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il Castello di Grazzano Visconti


stemma araldico

Sul dolce altipiano, a lato della strada Piacenza Ponte dell’Olio, sorge in forma quadra grandiosa il bel Castello di Grazzano. Il lato di prospetto è munito agl’angoli da due torrioni in quadro, superiormente merlati, protetti dalla gronda del tetto. Il portone di mezzo, ad arco pieno centro, porta ancora esteriormente l’impronta del ponte levatoio; al lato posteriore sorgono agl’angoli due torrioni di forma rotonda, essi pure, come tutta la parte superiore del Castello, merlati; esso è attorniato da fosse, da cui s’innalza l’edera che copre quasi tutta la facciata. Nulla si sà delle origini di questo Castello; ma deve esser sorto per le solite ragioni di rifugio e di difesa delle famiglie guelfe o ghibelline che alternativamente avevano il dominio della città; di modo che quando esse erano obbligate d’allontanarsi da Piacenza dovevano aver pronto qualche Castello o Rocca per trovarvi asilo sicuro.

Il Castello di Grazzano, con diploma del febbraio 1414, veniva concesso in feudo da re Sigismondo a Bernardone Anguissola. Con lo stesso Diploma veniva infeudato dei Castelli di Riva e Montesanto. Il Campi, parlando della beneficenza e liberalità di quel principe verso i Piacentini dice, che esso vendeva la pelle dell’orso vivo, concedendo ai ricorrenti qualunque cosa loro piaceva, titolo, feudo o privilegio, con lasciar, nel rimanente, ad essi l’impegno di mettersene in possesso e di far valere come e quando meglio potessero i loro pretesi diritti. Nel 1438 il duca Filippo M. con Diploma amplissimo e pieno di elogi a Giovanni Anguissola, figlio di Bernardo gli concede pienissima conferma dei privilegi e diritti sopra i Castelli di Grazzano e Riva, creandolo conte di Montesanto. Nel 1462 corse voce a Piacenza che Francesco Sforza fosse morto; era fiaba. Alcuni messi mandati a Milano, ritornarono assicurando che il duca viveva. Ma i contadini di Aguzzano e della Seggiola non prestaron fede a siffatta notizia; specialmente i contadini di del Conte Onofrio Anguissola, i quali eran nemici del governo ducale, cui non perdonavano le enormi tasse imposte; per cui il 25 gennaio s’ammutinarono ed acclamarono loro signoreun certo Pellizzari, detto il Pel loia. Questi prese sul serio la nomina.

Dopo varie trattative fra i contadini, si stipulò una conversione da presentarsi al duca, il quale l’avrebbe ratificata. A lui, in commissione con altri, fu mandato anche il Pel loia; n’ebbero dal duca qualche buona parola e molti complimenti! Non per questo le cose si mettevano meglio. Ai contadini s’aggiunse anche il Conte Onofrio Anguissola di Statto, il quale li riscaldò talmente, che essi ammutinatisi, assalirono nel Castello di Novelliano, il Commissario del duca; di pi vennero al basso fino a Grazzano degli Anguissola. Il duca, saputo della sommossa, spedì loro contro Ludovico Gonzaga, il quale, inteso che i detti contadini erano calati fino a Grazzano, dice il Ripalta, subito, il Gonzaga, mise “in arme detto campo et li andarono a ritrovare ad Grazzano, et quando poi furono ivi, uno homo d’arme stracorse fra detti montanari, quale subito fu morto, et tutto tridato, et tagliatolo.. unde la gente d’arme vedendo questa crudeltà li detero addosso, et assaissimi ne amazarono.. et assai ne presero et li condussero a Piacenza tutti ligati; et ogni giorno D. Francesco Moleta, quale era commissario di Piacenza, impiccava quattro o sei. Era tre forche sulla piazza, et pochi giorni era che non gemesse doi per forca”. Quanto al Pelloia, prevedendo la fine che lo aspettava, volle risparmiare la fatica ai carnefici del duca e s’appiccò di propria mano ad una trave. Il re Ludovico per dimostrare la propria riconoscenza per quanto la famiglia Anguissola aveva fatto per lui; e per assoldarla meglio nel suo partito, con Diploma, dato in Milano il 31 gennaio 1511, confermò a Tommaso, Francesco e Niccolò Anguissola propter Familiare dignitatem et generis nobilitatem, quanto di giurisdizioni, privilegi e diritti essi possedevano nei feudi e beni loro di Grazzano, Vigolzone, ecc. Nel 1526 il Conte Roberto Sanseverino, Capitano imperiale, trovandosi nel territorio piacentino, condusse i suoi Lanzichenecchi in li loci di Grazzano.. dove ogni cosa misero in preda con fare pregioni, sforzare done, et ogni altra cossa da omicidio in fora; ed essi erano più atti ad imbracarsi, che a combattere, quello vino che non potevano bero, lo lasaveno andare fora de botte.. Pervenuta la città sotto il dominio di Francia, i Piacentini non ne volevano sapere. Capo dei rivoltosi era il famoso Conte Buso. Scoperta la sua trama d’impossessarsi della città, il Buso si ritirò, ma nel 1581 volle ritentarne l’assalto. Però a rinforzare il presidio piacentino il di Lautrec mandava in città ottocento fanti svizzeri, veri diavoli in carne, come li descrive l’autore della Cronica guariniana:O quam pessima et maledica et prava gens erant dicti Svizzeri! Non credo, quod in hoc mundo sint de simili. Ubi hospitabant, ruinabant et comburebant ommia utensilia, quae erant in domibus! Comburerunt.. omnessolarios, portas, fenestras.. Oquas domos ruinaverunt! Credo plus mediatatis ex domibus.. comburebant capsas, capsonos, banchos,scamnos, litterias, solaria, scalas et omnia et segetes..Questi si unirono presto alle truppe di Galeazzo Sanseverino e del Marchese di Saluzzo. Assicuratisi le spalle, Girolamo Trivulzio, vice governatore di Piacenza, divisò tentare un’impresa contro il Conte Buso e gli altri fuorisciti.

A questo scopo mandò un corpo d’operai muratori, perché, protetti, riuscissero ad Explanandum et Ruinandum Castrum Grazani, volle così incominciare dal Castello di Grazzano tenuto dai Conti Anguissola; ma l’accoglienza che vi ricevettero fu così fiera e ostile, che i muratori cedettero bene ricaricarsi in ispalla i loro picconi e martelli e ritornarsene in città. Più tardi però gli amici degl’Anguissola furono snidati da Grazzano; molti ne presero i francesi e li appiccarono; ma un drappello potè sfuggire alle apparecchiate forche e con Francesco Anguissola si ritirarono nella formidabile Rocca di Montesanto. Un punto nero però nella storia degli Anguissola di Grazzano è la partecipazione del Conte Giovanni Anguissola, figlio di Giangiacomo, nell’uccisione di Pier Luigi Farnese. Fin da giovine si era mostrato di carattere violento, feroce, nel 1538 uccise l’Ab. Commend. Di San Savino Marezzanti mentre questi stava mettendosi a tavola, solo perché il Marezzanti s’era lasciato sfuggire qualche parola contro gli Anguissola. Per questo truce fatto Giovanni fu scomunicato e perciò dovette fuggirsi a Milano, dove prese residenza. Nel 1541 Federico Anguissola dei Conti della Riva, Permiano e Albarola e fratello di Giovanni, mentre militava in servizio del Ppa con una compagnia di soldati e sotto il comando di Pier Luigi Farnese, che combatteva i Colonnesi, rimase ucciso. Allora Pier Luigi chiamò a succedergli il Conte Giovanni Anguissola. Come abbiam detto, fratello del defunto. Giovanni si portò valorosamente in quella guerra e stette alla corte del Papa un anno e mezzo; dal quale ottenne finalmente l’assoluzione del sacrilego omicidio e la facoltà di ritornare in patria, mediante lo sborso di mille scudi. Pier Luigi, creato duca di Piacenza, l’Anguissola gli divenne nemico segreto; e, appunto perciò, terribile; e mentre Pier Luigi se lo era fatto confidente e famigliare, l’Anguissola ne divenne il traditore. Il più malcontento dei nobili contro il duca, forse perché il duca gli aveva perdonato l’omicidio dell’abate Marazzani, Giovanni Anguissola aveva raddoppiata l’ira sua per la costruzione del Castello. Forse a principio della trama si trattava soltanto di strappare a Pier Luigi il dominio; ma poco dopo il progetto diventò più fosco; l’Anguissola trasse a sé parecchi del suo ceto e il 10 settembre il duca Pier Luigi cadeva di pugnale gridando: Oh! Signore!, Ah! Conte, rivolgendo gli ultimi sguardi all’Anguissola che in quel momento si mostrava il più feroce dei congiurati. Dai congiurati Pier Luigi veniva chiamato “il tiranno”, ma il pugnale di Bruto non ha mai segnato il punto di partenza di una nuova libertà.. Giovanni Anguissola, autore principale della tragedia farnesiana, visse miserrima vita, sempre insidiato nella sua persona; entrato nel servizio imperiale, fu accusato di tradimento e dovette scolparsi.. Poco mancò che in Lombardia non cadesse sotto un’archibugiada d’un cesenate. Poco dopo commesso il delitto, il Conte Giovanni si portò a Milano con tutta la sua famiglia, abbandonando per sempre il suo Castello di Grazzano, dove ai suoi tempi, una dolce figura femminea, esaltata per onestà, senno e bellezza, aveva fatto di Grazzano un’abitazione attraente. Era dessa Caterina Anguissola, sorella di Giovanni, sposa in prime nozze di Andrea Dal Borgo, in seconde a Luigi Gonzaga da Castelgoffredo, dal quale ebbe Ferrante, che fu padre di S. Luigi Gonzaga. Dopo la sua partenza il Conte Giovanni dovette vendere al duca Ottavio Farnese i suoi feudi di Riva, Grazzano, Cariano, Albarola e Spettine per 69276 lire e quindici soldi e sei denari imperiali di moneta piacentina. A Milano ebbe onori e fu fatto senatore; ebbe in governo la città di Como, sul cui lago fabbricò uno splendido palazzo detto la Pliniana. Esso morì questo palazzo il 26 di giugno 1578.

Ma fino al letto di morte lo spettro del trucidato Farnese lo perseguitò accanito e terribile. Da tre mogli ch’egli ebbe, cioè Lucrezia Pallavicini, Elena Martinengo e Della Spinola, non avendo avuto prole alcuna, lasciò per testamento e dichiarò suo erede universale il Conte Giulio Anguissola Tedeschi, figlio del fu Conte Daniele suo fratello. Nella battaglia di Lepanto, con Alessandro Farnese, eravi anche il Conte Alessandro Anguissola; il quale, assieme ai figli Galvano e Carlo, aveva seguito il Farnese in Fiandra, dove da lui fu fatto maestro di campo e nel 1599 creato primo Marchese di Grazzano, per tal modo questo feudo tornò alla famiglia Anguissola. Dal Castello di Grazzano usciva, appena diciassettenne, Vitruvia Anguissola nobile, saggia e bella figlia di Galvano, per andare sposa, il giorno 8 marzo 1643, al favorito Ministro del duca Edoardo, Gaufrido, creato Marchese di Castel Guelfo. Caduto questi in disgrazia del suo sovrano, fu condannato a morte. Alla vigilia del suo supplizio, l’infelice Marchese di Castel Guelfo pregò il suo confessore di confortare in suo nome la consorte Vetruvia Anguissola, di invocarne il perdono, di raccomandarle le sue figliole e di rammendarsi di lui nelle sue orazioni; la sua testa cadde sotto la spada del carnefice l’8 gennaio 1650. Vetruvia e le sue due figliuole sopravvissero a Gaufrido; essa vedova a soli ventiquattro anni, dopo sei di matrimonio, rimase povera, essendole stati confiscati tutti i beni del marito. A lei e alle sue due figlie provvide il padre suo Galvano. Né fu rispettata la memoria del marito e suo.. viltà degli uomini! A Galvano successe nel Marchesato il figlio Carlo Felice sposato a Bianca della Somaglia, morto nel 1641; a lui subentrò Felice. A questi successe Carlo, che aveva sposato un’Antonia Scotti d’Agazzano; diventò poi Marchese di Grazzano Ranunzio. L’ultimo discendente di questa casa fu il Marchese Filippo, morto a Grazzano, strozzato fra gl’ingranaggi di una trebbiatrice il 27 luglio 1870. Ne fu erede la di lui madre Marchesa Fanny Anguissola, nata Visconti Litta di Modrone, alla cui morte il Castello di Grazzano passò proprietà del munifico Conte Giuseppe Visconti di Modrone, il quale con quel senso artistico che lo distingue, restaurò così bellamente il Castello, da renderlo degna dimora di un erede dei Visconti, già splendidi Signori di Milano.(di Padre Andrea Corna unione tipografica piacentina 1913).


veduta del castello di grazzano visconti 1909