la Vera Origine delle Carte Piacentine
Se pochi mesi fa mi avessero domandato “che assi sono questi?” avrei certamente risposto “asso di spade, asso di bastoni e.. la polla”. Avrei sbagliato.. gli assi raffigurati sono Aes Signatum (assi contrassegnati). Si tratta di antichissime monete romane risalenti al III- IV secolo ac. In realtà non erano propriamente monete,furono probabilmente il primo tentativo dei romani di dare un valore certo ad un materiale (il bronzo) già usato come forma di pagamento e tesaurizzazione. Già da alcuni secoli si utilizzavano pezzi di bronzo fuso (aes rude) di svariate forme e pesi che andavano dai pochi grammi ai 5 kg. Plinio il Vecchio fa risalire a circa il 550 ac l'usanza di dare una forma e un disegno al metallo usato per gli scambi commerciali quando afferma che fu Servio Tullio il primo Re a contromarcare il metallo. Esistevano già presso gli etruschi e i popoli della pianura padana tipologie di bronzi simili, recavano per lo più disegni raffiguranti un “ramo secco” o una “spina di pesce” mentre quelli di cui andremo a trattare sono sicuramente da attribuire ai romani. Si tratta di una dozzina di tessere con figure da entrambi i lati e dalle dimensioni medie di 160 mm per 100 mm. Il fatto che non tutti li considerassero monete ha purtroppo negato la giusta visibilità a questi reperti facendo di loro oggetti ancora oggi sconosciuti ai più e questo è un vero peccato perchè, oltre ad essere monete bellissime e cariche di significati storici una loro conoscenza più diffusa avrebbe sicuramente dato una svolta diversa alle ricerche sull'origine delle carte da gioco. Evito di entrare nel merito di quanto la Storia racconta anche perchè è presente un bellissimo articolo proprio su questo sito; riassumendo un po' velocemente i giochi di carte sarebbero stati inventato in Cina (anche li si sarebbe cominciato a giocare forse proprio partendo da delle monete) sarebbero poi passati in India e da li giunti fino a noi tramite gli arabi. Ogni altra ipotesi è stata accantonata, gli unici riscontri certi fanno riferimento ai pochi mazzi ritrovati, essendo quelli saraceni i più datati e non trovando ne carte da gioco più vecchie ne testimonianze letterarie sul loro uso precedente si è dedotto che in Italia si fosse semplicemente copiato dai saraceni. Questo nonostante la vera esplosione di mazzi e di stili e la relativa diffusione nel mondo partisse proprio dall'Italia; chi ne sosteneva l'origine italiana cercò invano pezzi di carta vecchi di secoli senza sapere che in qualche museo vi erano conservati gli originali in bronzo.. Quando durante una ricerca numismatica ho visto per la prima volta queste tessere non ho avuto troppi dubbi, trovare i quattro assi in un insieme di una ventina di figure apparentemente estranee alle carte non poteva essere una coincidenza, stessi gli oggetti raffigurati, stessa la forma rettangolare e soprattutto stesso nome: Asse (in alcune regioni si usa ancora dire “scopa d'asse”). Questo mi ha indotto a proseguire le ricerche e mi ha portato a scoprire altri importanti tasselli a favore di questa tesi Nella monetazione romana di quel periodo non solo ritroviamo con certezza i quattro assi delle carte italiane, troviamo anche le monete tonde con le figure di quelli che sarebbero poi diventati i semi delle carte numerali (con qualche sorpresa relativa ai denari). Per agevolare il lettore userò le immagini che valgono più di mille parole.
osserviamo alcuni assi romani comparati a carte italiane moderne
aggiungiamo qualche foto rappresentante i semi
Con una dovuta riflessione, se la mia teoria è esatta non dovremmo parlare di Asso di Denari ma bensì di Asso di Soli. Bisogna ricordare che in molte culture antiche, compresa quella romana, l'aquila era considerata un emissario del dio sole e veniva usata per rappresentare il sole stesso. Chi ha disegnato le prime carte avrebbe scelto l'aquila come pezzo principale di carte numerali recanti piccoli soli e se infatti andiamo a vedere ad esempio le carte piacentine e napoletane sia in passato che oggi raffigurano il sole e non dei denari.
come in questa carta piacentina del 1300
Per il momento vorrei chiudere qua ed offrire ai lettori piacentini la possibilità di valutare con i propri occhi quanto finora esposto. Non vorrei tediarvi oltre con quelli che sono i risultati delle nostre ricerche, dopo la “scoperta” mi sono rivolto al professor Andrea Vitali, uno dei maggiori esperti mondiali di storia dei Tarocchi e fondatore dell'associazione LeTarot. Insieme abbiamo ritrovato molti altri punti in comune tra gli Aes e le carte e qualche esempio potete trovarlo nel saggio scritto da Vitali a supporto di questa ipotesi. “letarot.it/page.aspx?id=283”. Se da un lato sono certo della veridicità di questa ricostruzione dovrò però rassegnarmi ai tempi lunghissimi che un eventuale riconoscimento storico comporterebbe, non basteranno certo tutte le evidenze possibili per convincere gli storici a cambiare una sola virgola di quanto è già stato scritto in materia. Eviterò dunque ulteriori dati relativi a indagini su luoghi, date, pesi, misure, personaggi,etimologie,evidenze stilistiche ecc. che per quanto possano intrigare e interessare chi come me li ricerca risulterebbero probabilmente noiosi. Lo scopo di questo scritto è condividere con i Piacentini amanti delle nostre splendide carte una possibile differente lettura riguardo l'origine stessa di questi oggetti. Niente cinesi quindi, nessun arcano simbolo arabo o indiano.. le carte piacentine altro non sono che una fedele riproduzione di quelle che oltre due millenni fa erano le prime monete della storia di Roma. Un ultima curiosità: dagli scarni ritrovamenti si suppone che le fabbriche dove si fondevano gli aes signatum si trovassero in pianura padana; se consideriamo che le carte piacentine sono tra quelle che più assomigliano agli originali.. beh nulla ci vieta di pensare che le nostre carte siano tra le più antiche in assoluto. Sarei particolarmente felice se qualcuno tra i lettori di Piacenzantica volesse esprimersi a riguardo, sia per appoggiare che per confutare questa tesi, aggiungendo magari nuovi tasselli o esprimendo dubbi; ho intenzionalmente evitato di scrivere le mie ipotesi su come e quando sia potuto avvenire il passaggio tra le monete e le carte nella speranza di sentire anche altre opinioni. Resto comunque a disposizione di coloro che volessero approfondire l'argomento a questo indirizzo. plumbe61@libero.it – Fulvio Fava.
le carte piacentine.
Se in una prima fase della sua attività lo stampatore Lattanzio Lamperti si era limitato ad eseguire delle preziose ed accurate ristampe di materiale del Gumppenberg (non senza alcuni adattamenti al gusto negli anni già mutato), in seguito la sua produzione divenne nettamente più originale, con mazzi a figura doppia oppure intera di segno italiano o, sempre più frequentemente, adeguandosi a quel segno francese che si andava imponendo sempre più. In numerosi versioni o varianti, per circa vent’anni, Lamperti produsse carte con personaggi abbigliati in costumi di varie epoche e contesti più o meno individuabili. Sebbene la tendenza all’idealizzazione manieristica, tipica del romanticismo pittorico lombardo e particolarmente evidente nella caretterizzazione delle figure femminili, non permettesse realizzazioni radicalmente originali o di particolare novità di concezione, le illustrazioni sono sempre raffinate e accurate. A differenza delle carte francesi, tedesche o viennesi dell’epoca, i cui personaggi sono estremamente caratterizzati e riconoscibili, spesso vestiti secondo la moda del periodo (1840-1850), negli esemplari del Lamperti si respira una vaga e generica aria da romanzo storico medioevale e lombardo.
le carte piacentine.
Se in una prima fase della sua attività lo stampatore Lattanzio Lamperti si era limitato ad eseguire delle preziose ed accurate ristampe di materiale del Gumppenberg (non senza alcuni adattamenti al gusto negli anni già mutato), in seguito la sua produzione divenne nettamente più originale, con mazzi a figura doppia oppure intera di segno italiano o, sempre più frequentemente, adeguandosi a quel segno francese che si andava imponendo sempre più. In numerosi versioni o varianti, per circa vent’anni, Lamperti produsse carte con personaggi abbigliati in costumi di varie epoche e contesti più o meno individuabili. Sebbene la tendenza all’idealizzazione manieristica, tipica del romanticismo pittorico lombardo e particolarmente evidente nella caretterizzazione delle figure femminili, non permettesse realizzazioni radicalmente originali o di particolare novità di concezione, le illustrazioni sono sempre raffinate e accurate. A differenza delle carte francesi, tedesche o viennesi dell’epoca, i cui personaggi sono estremamente caratterizzati e riconoscibili, spesso vestiti secondo la moda del periodo (1840-1850), negli esemplari del Lamperti si respira una vaga e generica aria da romanzo storico medioevale e lombardo.
carte piacentine del Lamperti