penna

Ricordo di un Maestro

di giorgio vecchi

Alla fine della quarta elementare al Rione Mazzini, la nostra maestra Piera Campominosi ci comunicò, con le lacrime agli occhi, che aveva maturato quarant’anni di insegnamento ed era giunto per lei il tempo di andare in pensione. Per cui l’anno successivo in quinta avremmo avuto un altro insegnante. La notizia ci colpì molto e alcune mamme preoccupate, tra cui la mia, cercarono di persuadere Piera a prolungare di un anno la sua permanenza nella scuola senza riuscire nell’intento. Si organizzò allora un addio strappalacrime alla nostra cara maestra con l’abile regia di Teresa Trivioli, la nostra briosa docente di canto che ci fece imparare per l’occasione una canzoncina che cantammo in una toccante cerimonia e che non ho mai dimenticato. Attaccava così: “O dolce maestra che fosti la mamma sì cara e sì buona di tanti bambini/che pura accendesti nei cuori piccini la vivida fiamma del bene e del ver..” Eravamo ai tempi in cui queste cose avevano un loro valore e ancora attuale era la lettura del "Cuore" di de Amicis col suo concentrato di nobili sentimenti.
Il nostro rapporto con Piera Campominosi non si estinse del tutto. L’anno seguente un gruppetto di noi fedelissimi andò a trovarla nell’appartamento posto sopra al negozio di giocattoli gestito dal fratello all’angolo di Via XX Settembre con via Frasi. Lei fu molto lieta di vederci, mi pare che ci offrisse del tè e dei pasticcini.


via Cavour e scuole Giuseppe Mazzini

Frattanto era arrivato il nuovo insegnante, di cui si diceva un gran bene; era un bell'uomo sulla trentina che a me ricordava un attore del cinema. Si chiamava Giovanni Anelli, era laureato in Magistero, e il suo metodo di insegnamento rappresentò per noi una autentica rivoluzione. Grazie a lui affrontammo con relativa facilità le insidie dell’analisi logica necessaria anticamera all’apprendimento della lingua latina che avremmo studiato più innanzi. Per intanto c’era da superare lo scoglio dell’esame d’ammissione previsto alla fine del quinquennio per chi, come la maggior parte di noi, non sarebbe andato alla "Coppellotti", vale a dire alla scuola di avviamento professionale e Anelli si prodigò con impegno nell’intento. So che in seguito fu direttore didattico in alcune scuole della città ma credo che la sua più bella dote fosse la capacità di insegnare. Giovanni aveva un approccio alle cose che lo rendeva quanto mai efficace a trasmetterle. Era conciso e misurato senza mai essere pedante e trasmetteva una forza e un’autorevolezza innate. Inoltre aveva un fine senso dello humour che sciorinava a intervalli senza strafare. Ne fummo tutti contagiati e potemmo dare il meglio di noi stessi all’esame.


veduta della scuola Mazzini 1932

Ho almeno due ricordi che mi legano a Giovanni Anelli, il primo si riferisce alla scoperta dei manzoniani Promessi Sposi, testo che lui conosceva a menadito. Una mattinata alla settimana il nostro maestro la dedicava al celebre romanzo: ci narrò capitolo per capitolo tutto il libro, inframmezzandolo con dotti e appropriati commenti, ma quel che più conta seppe farcelo amare. Quelle ore per noi divennero un appuntamento anelato e quando più tardi alle medie iniziammo uno studio più sistematico dell’opera ne avevamo già un’ampia conoscenza grazie a lui.
Il secondo ricordo è più prosaico e si riferisce invece al calcio, o meglio ai campionati del mondo che si svolsero in Svizzera nel giugno del 1954. Quell’anno per la prima volta la nascente televisione trasmise in diretta alcune partite, evento di grande risonanza. Anche se il calcio allora non era popolare quanto il ciclismo, come gioco sportivo si dimostrò adattissimo a essere trasmesso in TV. Per l’occasione nel cortile del "Roma" venne sistemato dal sempre solerte Legati a scopo promozionale un televisore di grandi dimensioni (vale a dire da 21 pollici, il massimo per l’epoca) e qualche decina di sedie vennero disposte a una ragionevole distanza per gli spettatori. Pareva un piccolo cinema all’aperto. Io naturalmente non volli perdermi nessuna delle partite trasmesse anche se il comportamento della nostra nazionale, eliminata proprio dai padroni di casa della Svizzera, fu deludente. La partita finale, che si disputò fra Germania e Ungheria, vide un concorso di pubblico notevole. Immaginatevi la mia sorpresa quando poco prima dell’inizio vidi entrare nel nostro cortile sulla sua fedele Vespa proprio il nostro maestro venuto ad assistere anche lui all’incontro. Anche se era persona che non dava troppa soggezione la sua presenza mi bloccò un poco quando, scorgendomi, venne a sedersi accanto a me. Durante il corso della partita ogni tanto io lo sbirciavo con qualche imbarazzo ma alla fine lo humour con cui lui commentava certi interventi in campo finì per contagiare anche me. Mi accorsi tra l'altro che era un fumatore accanito perché durante tutto l’incontro si fumò un buon numero di sigarette. Terminata l’emozionante tenzone con la vittoria dei tedeschi Anelli venne a salutare i miei prima di accomiatarsi e mia madre ne approfittò per chiedergli se dava lezioni private. Lei già prevedeva che in autunno sarebbero ricominciati i miei guai, vale a dire i consueti febbroni stagionali con conseguenti e ripetute assenze scolastiche e voleva mettere le mani avanti convinta che alle medie avrei avuto bisogno di ripetizioni per mettermi in pari con gli altri. Andai in effetti a lezione di latino da Giovanni per un certo tempo quell’inverno e devo a lui i buoni risultati ottenuti in prima media nonostante i miei soliti malanni.


classe elementare maschile con i banchi di una volta

Per molto tempo non ne seppi più nulla. Un mattino, a metà degli anni ’70, ero seduto in una stanza del Provveditorato in attesa che l’amico Carlo Bravi mi raggiungesse. Tutt’a un tratto la porta si aprì e vidi con sorpresa entrare Giovanni Anelli, il mio antico maestro. Mi alzai sorridendo e mi avvicinai a lui per salutarlo ma m’accorsi che non mi aveva riconosciuto. Era più che comprensibile, di anni ne erano passati almeno venti e non ci eravamo più incontrati. Allora vinsi la timidezza e gli dissi chi ero. Giovanni rimase un attimo sorpreso quindi mi sorrise e con gesto spontaneo mi abbracciò. Poi un poco si commosse nel sentirmi rievocare quei lontani anni. S’informò sui miei genitori, sui miei studi e saputo che ero un collega mi disse che era arrivato il momento di darci del tu. Io lo guardavo mentre mi parlava, non era più il giovane aitante dei tempi del Mazzini ma portava ancora bene i suoi anni e non aveva abbandonato l’immancabile sigaretta. Avrei voluto dirgli tante cose ma ero di nuovo timido come uno scolaretto davanti a lui. Una cosa però volli assolutamente dirgliela, e vinto l'imbarazzo, quasi balbettando gli espressi tutta la mia riconoscenza per l'anno indimenticabile in cui lui fu presso di noi in quel lontano 1954 e sono certo di avergli dato con le mie parole una piccola gioia.
Fu un incontro che non ho mai dimenticato anche perché dopo d’allora non ebbi mai più occasione di incontrarlo. Anche in una città relativamente piccola come Piacenza, è possibile vivere per anni senza mai ritrovarsi. (Al solit profesur).