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un Palco al Municipale

di Giorgio Vecchi

L'amore per la lirica nella nostra piccola città è sempre stato forte ed autentico, specie nella prima metà del secolo scorso. Il nostro teatro agli inizi del novecento fu il banco di prova, insieme a quello di Parma, di molti giovani cantanti. Ottenere un successo artistico qui equivaleva a superare un difficile esame. La cosa era talmente nota che lo stesso Hemingway, nel romanzo Addio alle armi”, ne fa cenno.

Il vecchio albergo Roma, come già ho avuto modo di ricordare, fu per qualche tempo, nei primi anni cinquanta, sede degli appassionati melomani che occupavano, durante la stagione lirica, il loggione del Municipale disdegnando palchi, platea e gallerie. Mio zio Gino era uno di questi e si piccava di essere un vero intenditore. Possedeva un'intera collezione di libretti operistici, anche di opere che raramente si proponevano sui palcoscenici italiani, e sapeva a memoria interi brani di essi compresi i recitativi. Tra i pëssgatt del Roma, lui e il suo grande amico Savino Ferranti, erano assai reputati in campo lirico e spesso polemizzavano con altri appassionati come il barbiere Gerra o lo "zio" Vanettu Ferrari, che facevano apposta a stuzzicarli e a fare i bastian contrari quando si dovevano giudicare le doti di questo o quell'artista. Ne nascevano furiose discussioni spesso placate da mio padre che faceva un pò da ago della bilancia tra gli uni e gli altri.

Zio Gino era sempre informato con largo anticipo sulle opere che si sarebbero messe in cartellone nella successiva stagione lirica e spesso si lamentava della modestia degli allestimenti ricordando con nostalgia gli anni gloriosi del primo dopoguerra quando i migliori artisti facevano a gara per venire a cantare a Piacenza. Una sera, si era credo nel 1954, discorreva con i miei sulle opere della prossima stagione teatrale e diceva un gran bene del nostro tenore concittadino Flaviano Labò che riteneva uno dei giovani artisti più promettenti. Ci fece sapere che in cartellone ci sarebbe stato un ottimo allestimento della Tosca di Puccini con lo stesso Labò, per la prima volta invitato a cantare nel teatro della sua città. Mia madre ebbe allora l'idea di condurre a teatro la nonna, relegata quasi tutto l'anno con zia Iucci a Bettola dove se ne stava quasi sempre sola in casa a rimuginare sulle passate tragedie famigliari.


Mamma era convinta che una serata al Municipale l'avrebbe divertita e una volta tanto distolta, momentaneamente, dalle quotidiane tristezze. Papà fu subito entusiasta della proposta, aggiungendo che per fare le cose per bene si doveva affittare un palco ove nonna e tutti noi avremmo potuto vedere l'opera pucciniana con ogni comodità.
Nonna Linda, inoltre, da anni assente da ogni evento mondano e disabituata a stare in mezzo alla gente, non si sarebbe sentita in imbarazzo nel piccolo locale che in qualche modo l'avrebbe protetta dalla curiosità dei presenti. Zio Gino allora intervenne assicurando che ci avrebbe pensato lui a trovare un buon palco in posizione favorevole per seguire con agio la rappresentazione.

Convincere nonna fu però un'impresa. Lei non voleva saperne di scendere a Piacenza e mostrarsi in teatro: allegò che non aveva un abito adatto, ma zia Iucci le annunciò che aveva già parlato con la sua sarta per questo. Alla fine mia madre e la sorella riuscirono ad infrangere il muro di diffidenza della nonna che si lasciò convincere. Per l'occasione zia Iucci e zio Giorgio sarebbero venuti con lei in città a rioccupare per qualche tempo il loro appartamento sul corso perennemente vuoto. Mia madre segretamente sperava che nonna sarebbe poi rimasta un pò a Piacenza presso di noi ed io condividevo il suo desiderio.

L'evento mobilitò non poco le nostre giornate per un certo tempo e per questo mi è rimasto ben impresso nella memoria. Zio Gino mantenne la promessa e ci procurò, per la première, un palco con una visuale perfetta. Era nel secondo ordine sul lato sinistro guardando il palcoscenico. Nonna venne in città più volte in quel periodo per le visite alla sarta. Io stesso dovetti andare dal sarto Perinetti per farmi confezionare un completino adatto alla circostanza. Devo dire che la prospettiva di assistere alla Tosca non mi entusiasmava più di tanto pur essendo una delle poche opere che non mi dispiacevano. Come già mi è avvenuto di dire, a teatro andavo spesso durante la stagione lirica, più per far piacere a mio padre che per un vero interesse. Occupavamo il palco di proscenio a destra del palcoscenico che la Filo Lirica aveva permanentemente a sua disposizione e di cui quasi nessuno approfittava. Certo non era il massimo, la sua vicinanza al palcoscenico era eccessiva dato che quasi incombeva sulla scena con effetti poco gradevoli, però per un vero appassionato non avrebbe fatto gran differenza e difatti mio padre nemmeno guardava la scena bastandogli ascoltare le voci e l'orchestra. Io invece non riuscii mai ad appassionarmi alla lirica, la lunghezza delle opere finiva con l'annoiarmi e i recitativi mi apparivano spesso comici o grotteschi. Questa volta però saremmo stati in un vero palco e per di più con la cara nonna, per cui anchio ero eccitato per la novità.


Finalmente la tanto attesa rappresentazione ebbe luogo e noi ne fummo trepidanti spettatori. Il nostro teatro era gremito dalla platea al loggione, forse si trattava addirittura dell'inaugurazione della stagione lirica ed il pubblico era elegante e mondano. Tutto andò per il meglio, nel palco eravamo un pò stretti poiché anche zio Giorgio non volle mancare. Nonna sedeva a sinistra nella poltroncina davanti mentre mia madre e zia Iucci stavano sul lato opposto, mio padre, zio Giorgio ed io occupavamo i panchetti interni. Poi nonna volle che mi sedessi in braccio a lei, per cui potei assistere all'intero spettacolo senza perdere nessun particolare. Labò, per quel suo primo approccio importante con l'esigente pubblico di casa, si era preparato a dovere. Per nulla emozionato, esibì la sua bella voce senza risparmiarsi ed ebbe molti applausi, anche la soprano e l'intero cast furono allaltezza. Certo il contrasto tra i due principali protagonisti era stridente, lui alquanto piccoletto, lei un donnone imponente. Mi venne in mente una famosa storiella che circolava a quel tempo. In occasione di uno spettacolo sfortunato, un tenore che doveva portar fuori scena una robusta soprano si sentì così apostrofare da un loggionista:"Fa dü viaz”,frase che scatenò l'ilarità dell'intero teatro. Ma quella volta non ci furono battutacce, anche i loggionisti applaudirono convinti. Nonna Linda era commossa e soddisfatta. Mi raccontò poi che molti anni prima, quando le cose in famiglia ancora non erano precipitate, era andata spesso a teatro con mio nonno poichè l'opera le piaceva, soprattutto apprezzava le musiche di Verdi e Puccini. Dopo la nonna, la più contenta era mia madre che alla fine riuscì davvero a convincerla a restare con noi alcuni giorni. Di quel famoso spettacolo al Municipale si parlò ancora molto nei mesi seguenti in famiglia. E dopo la scomparsa della nonna, avvenuta purtroppo solo un anno più tardi, esso si tinse per le sorelle Tinelli di malinconiche risonanze, qualcosa da sistemare nell'album dei ricordi sereni, un piccolo tributo a colei che tanto aveva sofferto e alla quale per una sera avevano offerto un piacevole diversivo. (Al solit profesur).