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Alessandro Farnese


Restringere in un articolo le oltre 300 pagine di ‘Alessandro Farnese’ è molto complicato, ritengo che la cosa migliore sia partire da un abbozzo della sua vita: Alessandro nasce nel 1545 da Ottavio Farnese e Margarita d'Austria. Ottavio – secondo duca di Parma e Piacenza – era figlio di Pier Luigi Farnese, a vantaggio del quale ultimo il padre, papa Paolo III Farnese, aveva fondato il ducato, nello stesso anno della nascita di Alessandro. Margarita, a sua volta, era figlia naturale di Carlo V d'Asburgo, imperatore d'Austria e re di Spagna.


Dopo una gioventù trascorsa tra Parma e Piacenza, Alessandro, verso gli 11 anni, viene inviato a Madrid, alla corte dello zio Filippo II, dove conosce Don Giovanni d'Austria. Al compimento del suo ventesimo compleanno lo zio lo farà sposare con Maria d'Aviz del Portogallo. Le nozze si celebrano a Bruxelles in quanto la madre, Margarita, è governatrice dei Paesi Bassi. Dopo il matrimonio Alessandro torna a Parma con la moglie, dove si ammazza di noia fin quando viene a sapere che lo zio e amico fraterno Don Giovanni d'Austria aveva ottenuto il comando della flotta cristiana per la battaglia che sarà in seguito conosciuta come Lepanto. Alessandro parte per raggiungere lo zio assieme ad una scelta compagnia di nobili parmigiani e piacentini. Durante la battaglia, che vedrà la vittoria delle armi cristiane, si coprirà di gloria. Dopo pochi altri anni trascorsi nel nostro ducato, lo zio Don Giovanni lo chiama nelle Fiandre, dove è il nuovo governatore al posto di Margarita. Alessandro, complice la morte della moglie, non ha di meglio da fare nel nostro ducato e decide così di partire. Dopo pochi mesi dall'arrivo di Alessandro Don Giovanni muore, ad appena 32 anni e Alessandro è il candidato ideale per la successione. Lo zio Filippo II lo nomina infatti governatore delle Fiandre. Il paese è in aperta rivolta – da decenni – sia perché mal sopporta la dominazione spagnola, sia per le guerre di religione che oppongono il nord (odierna Olanda) protestante a il sud (odierno Belgio) in prevalenza cattolico. Alessandro – che rifiuta qualunque appannaggio da Madrid, perché non voleva essere ritenuto un mercenario – dal 1577 al 1592, anno della sua morte, passa di campagna in campagna, collezionando una serie di brillanti vittorie che lasciano presupporre una vittoria totale delle truppe spagnole. È talmente stimato, anche dagli avversari, che Elisabetta d'Inghilterra decide di intavolare una serie di trattative di pace proprio con lui. Le trattative terminano in un nulla di fatto per l'arrivo nel canale della Manica dell'Invincible Armada spagnola che aveva come progetto di imbarcare le truppe di stanza in Fiandra e sbarcarle in Gran Bretagna dove, al comando del Farnese, avrebbero dovuto scacciare Elisabetta dal trono per insediarvi una regina (o un re) di fede cattolica. Come tutti sappiamo, la sorte della flotta spagnola sarà disastrosa e Alessandro proseguirà la sua battaglia contro i protestanti fin quando Filippo di Spagna vede sorgere un nuovo progetto: la spartizione del regno di Francia tra lui medesimo e il duca di Mayenne, capo della lega cattolica.

La Francia, in quell'epoca, è travagliata dalle guerre di religione (la strage di San Bartolomeo è del 1572) e vede contrapporsi la dinastia dei Valois, ormai destinata all'estinzione, all'astro nascente di Enrico di Borbone, campione dei protestanti (i Francesi li chiamano Ugonotti) e alla lega cattolica dei duchi di Guisa. Filippo di Spagna vuole approfittare delle divisioni interne per ritagliarsi un nuovo regno nel sud della Francia, lasciando il nord alla lega cattolica. Lancia così il suo miglior generale (Alessandro è ritenuto il miglior stratega del suo tempo) contro Enrico di Borbone in due campagne che, se vedono – al solito – la vittoria delle armi spagnole, non riescono a spostare il corso della storia: la Francia vuole soprattutto essere un regno unito, coeso e potente, e ci riuscirà – estinto l'ultimo dei Valois – sotto il comando di Enrico IV, il primo re della dinastia dei Borbone. Alessandro, pur vincitore, è costretto a tornare in Fiandra e morirà ad Arras, in territorio francese, mentre sta partendo per la sua terza campagna di Francia. Alla morte del padre Ottavio, col quale non avrà mai buoni rapporti, Alessandro era divenuto il terzo duca di Parma e Piacenza. Non visiterà mai il suo regno da “duca”, lasciandolo governare dal figlio Ranuccio.


Alla fine della sua biografia, traggo queste conclusioni sulla sua figura: “Alessandro è vittima del suo caparbio senso del dovere. Figlio, nipote e pronipote di una genia che ha tradito tutto e tutti per il proprio personale tornaconto, sembra fatto di un'altra pasta: il bisnonno Papa era deciso e determinato, ma pronto a ingannare i suoi cardinali sulle rendite del ducato, il nonno Pier Luigi, dal quale ha probabilmente preso la passione per le armi, se gli conveniva era alleato di Carlo V, salvo rubargli un feudo appena questi girava le spalle. Non parliamo di Ottavio, suo padre, che tramerà con Francesco II contro il suocero e si alleerà con Ferrante Gonzaga, ispiratore della congiura contro suo padre, pur di riconquistare il proprio ducato. Questo rigore, questo senso della disciplina e del dovere Alessandro lo ha ereditato dalla madre, la figlia di Carlo V. Se guardiamo le loro biografie vi troveremo due eroi tragici, chiusi nella corazza del loro rigore. Carlo difende la religione cattolica contro Martin Lutero e il suo impero dalle mire di Francesco I. Margarita difende il suo minuscolo ducato contro il padre, contro il Papa, contro tutti. Difende l'unico figlio, adorato, Alessandro. Si sacrifica tornando in Italia quando Alessandro non vuole dividere con lei il governo delle Fiandre. Tutto questo senza perdere in nessun momento la sua dignità, il senso di appartenere ad una dinastia che ritiene di avere per destino quello di governare il mondo: Austria Est Imperare Orbi Universo, A.E.I.O.U. Secondo il loro orgoglioso motto, spetta all'Austria (agli Asburgo) governare il mondo intero. Di Alessandro non conosciamo tradimenti. Gli unici inganni che pone in esecuzione sono indirizzati al Grande Nemico: Enrico di Borbone. Non ha mai tramato contro chicchesia, ha combattuto con la lealtà di un eroe omerico, ha cercato pervicacemente la pace in un mondo dilaniato da ogni tipo di efferratezza. Ha sempre cercato di moderare l'impeto dei suoi soldati e quando li ha puniti, giungendo a colpirli con le sue stesse mani, non fu mai per ira o per dispetto ma perché sapeva che era l'unico modo per tenere la disciplina. Nel grande affresco delle guerre di religione del XVI secolo, popolato da giganti come Filippo II, la regina Elisabetta, Caterina de Medici, Enrico IV, Massimiliano d'Asburgo e Guglielmo di Nassau, Alessandro si pone esattamente al centro, incrollabilmente fedele ad un re che lo aveva accolto a Madrid bambino decenne e al quale resterà legato per tutta la vita, senza perdere mai la fiducia e il rispetto nei suoi confronti.

Nel complesso rapporto Alessandro – Filippo mi sembra che esca perdente proprio Filippo, roso dal tarlo dell'invidia per la gloria militare del nipote, geloso dei suoi successi, sospettoso che Alessandro voglia conquistare qualcosa per sé, che sia il Belgio, il regno di Francia o il Portogallo. Alessandro adempirà gli ordini che gli arrivano da Madrid non senza discutere, anzi, discutendo animatamente col re, ma a viso aperto, salvo poi obbedire, correndo a Calais per imbarcarsi per conquistare l'Inghilterra, poi la Francia, poi ancora la Fiandra. Se volessimo immedesimarci in Alessandro, magari in quel giorno di agonia, quel due dicembre del 1592, sotto i cieli bigi di Arras, e volessimo tirare le fila di una vita così breve, saremmo presi dallo sconforto: era stato nominato governatore dei Paesi Bassi il 13 ottobre del 1578, quattordici anni trascorsi in tende d'accampamenti spesso invase dall'acqua, mangiando all'aperto con qualunque tempo. Cosa aveva risolto? Nulla. E in Inghilterra? Dopo la visita – bambino – a Maria la Sanguinaria, non era più riuscito a mettervi piede. E in Francia? Dopo aver beffato più volte uno dei soldati più scaltri del suo secolo, le cose erano rimaste come prima, anzi, si profilava la vittoria di Enrico di Navarra. E in patria? Da duca non mise mai piede nel suo palazzo ducale, né in palazzo Farnese. Eppure questa vita di stenti, di continue fatiche, di sforzi inani, di soldi propri spesi a piene mani per difendere le ragioni di un altro, è una vita che ha meritato di essere vissuta. E non sono certo il primo che decide di passare qualche mese con lui per studiarlo, capirlo, ammirarlo e tramandarne le gesta.

Le gesta: come gli eroi omerici, forse ancora più di loro, Alessandro era disinteressato. Conquisterà solo due cose: l'ordine del Toson d'Oro e il castello di Piacenza, che pure non vedrà mai. Un finale kafkiano, degno appunto di Omero. Cosa ha cercato Alessandro per tutta la vita? La gloria militare e l'immortalità che ne consegue. E l'ha raggiunta. L'ha raggiunta anche grazie ad un oscuro scultore di Montevarchi, che senza averlo mai incontrato, lo ha forgiato nel bronzo per consegnarcelo. E noi che lo usiamo come simbolo di qualche banca o del festival del pomodoro! L'ordine del Toson d'Oro, la più alta decorazione spagnola, sarà l'unico ornamento che voleva venisse messo sul suo cadavere. Alessandro aveva disposto di essere rivestito solo del saio dei cappuccini e del collare del Toson d'Oro ed è così che venne sepolto.


alessandro farnese in un rilievo dal suo monumento - foto g. dall'orto

Alessandro, da duca, non visitò mai Piacenza (e neppure la sua capitale, Parma). Perché dedicargli un volume, allora? Non solo per la peculiarità della sua figura di generale, ma anche perché – dopo la sua morte – si è ampiamente rifatto: infatti dal 1625, grazie all'opera di Francesco Mochi, Alessandro è un protagonista assoluto della vita piacentina, alla quale presiede dal suo posto privilegiato, in piazza Cavalli, assieme al figlio Ranuccio. I cavalli di piazza Cavalli sono, infatti (e Alessandro ben più di Ranuccio), l'emblema iconico della nostra città al pari del Gotico, del dado e della lupa. Mi è piaciuto, così, ripercorrere le fasi dell'opera: i cavalli nascono dal desiderio di Ranuccio Farnese di celebrare a Piacenza il battesimo del primogenito e l'entrata solenne della duchessa, Marherita Aldobrandini. I Piacentini partono dall'idea di erigere due statue posticce su due alte colonne, poi passano all'idea del monumento equestre. Il duca Ranuccio incarica uno dei migliori artisti dell'epoca, Francesco Mochi di Montevarchi, che soggiorna per decenni nella nostra città, dove fonde prima il cavallo di Ranuccio, poi Ranuccio stesso, infine il gruppo di Alessandro che, oltre che essere un capolavoro, passa per essere la prima statua barocca del mondo. Il Mochi prende ispirazione dal Marco Aurelio del Campidoglio, dal Colleoni del Verrocchio, dal Gattamelata di Donatello e dai duchi di Firenze ritratti dal Giambologna per creare un unicum che tutto il mondo ci invidia. Mi sono divertito a raccontare com'era Piazza Cavalli prima dell'intervento del Mochi, poi cosa ne fu di Mochi da quando tornò a Roma (e concepì la splendida Veronica, in San Pietro in Vaticano) alla sua morte; infine, cosa capitò ai cavalli da allora ad oggi, con i loro rari traslochi per la seconda guerra mondiale e per i necessari restauri.

Racconto anche cosa dissero di loro i viaggiatori celebri che li descrissero, da Massimo d'Azeglio a Fragonard, da Dickens a Canova, fino a Giulio Carlo Argan e a Antonio Paolucci che confessa al Nuovo Giornale che sono le statue che preferisce: “sembrerò un ruffiano.. ma sono i vostri cavalli, in movimento e con la coda al vento. Non esistono statue equestri come quelle del Mochi in nessuna piazza d'Europa. Ero ragazzino quando le vidi per la prima volta e ricordo ancora il mio stupore. Ed è proprio così.. una persona le vede ed è felice”. Parlando di Alessandro Farnese non può mancare un capitolo sui fasti farnesiani di palazzo Caprarola, vicino a Viterbo e su quelli di palazzo Farnese, né mancano le curiosità e gli aneddoti, dal contrastato matrimonio di Margherita Farnese, figlia di Alessandro, col duca Vincenzo Gonzaga alla vita di Giulia Farnese, la vera fondatrice delle fortune della famiglia come amante di papa Borgia. Nella mia storia non manca Michelangelo Buonarroti, che litiga con Pier Luigi Farnese per il pedaggio del traghetto sul Po né Leonardo da Vinci che discute coi frati di San Francesco, né le liti tra Paolo III Farnese col nipote Ottavio per il possesso del ducato e del cardinale Alessandro (detto “il gran cardinale”) col papa Sisto V. Vi dico solo che il cardinale Alessandro riuscirà a farsi beffe del Papa (che lo perdonerà) salvando la vita del nipote Ranuccio. In questo grande affresco, che abbraccia il crepuscolo del Rinascimento e l'inizio dell'età barocca, mi sono divertito (non riesco a trovare un termine più accademico, ma è proprio quello che è accaduto) a far entrare il Tiziano e Gian Lorenzo Bernini, il Malosso e i Procaccini, il genovese Giovanni Evangelista Draghi e il veneto Sebastiano Ricci, Ilario Spolverini e Taddeo Zuccari. Cosa c'entrano con Alessandro? Poco col grande condottiero, ma moltissimo coi Farnese, una delle famiglie che maggiormente comprese l'importanza dell'arte come strumento di potere e che finirà per essere ricordata tra i più grandi mecenati di tutti i tempi. (di Massimo Solari-edizioni LIR piacenza).