comportarsi secondo giustizia?” “Potresti dirgli che almeno la terra che è fradicia del tuo sudore poteva lasciartela! La casa può anche darla a sua nipote, ma la terra, no. La terra deve venire a noi! E allora perché veniva a dirci che il nostro lavoro era benedetto da Dio? Cos'era una presa in giro?” “E secondo lui, io dovrei continuare nella mezzadria sapendo che quello che si ricava dalla terra deve andare a riempire la pancia di quella donna che è già ricca di per sé e di quel suo uomo che se ne sta tutto il giorno all'osteria a bere perché non ha nessuna preoccupazione e perché sa che a sera la sua tavola sarà apparecchiata con ogni ben di Dio senza che lui muova un dito? Lui se ne va a caccia con quei suoi amici altolocati di Castel Mantova ed io devo provvedere a dar da mangiare ai suoi cani! Ma ci deve essere una giustizia!” Dopo quelle considerazioni, si alzava il silenzio ed il sonno arrivava tardi a cancellare ogni pensiero. Finchè un giorno Fernanda, dopo essere stata in visita ad una sua sorella che abitava alla Moffelona di Gragnano ed aver con lei di nuovo discusso della questione del testamento, ebbe la sensazione che ci poteva essere una via di uscita chiedendo parere a qualcuno che ne sapesse più di loro. Disse al marito che sua sorella le aveva detto che bisognava sentire un certo Civardi, che era Segretario al Comune di Gragnano e che era una persona pratica di questioni d'eredità in quanto tutti i giorni si recava dal notaio Postiglioni per sottoporgli le questioni che riguardavano la proprietà pubblica di certi lasciti. Lui sapeva leggere e scrivere, ed esaminando quel testamento
poteva dare un consiglio o mettere una buona parola a favore suo e di Egidio. Infatti loro due, anche se avessero potuto leggere il testamento, non avrebbero capito cosa c'era scritto, essendo stato redatto in latino, come se un prete non potesse scrivere come tutti gli altri. L'idea piacque al marito di Fernanda, così il giorno di San Martino presero il biroccio ed andarono a parlare con il Segretario Civardi. Prima si fermarono alla Moffelona e fecero salire con loro la sorella di Fernanda che poteva presentarli all'uomo a cui dovevano chiedere consiglio. Avevano portato con sé due bei capponi da brodo per poter ricambiare il favore che veniva loro fatto, mentre avevano lasciato a Campremoldo la loro figlia Augustina che non poteva far altro che annoiarsi, se li avesse seguiti. Quel giorno c'era il mercato a Gragnano ed il centro del paese era animato da un andirivieni di gente che sostava a gruppetti indugiando in discorsi che riguardavano gli affari, la coltivazione dei campi o deviavano in argomenti familiari. I personaggi più in vista erano i mediatori che spesso, prima di entrare in discussione tra di loro, s'informavano dei loro figlioli, delle loro donne, delle loro fattorie, ma quando parlavano d'affari si tempestavano l'un l'altro di imprecazioni da far battere il cuore. L'appuntamento con il Segretario Civardi era stato fissato per mezzogiorno. Puntuali, Egidio e le due donne bussarono alla porta e vennero fatti accomodare in una sala ben arredata con una credenza dalle antine di vetro molato, un tavolo di noce ricoperto da una tovaglia ricamata e quattro sedie in stile. Al centro del tavolo c'era un piatto largo sul quale era in bella mostra una ciambella zuccherata. Il Segretario Civardi era vestito con un abito di panno nero con i bottoni dorati che era consono alla sua carica. Dopo le presentazioni, ad un suo cenno, entrò nella stanza una donna in grembiule che, sorridendo, portò un vassoio con una bottiglia di vino bianco appena stappato e quattro bicchieri. Il vino spumeggiava e Fernanda e sua sorella si schernirono affermando che non sarebbero state capaci di bere tanto a quell'ora, ma la donna replicò che non era niente di speciale ed un po' di vino non avrebbe fatto certamente male. Mentre i due capponi si agitavano nella loro stia, Civardi disse alla donna, che non si capiva se fosse sua moglie o una serva, di portarli fuori, poi chiese ad Egidio dove aveva lasciato il biroccio e se la sorella di Fernanda era stata una buona guida per indicar loro la strada per arrivare a casa sua. Poi con fare serio incominciò ad informarsi del motivo della loro visita. Egidio disse che erano venuti da lui per una questione di grande importanza che poteva essere risolta soltanto da qualcuno che si intendesse di testamenti e di eredità. Fernanda aggiunse che loro non sapevano leggere bene nemmeno l'italiano, figurarsi il latino, perché si trattava del testamento di un prete che prevedeva un grave torto a loro danno e incominciò a raccontare quello che le aveva detto Giustina. Descriveva quel colloquio riportando le parole di Giustina con tono sgraziato, mente quando parlava di sé ostentava una voce calma e gentile. Il Segretario Civardi ascoltava ad occhi chiusi come per capire meglio ogni particolare. Aveva una faccia larga e simpatica ed un paio di baffi piegati all'insù che gli davano un tono autoritario. Si fece ripetere il racconto ed alla fine si schiarì la voce chiese con tono ispirato: “Mi sapete dire dove si trova adesso il testamento?” “In casa del prete” rispose Fernanda. “Lei dice che il prete lo tiene in casa sua, ma io ho sempre
saputo che per fare testamento bisogna andare dal notaio” disse Egidio. “Non è detto” replicò Civardi. “Dal notaio ci vanno quelli che non sanno scrivere. Loro dicono a voce la loro volontà in presenza dei testimoni ed il notaio scrive quello che gli viene detto. Invece un prete che sa certamente leggere e scrivere, non ha bisogno di andare dal notaio. Un testamento scritto di sua mano è perfettamente valido. Poi lo può tenere dove vuole. In un cassetto, in un armadio o anche sotto il letto.” “Per quello che ne so, potrebbe anche essere scritto sul pavimento” replicò Egidio stizzito. “Ma voi, questo testamento l'avete visto?” “No, ma se lo ha fatto, lo terrà dove tiene tutte le sue carte..” disse Fernanda. “Se volete che vi dia il mio consiglio su cosa dovete fare, ho bisogno di sapere cosa dice il testamento, quali sono i suoi beni e a chi li lascia.” “Se sua nipote ha detto che ha lasciato tutto a lei, sarà vero.” disse Egidio. “Con questo la sostanza non cambia. Bisogna che qualcuno dica a mio cugino che ha fatto una vera ingiustizia e che se non cambia il testamento potrebbe andare anche in galera, lui che è prete!” Civardi sorrise stancamente a quelle parole, come se avesse sentito una grossa bestialità. Invitò le signore ad assaggiare la ciambella e si rivolse ad Egidio. “Voi, come fate di cognome?” “Bavagnoli” “Sentite, Bavagnoli. Ascoltatemi bene. Voi mi avete raccontato che la nipote del prete ha detto a vostra moglie che questo prete di Campremoldo ha lasciato tutti i suoi beni a lei, e voi mi dite anche che fra questi beni si trova la terra che voi lavorate a mezzadria. Ma la terra è di proprietà del prete, non vostra e se lui vuole lasciarla a sua nipote voi non potete farci niente. Questa per voi è una ingiustizia, ma la legge non sempre è giusta.. Ma andiamo con ordine. Potete voi essere sicuro che quello che quella donna ha detto a vostra moglie sia vero?” “Mi state dicendo che le ha raccontato una balla?” chiese speranzoso Egidio. “No. Sto solo dicendo che a volte le donne parlano per parlare e che non tutto quello che esce dalla loro bocca corrisponde a verità. E allora, come si fa a sapere se quello che ha detto è vero o non è vero? Bisognerebbe accertarsi che il testamento esiste davvero e se esiste, leggerlo e vedere quello che ci è scritto sopra. Potrebbero esserci scritte anche delle cose diverse. E' capitato tante volte che qualcuno si è lamentato che
quello che aveva fatto testamento gli aveva promesso questo e quello e che poi, quando il testamento si è aperto non ha trovato quello che si aspettava! Ci sono delle persone che a voce promettono una cosa e poi ne fanno un'altra. Quelli che pensano di dover morire non sono mica stupidi. Magari vogliono lasciare la casa o la terra o anche una pentola piena di monete d'oro a chi vogliono loro, ma sanno che qualche parente o la serva che li cura o il prete della chiesa si aspettano qualcosa e, per non renderseli nemici, raccontano su un po' di balle. 'Neh, Marietta, fai la brava, continua a portarmi la mia minestra a letto mentre io sono ammalato e poi quando morirò ti lascerò la casa'. 'Neh, Giovannino, tagliami l'erba, dai da mangiare alle mucche, portami un sacco di castagne ed io col testamento ti lascio in eredità la mia cavalla..' Poi quando si aprirà il testamento quelli rimarranno delusi per la mancata promessa, ma lui a quell'ora sarà in un posto dove la loro rabbia non arriva! Eh, ne succedono di queste cose, cari miei, oh se ne succedono! ” Egidio e sua moglie ascoltavano queste parole a bocca aperta, colpiti dal realismo di quel discorso, mentre la sorella di Fernanda annuiva soddisfatta per aver suggerito loro di rivolgersi ad una persona che la sapeva veramente lunga. “Eh, avete ragione” ammise Egidio. E poi rivolto alla moglie: “Lui le cose le sa, ma tu continuando ad insistere nelle tue fantasie ci hai fatto fare una figura da locchi, perché siamo venuti qui senza sapere niente!” “E allora.. cosa dovremmo fare?” chiese timidamente Fernanda. Civardi trasse un respiro profondo. “Dobbiamo sapere se quel testamento esiste davvero e che cosa ci è scritto sopra. Solo dopo potremo pensare a che cosa fare. Voi dovete trovarlo e portarmelo qui, in modo che io possa leggerlo e rendermi conto di quello che comporta. In caso contrario, non saprei proprio come aiutarvi. Non posso dirvi altro.” “Siamo venuti per niente e abbiamo fatto una figura da locchi..” continuava a ripetere Egidio a sua moglie durante il viaggio di ritorno.” “Perché?” ribatteva Fernanda. “Intanto ci siamo fatti un'idea un po' più precisa.” “Di che cosa? Quel furbone ci ha detto bello chiaro che per darci un consiglio doveva vedere il testamento. Cosa vuole? Che andiamo dal prete a dirci se ce lo da, che dobbiamo far vedere a lui? Ci venga lui a cercarlo a casa del prete! Lui che sa leggere!” “Invece io ti dico che quello lì non è mica uno stupido e ci ha detto la cosa migliore che poteva dire. Io ho capito quello che lui pensava. Ti ricordi che ci ha detto che per darci un suo parere doveva vedere il testamento? Ebbene? Noi lo prendiamo e glielo portiamo!” “Ma come facciamo se non sappiamo nemmeno dov'è?” “Bisogna cercarlo.” “Cercarlo dove?” “Cercare dov'è!” “E come facciamo? Non possiamo mica andare in casa del prete a frugare fra le sue carte. Pensi che non se ne accorgerebbe?” “Bisogna trovare il momento giusto, quando lui non c'è.” “A me mi pare che è una cosa un po' difficile da fare.” “Per te le cose sono tutte difficili. Basta avere un po' di testa..” “Io la farò difficile, ma tu fai tutto facile, cara mia!” Si poteva dire che Fernanda era di casa nella canonica, un po' perché aveva l'uscio lì accanto ed un po' perché molte cose che potevano interessare la vita quotidiana sua e quella di Don Azio venivano gestite in comune. Se c'era da procurarsi la farina o il latte o le uova delle galline, si faceva provvista per le necessità di entrambi e le due donne svolgevano spesso assieme i lavori che riguardavano la tenuta delle due case e della chiesa. “Quanta pazienza ci vuole” diceva la perpetua. “Si fa più fatica a servire un prete che dieci uomini!” Un giorno che Don Azio venne chiamato al Pilastro per impartire l'olio sacro ad un moribondo, Fernanda, che assieme a Domenica stava preparando una sfogliata di pasta, portò la perpetua a chiacchierare sull'argomento che le stava a cuore. Le raccontò che Giustina le aveva detto che il prete le aveva promesso di lasciarla erede nel testamento e le chiese se lei vedesse bene questa decisione perché, vivendo lei ormai da tanti anni in quella casa, da questo fatto poteva avere delle ripercussioni. Domenica rispose che non poteva pretendere niente e se Don Azio aveva deciso così era naturale, perché quella era sua nipote ed era una Boselli. “Ma Don Azio, non vi ha detto niente di questo testamento?” insinuò Fernanda. “Non vi ha spiegato cosa potrebbe capitare se lui dovesse morire?” “A parte il fatto che io sono più vecchia di lui, cosa mai dovrebbe capitare? Se Don Azio dovesse morire ed io sarò ancora al mondo, verrà un nuovo prete ed io farò da perpetua anche a lui!” rispose Domenica. “Si, ma se la Giustina sarà padrona di tutto, non si può sapere quello che farà. O forse il nuovo prete potrebbe anche volerci mettere qualcun'altra al vostro posto. Non vi pare? E voi, dove andrete? Don Azio non vi ha detto se vi ha lasciato qualcosa nel testamento che possa sostenervi per non finire sulla strada?” “No, non mi ha detto niente, ma lui è un sant'uomo e farà tutto per bene. Da lui non ho avuto che del bene. E poi si sa che Dio vede e Dio provvede.” Fernanda però non si accontentava di quelle risposte generiche e voleva andare a fondo alla faccenda. “Certo, certo. Si, si.. Ma la Giustina a volte dice delle cose che poi non si rivelano vere. Come quando diceva che suo figlio Carlo non sarebbe andato a militare, invece poi lo hanno spedito a Torino nell'esercito. Lei mi ha parlato di questo testamento ma io penso che se esistesse davvero, Don Azio ve ne avrebbe parlato, invece voi dite che non vi ha detto niente..” “Perché doveva dirmelo? Se l'ha fatto si vedrà quando sarà il momento.” “Ma voi che tenete in ordine la sua stanza, non l'avete visto?” “Cosa volete che veda? Ci sono tante carte in camera sua che ci ha riempito un armadio.” In quell' armadio c'erano registri e documenti che riguardavano la chiesa e le sue proprietà, c'erano lettere ed ordinanze, testi di prediche e programmi di cerimonie religiose. Fogli arrotolati chiusi con un nastro, rendiconti di spese ed elenchi di benefici ricevuti, immagini religiose e perfino biglietti ricordo delle prime comunioni dei bambini del paese. “Però, continuò Domenica, io in quelle carte non ci guardo, un po' perché ci capisco poco e poi perché non sono curiosa.” E qui lanciò un'occhiata significativa a Fernanda, sottintendendo che invece la la curiosa era lei. Fernanda aveva una figlia che si chiamava Augustina. Era una bimbetta di sette anni che viveva più in casa d'altri che in casa propria, trovando compagni di giochi i figli più piccoli di Giustina, Emilia e Luigi, che avevano all'incirca la sua età. Naturalmente c'era anche Teresina, ma la ragazza era più grandicella e non faceva per lei giocare in cortile con quelli che considerava ancora dei bambini. Era più propensa alla compagnia del fratello maggiore Carlo che lei adorava. Ad Augustina piaceva seguire la madre quando andava in casa di Don Azio a sbrigare qualche faccenda assieme a Domenica ed essendo una bambina curiosa, mentre le due donne erano indaffarate, andava ad esplorare le altre camere della casa, compresa le stanza di Don Azio, dove trovava paramenti, libri, calici e ostensori, tutte cose che la incuriosivano. Il prete la trattava benevolmente, soddisfaceva la sua curiosità spiegandole a cosa servissero quegli oggetti, le spiegava che i piviali erano di colore diverso uno dall'altro perché si dovevano usare in diversi momenti liturgici. “E questo nero, le diceva, serve per i funerali.” Ad Augustina quel mantello nero faceva paura e Don Azio, che se ne era accorto, le spiegava il mistero della morte, dell'Inferno e del Paradiso che la bambina pensava fosse un bel giardino pieno di fiori. “Ma quando si è in Paradiso,”chiese una volta Augustina, si può vedere ancora la mia casa? E si può parlare con la mamma?” “Ma certamente, la consolò il prete, però quando si è morti si può parlare ai vivi lasciando degli scritti o delle lettere che loro leggeranno.” Andò ad una ribaltina che si trovava sotto la finestra e sopra la quale troneggiava un crocifisso d'ottone. Aprì uno dei cassettini, estrasse una busta chiusa e la mostrò ad Augustina. “Anch'io ho fatto così e in questa busta ho messo una lettera che verrà letta quando sarò morto, perché voglio che tutti sappiano che cosa ho pensato per loro quando ero ancora vivo. Si chiama testamento.” La bambina guardò la lettera con stupore come se Don Azio le stesse facendo un gioco di prestigio. Augustina raccontò a sua madre quello che aveva visto in casa del prete e quello che lui le aveva raccontato. Del mantello per i funerali, del Paradiso e di una lettera che i morti scrivono che si chiamava “testa-tempo”. Sulle prime, Fernanda non fece caso a quel nome, ma quando lo sentì ripetere dalla figlia strabuzzò gli occhi e disse: “Non avrà mica detto testamento!”. Augustina non poteva confermarglielo, ma lei si rese conto di aver appreso una straordinaria notizia: il testamento esisteva davvero! Chiese alla figlia dove Don Azio avesse preso la busta che le aveva mostrata e se era sicura che lui avesse detto che quello era il suo testamento. “Si, rispose la bambina, ma non si può leggere se lui non muore.” Quella sera stessa Fernanda raccontò al marito di quella scoperta ed Egidio rimase colpito da quella rivelazione. Subito non disse niente, restandosene a lungo muto e pensieroso. Solo al momento di andare a dormire, dopo aver soffiato per spegnere la candela che era accesa sul comodino accanto al letto disse: “Bisogna farla da furbi, da furbi!” Ora che Fernanda sapeva che il testamento era chiuso in un cassetto della ribaltina, aspettava il momento buono per impossessarsene e per vedere che cosa disponeva. L'avrebbe fatto vedere al Segretario Civardi e lui avrebbe saputo cosa fare. Ma il momento buono non arrivava. Verso la fine di quell'anno, la salute di Don Azio incominciò a peggiorare, finché fu costretto a letto e non poté più svolgere le funzioni religiose. Il medico parlava di bronchite, ma presto si accertò che si trattava di polmonite dovuta al clima freddo di quella stagione. Aveva una forte tosse, febbre accompagnata da brividi e provava acuti dolore al torace. Fu curato con pappine di semola che Domenica gli applicava con dei panni riscaldati sulla stufa, ma il prete non si riprendeva e riusciva solo a bere un po' di brodo caldo. Le funzioni della novena di Natale venne a svolgerle il curato di Gragnano che invitò i parrocchiani a pregare per la salute di Don Azio. Ben presto però si capì che quelle preghiere non sarebbero state esaudite. Don Azio era dimagrito al punto da sembrare rinsecchito ed aveva sempre più spesso momenti di incoscienza. Lo stato di salute di Don Azio creava preoccupazione anche a Fernanda che disse a suo marito che era arrivato il momento di fare qualcosa. Se il prete moriva, il testamento sarebbe stato aperto e loro non avrebbero più potuto fare niente. Bisognava prenderlo subito, altrimenti sarebbe stato troppo tardi. “E noi al ciapum in dal pulachéi!” concluse Egidio. La sera stessa a un'ora tarda, Domenica uscì di casa, attraversò il cortile buio con una lampada in mano ed andò a casa di Giustina per chiederle se non avesse per caso un po' di miele, perché il suo l'aveva finito e voleva preparare una scodella di latte addolcito per Don Azio. Giustina stava pulendo la tavola dopo aver cenato e disse a Teresina, che era seduta accanto al fuoco, di andare di sopra a prendere il miele per Domenica. Nel soggiorno era acceso il camino e Giulio era intento a fumare la pipa ed a compilare un solitario di carte. Invitò Domenica a sedersi sulla sedia lasciata libera da Teresina e le chiese: “Allora, come sta? E' venuto il dottore?” “Il dottor Confalonieri è andato via adesso.” rispose Domenica. “Per fortuna ha il carrozzino con la capote perché la notte è fredda sta piovendo un pò.” “Cos'ha detto?” “Purtroppo non ci ha dato buone notizie. Ha detto che ha i polmoni pieni di catarro e non riesce a liberarli. Ha detto che ormai l'unica cosa che possiamo fare è pregare!” disse Domenica e scoppiò a piangere. “Per quello le preghiere non gli mancheranno” soggiunse Giustina. “Mio zio è un sant'uomo ed ha fatto tanto bene a Campremoldo. Lui ha aiutato tutti, i poveri ed i bambini. Si può dire che i miei figli sono cresciuti sotto la sua guida e sono cresciuti bene, perché sono tutti bravi. Io non posso pensare che un giorno non ci sarà più, ma se questo è il volere di Dio, sia fatta la sua volontà.” Ci fu un momento di commozione e nessuno sapeva più cosa dire. Fernanda aveva sentito Domenica aprire l'uscio. Era balzata alla finestra e l'aveva vista uscire e dirigersi verso la casa di Giustina. Capì che doveva subito approfittare di quell'occasione e svelta andò in canonica, raggiunse la camera del prete e si avvicinò al letto. “Allora, Don Azio, come state?” chiese. Il prete non rispose. Era rannicchiato nel letto, avvolto nelle coperte e portava in testa una cuffia da notte. Il suo viso era rosso e sofferente, aveva la bocca aperta dalla quale usciva un respiro rauco ed affannoso e teneva gli occhi chiusi. La stanza era in penombra, una sola candela gettava una luce fioca nella stanza, dove le ombre si annidavano scure. Sul comodino, vicino ad un piatto con un po' di brodo avanzato, c'era un bicchiere di vino e una bottiglietta di sciroppo chiusa. Fernanda prese la candela e con quella vide la propria ombra sul muro. Si diresse verso la ribaltina e incominciò ad aprirne i
cassettini. Sola soletta in uno di questi, vi era una busta chiusa con un nastro che portava la scritta “Ultime volontà del servo di Dio Azio Boselli”e le lettere puntate “s.p.m.v.” Fernanda la prese e se la mise nella tasca del vestito. In quel momento Don Azio parlò. Fernanda ebbe un sussulto, temendo di essere stata scoperta, ma si tranquillizzò quando capì che il vecchio prete stava recitando una giaculatoria. Svelta, uscì. Teresina era salita al primo piano a prendere il miele. Dalla finestra dello sgabuzzino aveva una veduta sul cortile e sulla canonica. Da lì poteva vedere chi entrava e chi usciva, seguire il movimento che avveniva in cortile ed i giochi dei bambini che di solito l'animavano. Poteva buttare lo sguardo anche nella camera di Don Azio che spesso vedeva seduto ad una ribaltina intento a scrivere lettere o a prendere appunti per i testi delle prediche che avrebbe fatto durante la messa.
Teresina prese un vasetto di miele dalla dispensa e diede un'occhiata verso la camera del prete dove si vedeva la luce di una candela. Lei sapeva che là si trovava Don Azio: giaceva in un letto dal quale non si sapeva se si sarebbe più rialzato. Poi vide un'ombra entrare in quella stanza e poco dopo le parve che la luce della candela si muovesse.
Fu subito allarmata perché, se Domenica si trovava da basso in casa sua, chi poteva essere la persona che si aggirava furtivamente in quella stanza? La luce era fioca, ma la scena era inquietante. Era senz'altro un ladro andato per rubare! Teresina scese di corsa le scale e gridò a Domenica che aveva visto qualcuno entrare in camera di Don Azio, che andasse a vedere perché si trattava senz'altro di un ladro. Domenica riprese la lampada ed uscì invocando la Madonna. Con prontezza, Giulio prese un ferro dal camino e la seguì, pronto ad affrontare chiunque per sventare la minaccia. Teresina e sua madre risalirono le scale e si misero alla finestra per assistere agli sviluppi del fatto. Anche i fratelli di Teresina che erano già a letto, accorsero, svegliati da quelle voci concitate, formando così una platea di spettatori attenti. Videro Domenica attraversare il cortile e Giulio seguirla brandendo quel ferro come se fosse stata una spada. Emilia e Luigi, alla vista del padre così armato e deciso emisero dei gridolini di eccitazione, sperando di assistere ad uno scontro furibondo. Domenica e Giulio entrarono nella canonica e la luce della lampada a petrolio riverberò in ogni stanza. Dopo un bel po' di tempo, si vide uscire di corsa dall'uscio un gatto bianco e poi Giulio che diceva ancora qualche parola a Domenica. Dietro di lui la porta si chiuse e si sentì tirare il catenaccio. Giulio ritornò a casa senza aver trovato un avversario con cui combattere. Disse che erano andati subito in camera di Don Azio ed
avevano trovarono il povero prete nel suo letto con gli occhi chiusi. Domenica gli aveva chiesto se era entrato qualcuno mentre lei era via, ma non aveva avuto risposta. Avevano guardato in ogni stanza e, se ci fosse stato un ladro, l'avrebbero senz'altro visto perché non aveva via d'uscita, lasciando intendere o che il ladro fosse fuggito o che Teresina si fosse sbagliata. Ma Teresina era sicura del fatto suo. La luce della candela si era mossa e non poteva essere stato Don Azio a spostarla. In quella stanza era entrato qualcuno e avrebbe voluto sapere chi fosse. “Se non lo sai tu che hai visto, replicò Giulio, come possiamo saperlo noi che non abbiamo visto niente?” Don Azio morì la vigilia di Natale dell'anno 1879 all'età di 72 anni. Era stato parroco di Campremoldo Sotto per cinquant'anni avendo assunto l'incarico nel 1829. Durante tutto il suo sacerdozio, si era dedicato alla cura delle anime, all'amministrazione i sacramenti ed all'esercizio della Carità. Aveva aiutato i più poveri distribuendo generi di prima necessità, vestiti, calze e scarpe, ma anche con piccole somme di denaro che erano il frutto di offerte e donazioni. A quei tempi la Chiesa aveva anche una funzione sociale e costituiva un'autorità che sopperiva le mancanze del governo civile. Aveva la funzione di registrare le nascite, i matrimoni ed i funerali, fungendo così da ufficio anagrafico, potendo dar conto della consistenza e della localizzazione della popolazione. Infatti questi registri funsero da base per la moderna anagrafe introdotta dai Francesi durante il periodo della Repubblica Napoleonica. I parroci tenevano anche un “Registro delle anime” sul quale venivano annotati i nomi dei residenti di ogni località o cascina del circondario, descrivendo la composizione delle varie famiglie, il mestiere, il grado di parentela e l'età di coloro che vi appartenevano. Da questo registro, che veniva aggiornato all'incirca ogni due anni, si aveva un quadro abbastanza completo del numero e della composizione della comunità descritta. Don Azio aveva fatto testamento cinque anni prima di morire, mantenendo la promessa fatta a Giustina di lasciarle, dopo la sua morte, le case e le terre di sua proprietà. Il testamento che aveva scritto di suo pugno conteneva le sue ultime volontà: “L'anno del Signore 1874, indizione X, giorno 10 del mese di Luglio, dedicato a San Lorenzo martire, patrono e protettore di questa Parrocchia e della sua Chiesa. Io sottoscritto, Azio Boselli, parroco e curatore della Chiesa di Campremoldo di Sotto, dichiaro che questo documento è la mia ultima intenzione e testamento delle mie ultime volontà. Prima di tutto, affido a Dio potentissimo la mia anima perché l'accolga nel Suo Paradiso in eterno. Quanto ai beni materiali, mobili ed immobili di mia esclusiva proprietà, lascio a Giustina Boselli, mia nipote carissima, figlia di mio fratello Angelo, la casa da lei abitata con la sua famiglia ed i suoi figli, il terreno coltivato e gli edifici attigui relativi. Lascio inoltre alla suddetta Giustina Boselli tutto il mobilio, biancheria ed utensili contenuti nella casa canonica e tutte le provviste, vini, legni, masserizie e valori in essa contenuti, subentrando, di conseguenza, nel possesso di tutto ciò che mi apparterrà al tempo della mia morte, senza che sia necessario stilare un inventario, una necessità contro cui voglio assolutamente proteggerla come mia unica erede.” Don Azio aveva sottoscritto il testamento e, dopo averlo
chiuso in una busta, l'aveva riposto nel cassetto di uno scrittoio che si trovava nella sua stanza da letto. Da quando era stato redatto non era più stato aperto, non avendo lo stesso prete ritenuto che vi fosse la necessità di
rivederne il contenuto. Il funerale di Don Azio si svolse il giorno di Santo Stefano e la salma venne benedetta da Don Agostino, Parroco di Gragnano e da Padre Alfonso, canonico di Gragnanino che recitarono le preghiere per i defunti sotto un cielo piovoso. Quando la bara venne coperta di terra si alzò il canto “In Paradisum conducant te angeli..” e tutti si fecero il segno della croce. Teresina era aggrappata al braccio della madre e tremava, non solo per il freddo.
Giustina aveva comunicato la notizia della morte dello zio al padre ed alla sorella Caterina che rimase particolarmente colpita per l'affetto che provava per lui e si promise di andare a Campremoldo a pregare sulla sua tomba non appena avesse potuto. Dopo la cerimonia i due preti che avevano celebrato il funerale tornarono alla canonica e vi restarono a lungo per provvedere a regolare le incombenze del regolamento religioso che riguardavano i registri, i beni della chiesa, le spese e le entrate della congregazione, il Santissimo Sacramento, gli arredi, gli oggetti sacri e le sacre immagini. Erano accompagnati per le indicazioni del caso da Domenica che svolgeva le funzioni di sacrestano. La chiesa fu chiusa e da quel momento e fino all'insediamento del successore di Don Azio, si celebrò soltanto la messa domenicale. Passarono i giorni finché il notaio Postiglioni di Gragnano pubblicò il testamento di Don Azio che asseriva fosse stato depositato presso di lui dal prete per evitare qualsiasi speculazione potesse sorgere se mani estranee ne fossero venute in possesso. Il giorno della sua apertura era stato convocati Padre Alfonso che era andato assieme al Parroco di Gragnano ad inventariare la casa canonica di Don Azio, il vicario vescovile ed il Segretario Comunale in rappresentanza dell'autorità competente per territorio, oltre a vari altri testimoni. Si scoprì che Don Azio aveva disposto di lasciare in eredità al beneficio della Parrocchia di Campremoldo Sotto la casa canonica, il mobilio, gli arredi ed ogni altro bene di interesse religioso, mentre le terre, le piantagioni ed il bestiame sarebbero andati al cugino Bavagnoli Egidio che da quel momento avrebbe potuto disporne a suo piacimento. Il testamento venne registrato dal notaio senza che vi fossero rimostranze o minacce di impugnazione da parte di nessuno, per cui venne disposta la sua esecuzione. Quando Giustina venne a sapere di queste disposizioni restò stupefatta. Come poteva suo zio aver fatto un testamento tanto insensato? E dopo averle promesso che la terra sarebbe andata a lei? Avrebbe potuto fare una cosa tanto assurda? E come poteva pretendere quello zotico, quel buzzurro del cugino di poter entrare in possesso di quello che era sempre appartenuto ai Boselli? No, qui c'era qualcosa che non tornava. Tutto questo era certamente frutto di un imbroglio! Sollevò fuoco e fiamme, gridò a tutti la sua costernazione e si rivolse a tutte le sue amicizie più altolocate per fare in modo che quel torto venisse ripagato. Si affidò ad un avvocato di gran fama, il conte Fontana, amico di Giulio ed unito a lui per l'amore verso i cavalli, perché facesse ricorso al Tribunale contro quella disposizione. Teresina, a margine di tutto questo, sentiva i discorsi fatti dai suoi genitori che tornavano spesso sull'argomento del testamento e del fatto che il cugino del prete potesse ereditare le terre che coltivava a mezzadria. Giustina era convinta che il testamento di Don Azio fosse stato falsificato ed allora Teresina si ricordò di quella notte di dicembre, quando aveva visto qualcuno entrare in casa del prete e tutti avevano pensato ad un tentativo di furto senza essere venuti a capo a niente. Se invece quello fosse stato il momento in cui il testamento fosse stato rubato per poterlo falsificare? Lo disse a sua madre e Giustina fu colpita da quel pensiero. Lei e Giulio all'epoca avevano pensato che Teresina si fosse sbagliata, che avesse avuto le traveggole e che nessuno si era aggirato a lume di candela nella casa del prete. Invece qualcuno era davvero entrato per impossessarsi del testamento! E chi poteva essere stato quel qualcuno se non il mezzadro o sua moglie? Anche Giulio ci pensò su e ammise che a sbagliarsi non era stata Teresina, ma loro. Nel tempo da quando Teresina aveva dato l'allarme a quando era entrato nella canonica, Fernanda, che era una donna fredda e calcolatrice, avrebbe potuto entrare nella stanza del prete, prendere il testamento e tornarsene in fretta a casa sua, che distava pochi passi dalla canonica. Teresina aveva visto giusto, altro ché! Nemmeno un'ora dopo, Giustina prese per un braccio Teresina, attraversò il cortile e con lei andò a casa del mezzadro. Bussò alla porta e Fernanda le aprì senza invitarla ad entrare. “Sono venuta a dirvene quattro per il vostro comportamento” iniziò Giustina. “Devo dirvi che voi siete una truffatrice, una delinquente ed una ladra!” “Cosa volete?” rispose Fernanda. “Di che cosa parlate?” “Parlo del testamento di mio zio. Lui aveva promesso tutto a me, invece voi con l'inganno avete fatto in modo di prendervi quello che non è vostro e non sarà mai vostro. Voi avete falsificato il testamento e questo davanti a Dio è un delitto che vi porterà all'inferno!” “Io non ho fatto niente del genere. Se vostro zio ha pensato di lasciare la terra a noi, vuol dire che ha riconosciuto il merito del nostro lavoro e lo ha ricompensato. Cosa credete? Di meritarvela voi quella terra? Voi che non fate che altro che stendervi sui cuscini mentre gli altri si tirano il collo?” “E allora, voi credete di poter rubare così impunemente la proprietà altrui? Quella terra è sempre stata dei Boselli e mio zio non può averla lasciata a voi! Voi gliela avete presa facendo un falso e questo vi costerà caro!” “Oh, no! Il testamento è venuto a noi per la legge. Il notaio lo ha stabilito. Di quale falso parlate?” “Del fatto che avete rubato quella carta il giorno prima che Don Azio morisse.” “Non è vero!” “Invece è vero. Vi hanno visto. Teresina vi ha visto!” A quel punto Fernanda sbiancò. “Mi ha visto? Quando?” “Vi ha visto frugare nei suoi cassetti dalla finestra di sopra. Vero, Teresina? Diglielo che l'hai vista. Diglielo!” Teresina era sconvolta da quella lite e dalla furia di sua madre. La bocca le tremò e non riuscì a dire una parola. Poi scoppiò a piangere. “Vedremo!” continuò Giustina. “Vedremo cosa dirà il tribunale! E' stato fatto il ricorso e quando si scoprirà il vostro inganno, non solo dovrete restituire la terra, ma andrete anche in galera!” Senza dire altro, Giustina si voltò e tornò a casa. Teresina in lacrime la seguì lentamente. Non aveva mai visto sua madre così inferocita, ma quello che più le faceva male era il fatto che si fosse messa ad inveire contro Fernanda in un modo così sgraziato. Sua madre per lei rappresentava un modello di signorilità ed averla vista in quel cortile fangoso gridare come una serva, l'aveva addolorata. In quel momento, Giustina aveva perso ogni traccia di bellezza ed aveva rivelato un viso spigoloso ed uno sguardo pieno d'odio. Fernanda era rimasta immobile sul vano della porta, con la faccia pallida e sconvolta. Augustina la raggiunse, l'afferrò per la gonna e prese a chiamarla: “Mamma, mamma!” Fernanda la spinse dentro e chiuse l'uscio. Da quel momento, il cortile davanti alla canonica diventò un luogo cupo, nel quale si vedeva soltanto Domenica, la perpetua, provvedere alle proprie piccole attività, triste e silenziosa. La finestra della camera di don Azio, che in precedenza era sempre aperta ed illuminata era chiusa da imposte che la nascondevano da ogni sguardo. Alla fine di gennaio, arrivò ad insediarsi il nuovo Parroco. Era un sacerdote di quasi quarant'anni che in precedenza aveva tenuto la chiesa di Momeliano. Si chiamava Don Carlo Pallavicini ed era molto diverso da Don Azio. Era pratico e bonaccione quanto era ascetico il suo predecessore. Soltanto ad Aprile si ebbe la sentenza per il testamento. Il tribunale rigettò il ricorso per nullità di causa in quanto il notaio Postiglioni ed i testimoni presenti all'apertura del testamento, non avevano rilevato alcuna irregolarità sulla stipulazione del documento né sulla validità dello stesso ed Egidio restò in possesso delle terre ottenute con la truffa perpetrata. Nel 1883, Teresina aveva 23 anni ed ebbe una proposta di matrimonio. Pareva che un suo coetaneo, Angelo Zucconi di professione muratore avesse espresso il desiderio di volerla sposare, senza chiederlo direttamente a lei, ma facendoglielo sapere per vie traverse. I due giovani erano, per così dire, cresciuti assieme perché, vivendo entrambi nello stesso paese, avevano avuto occasione di vedersi e di conoscersi, ma Teresina era rimasta sorpresa da quella richiesta inaspettata. Angelo non le aveva mai parlato di amore e aveva avuto verso di lei solo gesti di semplice cortesia, ma questo poteva essere dovuto ad un senso di timidezza.
Però lei ricordava un fatto che poteva essere indicativo. L'estate precedente, in occasione della festa del paese, in un
campo era stato piantato un albero della cuccagna che aveva stimolato l'abilità e l'orgoglio degli uomini, che avevano lottato per arrivare per primi sulla sua cima. Era un giorno caldo d'estate, c'era un gran sole e tutti i
concorrenti sudavano per la fatica. Dopo molti tentativi, fu la squadra dei muratori a vincere ed Angelo fu il primo a
strappare il nastro rosso della vittoria posto sulla vetta del palo. Ebbene? A chi Angelo aveva donato quel nastro? Proprio a Teresina che era tra il pubblico ad assistere alla gara. Lei era rimasta un po' sorpresa, ma aveva capito che quello non era stato un gesto casuale ed aveva il significato di un lungo discorso inespresso. Il padre di Teresina, Giulio Pecorini, non era entusiasta del fatto che sua figlia potesse sposarsi. Avrebbe voluto che restasse per sempre in famiglia, tanto era l'affetto che riceveva da lei. Era una ragazza allegra, che riempiva la casa con la sua presenza e Giulio pensava che non sarebbe stato un delitto, se fosse rimasta zitella. Ma poi ripensava al suo matrimonio, a quanto avesse fatto per ottenerlo e per mantenerlo, rendendosi conto che, per il bene di sua figlia, doveva dare il suo
consenso. Invece sua madre Giustina pensava che quella fosse una decisione che solo Teresina poteva prendere, e sua avrebbe dovuta essere la scelta. Lei non era contraria. Conosceva la famiglia da tanti anni e gli Zucconi erano stimati da tutti. Da generazioni abitavano alla Cà Russa, una casa che si trovava appena fuori del paese sulla strada per Borgonovo. Era una costruzione che era stata ampliata più volte fino a diventare un palazzetto e lì viveva Angelo con i genitori, la sorella Carolina ed il fratello Ercole. E Giustina conosceva bene il padre di Angelo, Giuseppe.
Lui faceva il muratore ed era un apprezzato mastro costruttore avendo contribuito con i propri operai alla costruzione, tra l'altro, del Municipio di Gragnano, terminata nel 1874. Sua moglie, la madre di Angelo, si chiamava Bavagnoli Luisa. Giustina l'aveva conosciuto in circostanze, potremmo dire, particolari. Si era fatta dare un passaggio sul suo carro quando era fuggita da suo marito dopo soli tre giorni di matrimonio per tornare da sua sorella.. Oh, mio Dio! Quanti anni erano passati? Ricordava quell'episodio con un misto di orgoglio e di tenerezza. Com'era giovane, allora! E com'è strana la vita! Teresina era soddisfatta di quella richiesta di matrimonio e fece sapere al suo pretendente che l'accettava volentieri. L'intermediario fra i due giovani era Don Pallavicini, il nuovo parroco di Campremoldo che, non per conoscenza diretta, ma per esperienza, era convinto della bontà di quella soluzione perché sosteneva che per un uomo e per una donna la vita matrimoniale era l'approdo naturale di un percorso di vita che doveva portare alla formazione di una famiglia ed alla crescita dei figli. Teresina sapeva che il carattere di Angelo era schivo e che lui
era un uomo fin troppo serio, ma sapeva anche che nella vita quelle erano doti che davano solidità all'esistenza. Quando era più giovane, le piacevano i giovanotti stravaganti, quelli che la facevano divertire. Il suo preferito era “Garibaldo”, un uomo con la faccia da monello, sempre sorridente, che portava i capelli lunghi fino alle spalle. Era un tipo che aveva la passione per le burle e per il canto ed a Teresina provocava allegria. A volte quello spaccone si metteva a cantare sotto la sua finestra e lei minacciava di buttargli addosso un secchio d'acqua, ma sotto sotto era felice come la principessa della Girarda, che era un personaggio delle fiabe che le raccontava sua madre quand'era piccola. Quando Teresina e Garibaldo si incontravano, si scambiavano ogni sorta di battuta e spesso lui le dava delle manate sulle spalle o sui fianchi. Non si poteva nemmeno fare un paragone tra Angelo e lui, però Teresa non era una sciocca e capiva che quello non sarebbe stato un uomo che si poteva pensare di sposare perché non era affidabile. Stava per settimane senza farsi vedere e senza sapere bene che cosa facesse anche se, quando improvvisamente compariva, metteva in subbuglio l'intero paese facendo discorsi strampalati e diventando per un giorno il re dell'osteria, per poi sparire di nuovo. Qualcuno diceva che era uno zingaro che si guadagnava da vivere addestrando cavalli, ma non si sapeva né dove né per conto di chi. Il matrimonio venne celebrato il 23 novembre 1883. Fu un matrimonio felice, con tanti figli e la soddisfazione di tutti, perché la caratteristica di queste unioni era quella di
tendere al bene e tanto bene ne sarebbe venuto. In occasione di questo matrimonio, Giustina, aveva donato
alla figlia i gioielli di famiglia che lei stessa aveva ricevuto da suo padre quando si era sposata. Teresina conservava questo piccolo tesoro in una scatola di velluto rosso nascosta sotto le lenzuola in un cassetto del comò in camera da letto. Questi gioielli avevano seguito le sorti della sua famiglia e lei li teneva nascosti, tanto che nemmeno suo
marito Angelo era a conoscenza della loro esistenza. Per Teresina non rappresentavano soltanto un patrimonio
prezioso, ma avevano assunto una dimensione che andava oltre la loro natura ornamentale perché erano appartenuti a sua madre ed a sua nonna. Lei non aveva mai pensato di indossarli o di poterne fare sfoggio. Quell'oro era una riserva che poteva servire a mantenere la rispettabilità della famiglia qualora si fossero verificati avvenimenti tragici ed avrebbe potuto essere usato per uscire da situazioni difficili. Ma poi avvenne quello che Teresina pensò fosse frutto della giustizia divina. Alcuni anni dopo, una terribile notte con tuoni, lampi, pioggia e vento, una di quelle che vengono chiamate notti da lupi, fu l'ultima per Fernanda, la moglie di Egidio. Si svegliò a mezzanotte con un fortissimo mal di gola e questo la fece saltare dal letto. Ebbe l'impressione di dover morire in un attimo. Il terrore opprimeva la sua anima. In fretta accese la lampada, bevve un po' d'acqua dalla brocca, ma provò un bruciore così intenso che dovette sputarla. Corse verso il letto e si distese di nuovo sentendosi gelata di sudore. Il suo collo era gonfio ed il suo respiro si fece affannoso; tremava, sussultava mentre aveva l'impressione che due mani le stringessero la gola. Provò a chiamare la figlia Augustina, ma soltanto il pensiero di emettere la voce le provocava un dolore ancor più acuto. Chiuse gli occhi e restò in attesa, mentre le pareva che la morte le si stesse avvicinando piano, piano.. Mio Dio, come è orribile! pensò. Vorrei cercare ancora di bere dell'acqua, ma ho paura ad aprire gli occhi, ho paura di alzare la testa. Nella camera accanto qualcuno si mosse e dopo qualche istante si udirono i suoi passi precipitosi. Augustina aprì la porta ed entrò. Pallida in volto, chiese: “ Mamma, cos'hai? perché non dormi?” Fernanda tentò di risponderle, ma la voce non le uscì. Augustina vide la sua faccia stravolta e si avvicinò
inciampando nella sua stessa vestaglia che quasi la fece cadere. L'abbracciò e urlò : “Per l'amor di Dio, mamma!” Si mise a singhiozzare e le chiese cosa si sentisse. Fernanda indicò la gola, aprì la bocca e Augustina vide le sue
tonsille infiammate, nere e sanguinanti e spostò lo sguardo inorridita. Subito corse via gridando aiuto e chiese a suo padre di andare a chiamare il medico. Il male di Fernanda era un'infezione alle tonsille chiamata in dialetto “grop in gula” ed a quei tempi era spesso letale. Quando il medico la visitò, scosse la testa e disse di chiamare il prete perché le condizioni della donna non davano speranza. Don Pallavicini venne con l'olio santo e con quello fece un
segno di croce sulla fronte, sulle mani e sui piedi della donna, mormorando le preghiere dei moribondi. Fernanda fece cenno al prete di avvicinarsi e gli mormorò alcune parole all'orecchio. Non erano parole intellegibili, ma il prete capì le sue intenzioni e la benedisse. Passò la notte ed all'alba del giorno seguente, Fernanda sembrò avere un miglioramento. Disse ad Augustina che era seduta accanto al letto, di andare a chiamare la Teresina. Augustina non capiva il motivo di quella richiesta, ma andò e bussò alla porta della sua casa. Ad una finestra, si affacciò Giustina e la ragazza le spiegò che sua madre era in condizioni disperate, che il prete le aveva dato l'olio santo ed ora aveva chiesto di poter parlare a Teresina. Teresina fu svegliata, si vestì in fretta ed assieme ad Augustina raggiunse la stanza dove giaceva Fernanda. La povera donna fece avvicinare al letto la ragazza ed ordinò a sua figlia di uscire dalla stanza e di chiudere la porta. Non si seppe mai cosa disse Fernanda a Teresina, né perché si fosse rivolta proprio a lei. Quello fu un segreto che Teresina non volle mai rivelare a nessuno, nemmeno a sua madre, perché non voleva tradire la confessione di una moribonda. D'altronde, erano passati dodici anni da quando il testamento
di Don Azio era stato falsificato ed il tempo aveva passato su tutto la sua patina misericordiosa. Anche se Teresina avesse rivelato un peccato che Fernanda aveva già confessato al prete, le cose non sarebbero cambiate.
Fernanda morì quello stesso giorno. Dal matrimonio con Angelo Zucconi, Teresina ebbe nove figli: Cesare (nato nel 1884), Eugenio (1886) , Annetta (1887), Carlo (1889), Edoardo (1891), Giustina (1895), Maria (1897),
Emilia (1899), Paolina (1902). I figli maschi divennero tutti muratori ed alla loro opera si deve la costruzione della nuova chiesa di Campremoldo Sotto. Il nuovo edificio, progettato dall'architetto Camillo Guidotti su commissione del Preposto Luigi Palladini, venne inaugurato dal vescovo di Piacenza Monsignor Pellizzari il 2 Marzo 1914. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, i figli di Teresina vennero chiamati a militare e mandati al fronte. Teresina era angosciata di avere quattro figli sotto le armi durante un conflitto così sanguinoso e temeva per la loro sorte. Per questo fece un voto alla Madonna di Torino: se i suoi figli fossero tornati sani e salvi dalla guerra, le avrebbe donato i suoi gioielli. Era un sacrificio molto alto per Teresina promettere in voto il tesoro di famiglia, perché era un lascito che fin dai tempi di sua bisnonna si era tramandato di generazione in generazione, ma i suoi figli per lei valevano molto di più. La Madonna la esaudì perché a fine conflitto tornarono tutti e quattro sani e salvi e Teresina adempì senza indugi al voto fatto. Teresina morì improvvisamente nel 1929 nel seguente modo. Era l'8 agosto e dopo una giornata calda durante la quale era stata di umore buono, era andata a letto. Durante la notte si sentì male e chiamò aiuto. Il marito Angelo, accorso, vedendo la moglie in quello stato, venne colto da malore. La donna morì avendo accanto a sé la figlia Emilia dicendo: “Con tanti figli che ho, ora vicino a me non ci sei che tu.”
(Piero Zucconi, 2010)