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una Visita dei Boiardi

di giorgio vecchi

Mio nonno paterno gestiva il caffè tabaccheria di Montù Beccaria ma nei ritagli di tempo faceva pure il cuoco partecipando a fiere e mercati nelle principali località sia del pavese che del piacentino. A detta di mio padre e dei miei zii quando doveva recarsi ad uno di questi appuntamenti pare si alzasse all'alba e a piedi, percorrendo scorciatoie e sentieri che conosceva a menadito, giungeva di prima mattina nei luoghi prescelti. Le sue mete preferite pare fossero S.anta Maria della Versa e due importanti mercati del piacentino, Castel San Giovanni e Borgonovo. In quest'unultima località si era fatto numerosi amici che apprezzavano la sua arte culinaria e a cui ammanniva manicaretti da lui abilmente preparati in occasione di cresime, matrimoni e banchetti vari. C'erano in particolare due famiglie amiche che spesso lo ospitavano, i Brianzi, che avevano un'importante agenzia di pompe funebri e i Boiardi con una tradizione famigliare affine ai Vecchi nell'ambito della ristorazione. Questi ultimi avevano molti figlioli, alcuni quasi coetanei dei figli di nonno Carlo, per cui i legami d'amicizia fra giovani delle due famiglie erano ben sviluppati.


ettore boiardi chef

Mio padre in particolare divenne amico di Ettore Boiardi, più anziano di qualche anno, come lui cameriere e poi cuoco in hotel e ristoranti a Piacenza e in altre città vicine. Spesso si recava a trovarlo a Borgonovo anche perché pare avesse una forte simpatia, parzialmente ricambiata, per una delle sorelle di Ettore sebbene poi la cosa non ebbe un seguito. I giovani Boiardi tuttavia mostrarono presto una certa insofferenza a lavorare in patria e uno spirito d'avventura che li spinse ad emigrare alla vigilia della prima guerra mondiale. Un fratello di Ettore, Paolo, era andato precedentemente a cercar fortuna negli States e lavorava come impiegato presso l'Hotel Plaza di New York. Nel 1914 Ettore, poco meno che diciottenne, decise di raggiungere il fratello in America e convinse mio padre a seguirlo. Purtroppo per una serie di contrattempi il ragazzotto che era allora mio padre non riuscì a procurarsi in tempo i documenti necessari per l'espatrio e dovette rinunciare a partire. Quando mi narrava l' episodio mio padre soleva aggiungere con una punta di rammarico che in quel caso la fortuna non era stata dalla sua ma poi sorridendo aggiungeva che non era stato un gran male poiché se fosse partito il suo destino sarebbe stato americano. Di sicuro non si sarebbe sposato con mia madre ed io non sarei mai nato.

I Boiardi erano grandi lavoratori ma non si limitarono a questo poiché erano ambiziosi e intraprendenti. In pochi anni raggiunsero una posizione di rilievo nella comunità italoamericana. In particolare Ettore lavorò in molti ristoranti di fascia alta a New York, come cuoco, fino a diventare chef in ancor giovane età. A 24 anni, si trasferì a Cleveland nell'Ohio aprendo con la moglie il ristorante "Il Giardino d'Italia”. La sua abilità in cucina fu all'origine del successo enorme che i suoi piatti riscossero tra la clientela del luogo, celebri le sue salse e i suoi preparati. Poi ebbe un'idea luminosa. Inventò e commercializzò, sfruttando il successo ottenuto con il ristorante, un metodo di preparazione dei classici spaghetti al pomodoro, rapido e semplice. Il tutto era già pronto in scatola, bastava far scaldare l'insieme a bagnomaria e in pochi istanti si poteva consumare una fumante pastasciutta all'italiana. Di sicuro essa non avrebbe potuto competere con un piatto preparato dalle nostre casalinghe ma per gli americani andava benissimo. Sulle lattine compariva il volto sorridente di Ettore in divisa da cuoco. Producendo pasti saporiti e poco costosi, la società Boiardi prosperò durante la Depressione. Per essere vicino ai campi di pomodori, lui si trasferì con l'azienda a Milton, in Pennsylvania. Durante la Seconda Guerra Mondiale Boiardi, grazie ai suoi appoggi politici, confezionò razioni da campo per le truppe americane procurandosi lauti guadagni.

Per comodità di pronuncia il prodotto veniva commercializzato con il nome di ”Chef Boyardee", e da lì nacque tutta una linea di paste ripiene e minestre in scatola che in breve divennero familiari sulla tavole degli italoamericani e non solo. Ettore comparve spesso alla televisione statunitense a partire dagli anni '50 e fino alla fine dei '70 in programmi culinari e in pubblicità. Quando cedette l'azienda era già ricchissimo e volle che i suoi prodotti mantenessero il marchio originale e la sua effige che hanno ancor oggi. Lui nel frattempo aveva comprato una acciaieria in difficoltà che con il sopraggiungere della guerra gli fruttò altri guadagni. Era certamente un personaggio singolare. Di tanto in tanto veniva a Piacenza ove aveva lasciato oltre a un fratello, il Cavalier Luigi Boiardi che possedeva l'albergo Leon d'oro, parenti ed amici.


una pubblicita dei Boiardi

Comparve per la prima volta al Roma dopo la guerra e l'incontro con mio padre fu caloroso e commovente. Ettore però era cambiato, non era più il giovane semplice che mio padre aveva conosciuto e frequentato negli anni dell'adolescenza. Era un uomo arrivato, giustamente orgoglioso del suo successo ma come spesso accade a coloro che hanno passato un'infanzia di privazioni, ci teneva ad esibire la sua ricchezza. Per questo, nonostante l'amicizia con mio padre, non volle alloggiare al vecchio Roma che doveva sembrargli un hotel troppo modesto preferendo la Croce Bianca, allora il primo albergo della città. So che questo dispiacque a mio padre ma lui comprese che Ettore era ormai un uomo importante ed era dunque giusto così. Mia madre invece, in questa occasione come in altre successive sue visite in Italia, commentò un po' acidamente il "tradimento" di Ettore. -"Se fosse davvero tuo amico sarebbe venuto al nostro albergo" . Ma mio padre non gli portò mai rancore, anzi ogni volta che veniva in Italia andava sempre alla Croce Bianca per incontrarsi con lui. Dopo la costruzione del Grande Albergo Roma, Ettore prese a venire nel nuovo hotel, complimentandosi con mio padre per la modernità della struttura. Era un cliente molto generoso con il personale ma anche molto esigente. Ebbi allora occasione di conoscerlo meglio, anzi andai qualche volta con lui e papà a Montù poiché desiderava incontrare zia Gina, con la quale in gioventù aveva forse avuto un innocente filarino. Con me era sempre gentile e si informava dei miei progressi scolastici. Quando seppe che mi ero iscritto a Lingue all'università mi chiese a bruciapelo se intendevo abbandonare la tradizione di famiglia nel campo della ristorazione. Gli confessai che non ero portato per quell'attività e lui mi disse che l'importante era sapere cosa si vuole dalla vita.

Un giorno d'estate verso la metà degli anni '70 venne con la cognata Anna , pure lei originaria di Piacenza, da poco vedova di un fratello che aveva vissuto come lui in America. Avevano messo sulla nave la loro lussuosa Cadillac dato che Anna si considerava una provetta guidatrice e contavano di fermarsi un buon mese in Italia. Mio padre mi chiamò dal Roma qualche giorno dopo: Ettore voleva chiedermi urgentemente un favore, andai all'hotel e lo trovai nella hall che mi aspettava con un vestito di lino bianco, un cappello di paglia dello stesso colore e un enorme sigaro spento tra le labbra. Mi chiese come stavo, lo ringraziai e lui annuì sorridendo. Mio padre sopraggiunse poco dopo ma Ettore gli chiese garbatamente di lasciarci soli, era una faccenda che dovevamo sbrigare tra noi. Incuriosito, immaginai trattarsi di cosa riservata, invece mi spiegò che Anna, il giorno seguente doveva recarsi a Milano per accogliere alla stazione i nipoti che tornavano da una gita in Germania. Siccome non era pratica del tragitto lui mi chiedeva se potevo andare con la mia auto a fare da staffetta mentre loro mi avrebbero seguito sulla Cadillac. Naturalmente, si affrettò ad aggiungere, mi avrebbe pagato il disturbo. Questultima osservazione mi irritò anche se non lo diedi a vedere. Un favore a un amico di famiglia lo si fa gratis, ma Ettore era fatto così, pensava che ognuno ha un prezzo e misurava tutto in termini di danaro. Gli risposi che ero lieto che avesse pensato a me; l'indomani, aggiunsi, -ed ero sincero nel dirglielo- sarei stato a sua completa disposizione.

Fu così che la mattina seguente partimmo per la capitale lombarda, io davanti con la mia vecchia Fulvia a fare da battistrada e loro dietro con la mastodontica fuoriserie. Per me era un tragitto noto poiché a Milano ero andato per oltre sei anni nel periodo degli studi universitari e conoscevo bene la città. Faceva un caldo tremendo quel giorno di metà luglio ma giungemmo alle porte di Milano senza inconvenienti. Li guidai rapidamente verso la stazione ma il traffico era come sempre caotico e impiegammo vari minuti per giungere a destinazione. Eravamo ormai in vista del monumentale edificio quando improvvisamente il macchinone americano che mi seguiva cominciò ad emettere un gran fumo bianco mentre una specie di sirena iniziava a suonare. La macchina immediatamente si bloccò sul piazzale antistante la stazione mentre dietro una fila di automobilisti suonava spazientita per avere strada. Accorsero un paio di vigili urbani che, vista la situazione, riuscirono a dirottare l'auto su una piazzola vicina. Ettore li ringraziò e stava per aprire il portafoglio e dare loro una mancia ma poi qualcosa gli fece cambiare idea. I due "ghisa" si rivolsero deferenti a quelli che ritenevano due distinti e danarosi turisti spiegando che dato il grande calore l'auto doveva essersi surriscaldata, sarebbe bastato attendere qualche minuto e poi avrebbe potuto ripartire. Uno di loro volle anzi sollevare il coperchio che celava il motore e accertarsi dell'inconveniente. Poi, rivolgendosi a me, disse che bisognava aggiungere acqua al radiatore poiché ormai questa si era quasi del tutto evaporata. C'era un distributore nei pressi e con una tanica feci rifornimento d'acqua comprando anche un liquido refrigerante adatto. Ettore però era diffidente e non volle metterlo nel radiatore limitandosi a introdurre solo l'acqua. Anna nel frattempo era entrata in stazione uscendone poco dopo con due robusti adolescenti dai capelli a spazzola, con rosei faccioni lentigginosi dai tratti inequivocabilmente yankee.


ravioli in scatola

Chissà se erano cresciuti così grazie ai prodotti della linea Chef Boyardee, pensai un po' malignamente. Avrei voluto attaccare bottone con loro ma Ettore mi disse che non sapevano una parola d italiano ed il mio inglese non era allaltezza per intavolare una sia pur banale conversazione. Ripartimmo poco dopo e tutto filò liscio fino a Piacenza. Una volta arrivati, Ettore mi ringraziò calorosamente poi mise mano al portafoglio chiedendomi quanto avevo presumibilmente speso per la benzina. Gli dissi che non era il caso ma mi allungò perentorio qualche banconota. "Prendili, Giorgio- mi disse- oggi mi hai cavato d'impaccio e te ne sono grato. Ma non voglio assolutamente approfittarmi di te. So che ancora non hai un incarico stabile nella scuola. Tuo padre è preoccupato, avresti dovuto evitare di deluderlo optando per la carriera alberghiera che ti avrebbe probabilmente dato più soddisfazioni e fatto guadagnare di più. Nella vita bisogna avere le idee chiare e procedere sicuri di quel che si fa. Non c'è cosa peggiore che restare senza lavoro. Io e tuo padre abbiamo cominciato a lavorare che eravamo quasi bambini, ci siamo fatti i nostri sacrifici, ed ora ci meritiamo le nostre piccole soddisfazioni". Mentre parlava e mi ammanniva con tono paternalistico le sue pillole di saggezza weberiana, lo scrutai con attenzione. Aveva piccoli occhiali dalla montatura dorata, un bell'orologio d'oro massiccio al polso sinistro, i capelli d'un bianco candido e l'aspetto di un distinto business man americano. S'avvicinava all'ottantina ed io vidi in lui un uomo soddisfatto di se stesso, forse un tantino vanitoso, e di conseguenza affettato e saccente. Probabilmente votava repubblicano alle elezioni presidenziali, chissà... Mi chiesi se in lui fosse rimasto qualcosa del giovane povero che nei primi anni del secolo aveva lasciato l'Italia per cercar fortuna in America. Poteva ben dire Ettore Boiardi di averla trovata l'America, lui che con tenacia e intraprendenza aveva coronato brillantemente il suo sogno americano. Solo che nella vita ci sono anche degli scotti da pagare e il buon Ettore aveva forse perduto, nel suo lungo cammino verso il successo, la genuinità di quel giovane emigrante di un tempo. Così pensai e fui contento che mio padre non l'avesse seguito quel lontano giorno nel Nuovo Mondo. Lui nella vita non aveva certo raggiunto la ricchezza e il potere dell'amico ma in compenso aveva mantenuto intatte l'innocenza e la spontaneità di quando era ragazzo.(al solit profesur).