penna

l’inventore Legati

Il negozio laboratorio Philips del Legati si trovava in fondo al cortile del vecchio Roma e il suo titolare, basso e smilzo con un’incipiente calvizie, era un tipo assai bizzarro. Dagli avventori abituali del Roma, i cosiddetti pëssgatt, era considerato una persona introversa e un po’ misteriosa. Se ne stava ore intere chiuso nel suo laboratorio senza mettere il naso fuori apparentemente impegnato in chissà quali ricerche poiché era cosa nota che l’uomo aveva una mente superiore e da lui ci si poteva attendere qualsiasi nuova e inedita diavoleria. Si diceva anche che fosse un nostalgico del fascio e che deprecasse il nuovo regime democratico instaurato in Italia dopo la fine della guerra.


raduno di avanguardisti negli anni ’30 nel cortile dell’albergo Roma
sullo sfondo è ben visibile il laboratorio Philips di Legati

Ma non era leggenda che il Legati fosse davvero un mago dell’elettronica. Parlavano per lui i piccoli e grandi oggetti che la sua mente poliedrica e febbrile aveva creato come uno speciale sbattitore d’uova che separava il tuorlo dall’albume o una penna speciale in grado di registrare, lui sosteneva, la scrittura automatica dei soggetti ipnotizzati.
Ma il suo capolavoro era l’uomo meccanico che lui, novello demiurgo, aveva sperimentato con successo nel cortile dell’hotel. Abile radiotecnico, anticipando i tempi aveva costruito un robot di metallo alto quasi due metri che, usando un telecomando, poteva far avanzare e retrocedere a piacimento. Questo straordinario golem dal colore verdastro, munito di berretto e con un viso di pietra somigliante a una divinità Maya portava una specie di giacca simile a quella che avrebbe indossato qualche anno dopo il Presidente Mao ed era solitamente posteggiato sotto uno dei portici del cortile in posizione di riposo. A me incuteva un certo timore anche disattivato poiché mi pareva avesse un aspetto minaccioso ed enigmatico come se da un momento all’altro dovesse prendere vita e scatenarsi in chissà quali malvage imprese. Ai frequentatori dell’hotel invece pareva solo un ridicolo manichino e non vi dico gli scherzi e i lazzi che la sua presenza causava tra i buontemponi della compagnia dei quali era divenuto col tempo una specie di mascotte. Gion Civardi era solito riproporre un suo classico scherzo: quando scorgeva tra gli avventori seduti ai tavolini del cortile qualche nuova recluta si divertiva a spingergli davanti, grazie anche al suolo in leggera discesa, il robot provocando nel malcapitato un comprensibile spavento.
Un'altra grande passione del Legati oltre all’elettronica era l’opera. Credo fosse un socio della Filo Lirica, comunque so che partecipava alla vita del sodalizio e andava in loggione a teatro con gli amici del Roma. Era un patito delle registrazioni e talvolta eccezionalmente apriva le porte del suo laboratorio per ascolti delle classiche esecuzioni operistiche che allora si incidevano sui rigidi dischi a 78 giri. Era riuscito a vendere a mio padre un grosso radiogrammofono che ancora posseggo e che destò in me la passione per la radio.


Legati a una premiazione tra il tenore Labò e mio padre

L’avvento della televisione portò novità anche al nostro inventore. In breve il suo laboratorio si riempì di mastodontici apparecchi dal minuscolo schermo ovale che con nostra grande meraviglia si animavano trasmettendo immagini molto simili a quelle che vedevamo nei cinegiornali della Settimana Incom. Non erano ancora nitidissime ma ci apparivano prodigiose sebbene allora nessuno avrebbe potuto immaginare che un giorno quei ridicoli apparecchi avrebbero riempito e condizionato la nostra vita. Legati però vedeva lontano e si dava da fare per diffonderne l’utilizzo ovunque. Purtroppo costavano un patrimonio e ben pochi potevano permetterseli. Lui per pubblicizzarli convinse mio padre a sistemarne uno gratuitamente in fondo alla sala dei pëssgatt. Devo dire che la sua collocazione in quel santuario di piacentinità popolare non sortì alcun effetto positivo o promozionale. Capitò che l’unico fruitore degli allora modesti programmi sperimentali della televisione fossi io che me ne stavo ogni pomeriggio con la testa quasi incollata al minuscolo teleschermo per riuscire ad udire qualcosa mentre in sala gli habitué chiacchieravano secondo il loro solito o litigavano durante le interminabili partite a carte. Un pomeriggio il Legati ci chiamò tutto eccitato nel suo laboratorio. C’era in onda (espressione che cominciavano allora ad usare le annunciatrici della nascente Tv) un programma sperimentale di musica presentato in uno studio Rai di Milano dal nostro concittadino tenore Gianni Poggi. Ho un vago ricordo dell’evento mi pare che Gianni intervistasse dei colleghi più o meno famosi facendo ascoltare alcune loro esecuzioni. Ricordo però che Legati, di solito freddo e poco incline agli entusiasmi, quel pomeriggio non stava in sé dall’emozione. Poggi era il suo idolo e vederlo in tv coronava tutti i suoi desideri.
Poco dopo, era il giugno del 1954, ebbero luogo i campionati del mondo di calcio, che allora si chiamavano ancora Coppa Rimet. Si svolsero in Svizzera e per la prima volta la televisione trasmise in diretta alcune partite. Fu così che al Legati, instancabile promotore della nascente televisione, venne la brillante idea di collocare nel cortile del Roma un apparecchio di grandi dimensioni (vale a dire da 23 pollici, il massimo per l’epoca) e mio padre lo assecondò facendo sistemare qualche decina di sedie a una ragionevole distanza per gli spettatori. Pareva un cinema all’aperto e la partecipazione all’evento questa volta fu massiccia anche se il calcio allora non era popolare quanto il ciclismo, come gioco sportivo si dimostrò più idoneo ad essere trasmesso in TV.
Una maggiore seppur fugace notorietà, non solo tra gli avventori del Roma, il Legati la raggiunse quando un bel giorno annunciò a tutta la cittadinanza di essere in grado di costruire nientemeno.. che una bomba atomica! Ecco a cosa si dedicava in quel suo laboratorio semisegreto dove per anni era rimasto segregato rifuggendo ogni avvenimento mondano e scoraggiando la curiosità dei clienti. Si era in piena guerra fredda tra Russia e America e la paura di una catastrofe nucleare, a pochi anni dalla distruzione di Hiroshima e Nagasaki, era attuale sulla stampa e tra la pubblica opinione. Orbene il Legati sosteneva di aver fatto studi approfonditi che gli avevano permesso di realizzare un prototipo della bomba. Gli mancavano, affermava, pochi dettagli secondari per poter sperimentare l’ordigno. Inutile dire che le sue dichiarazioni, apparse anche su Libertà, provocarono non poca ilarità tra i frequentatori del Roma che però si guardarono bene dall’esternarla di fronte all’interessato che oltre ad essere un tipo scostante aveva anche un pessimo carattere. La sperimentazione del temibile ordigno il Legati la fece pochi mesi dopo nei campi adiacenti le mura romane della città. Il giornalista di Libertà, incaricato di seguire lo storico evento, che vide una notevole partecipazione di curiosi, scrisse che si era vista la fiammella arancione allo scoppio dell’ordigno ma non il classico fungo. Dopo quel clamoroso fallimento il Legati rimase dolorosamente colpito e il suo orgoglio d’inventore ne soffrì alquanto. Col tempo la faccenda divenne la sua ossessione finendo inevitabilmente per assumere una piega tragicomica. Ma nessuno si permise mai di accennare alla cosa in sua presenza, ci si limitava ad ammiccare quando si parlava di lui, qualcuno si portava due dita alle tempie a significare che il nostro non aveva tutte le rotelle a posto, qualcun altro invece sperava che il Legati, novello Fermi, avrebbe prima o poi fatto tacere quelle malelingue magari sperimentando non l’atomica ma la bomba H che intanto aveva soppiantato, nella strategia del terrore, la precedente. (di Giorgio Vecchi, 2012).


largo Matteotti e hotel Roma