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Mostra Postuma di Francesco Ghittoni a Piacenza

mostra allestita a palazzo gotico nel 1939

Francesco Ghittoni, nativo di Rizzolo in terra di san Giorgio, e perciò pittore piacentino, è poco conosciuto in Italia, anzi, a molti pittori d’oggi è affatto sconosciuto. Eppure è uno degli artisti dell’Ottocento la cui opera merita bene d’essere ricordata; è artista che ha saputo degnamente guidare all’arte non pochi giovani che oggi camminano, non ultimi. La mostra attuale, allestita nel salone del Palazzo Gotico, è stata ideata e curata da due giovani allievi di lui, i pittori Giacomo Bertucci e Giovanni Marchini. Vi fu polemica e lotta prima di arrivare a concludere questa mostra; vi fu qualche giovanile intemperanza, priva di ogni malizia, che meritò subito venia, per il sincero amore per il maestro e all’arte che caratterizza quei due giovani. Devo confessare che io, che scrivo, ho conosciuto oggi, nel suo complesso l’arte di questo pittore; avevo, si, veduto alcune opere nella città natale, ma la loro scelta non era tale da poter, su quelle, classificare l’autore. Ero con l’amico avvocato Adolfo Cogni, di ritorno da una visita a quella cara figura che fu il nobile Giuseppe Ricci Oddi, quando andai a trovare il Ghittoni all’istituto Gazzola. Egli ci venne incontro, dall’alto della scala, vestito di tela azzurrina, vecchio, umilissimo; ci condusse a vedere l’Antonello da Messina, il famoso “Ecce Homo” che una volta era nella raccolta civica di Piacenza, e che ora è tornato ai Padri Domenicani. Un piccolo Cristo, il “povero Cristo” che li guarda, e più, ti fissa attraverso il sangue di cui ha velati gli occhi; dipinto così senza colore, senza enfasi, da Antonello per comunicarci forse un suo vero intimo dolore. Io rimasi a lungo a guardare la piccola tavola e capivo che, via via, ne rimanevo preso; il Ghittoni godeva di questo, perché lui, che la vedeva ogni giorno, ne era preso totalmente. Il suo studio i suoi lavori, non li fece vedere a noi, e neppure si parlò dell’arte sua. Oggi ho veduto l’opera sua e ho capito perché egli allora si fosse tenuto, intimamente, così nascosto. C’è un’affinità tra l’animo del Ghittoni e la cristiana espressione che emana dal Cristo di Antonello; anche Ghittoni è il povero, l’amoroso, intendo parlare solo di arte, è il volontario che tace e lavora. Ghittoni è del popolo, e si è mantenuto del popolo, e non ha avuto molto spazio per l’espressione della sua attività. Guardate l’autoritratto col vecchio cappello a piccola tesaed il nastro color caffè stinto; è vivo ed indicativo: vi è del comico e del serio in lui: è tutto l’Ottocento lombardo di Ranzoni, di Rovani, di De Marchi; la pittura è franca ed abile e senza complimenti. Vi è tutto lo spirito del borgo piacentino negli occhi che guardano acuti dall’ombra del cappello: questo spirito popolaresco assume nobiltà dalla buona pittura. C’è nei dipinti del Ghittoni spesso un vago senso di humor che è ben lontano dalla caricatura e non è altro che il diretto riflesso, in lui, della vita vissuta; vi è spesso della tristezza: s’incontra molto dolore, vi sono delle oasi di serenità, mai spensieratezza, mai banalità. Ciò che è sereno in lui è anche severo. Se guardiamo per esempio la “cresima”, originale lavoro non terminato, che dice a noi tutto quanto ci interessa , scopriamo nei sei ritratti della famiglia Ghittoni in cammino, tutta l’anima della casa:l’amore che lega le persone pur pienamente libere, la serena quiete dei convinti cattolici oggi felici,il godimento della festa e della bella giornata; questo godimento è dato anche dalla gioiosa chiarezza del colore nell’ora mattinale. I lavori di questo artista hanno quasi sempre un impianto classico che, nelle opere più vive, ha talora un sapore romanico. Ritroviamo questo, molto evidente, in “Visita alla nonna”; questo piccolo quadro ci richiama molte antich omposizioni; fatto istintivo questo in un grande artista che ha vissuto la sua scena nella sua stessa casa. La figura, che è davanti, ricorda un pò Favretto, ma a noi interessa solo per il posto in primo piano o di contrappeso che occupa nella scena vera; questa è là, presso la nonna che guarda il nipotino, presentato dalle giovani donne. Tutto è qui essenziale: le persone come gli oggetti, la nonna come l’abito che è appeso al muro. Il dipinto è caldo di colore e pieno di luce, anche affettiva, e tutto è chiuso nel più giusto fuoco. Altro piccolo quadro, che a noi sembra assai importante, è “ Il testamento”; tutto di un colore grigio, saturo di perla, or caldo or freddo, segnato con la pennellata sicura di chi sa e di chi ha vissuto e meditato il proprio motivo. Vi è una profonda malinconia , ma non tristezza, e vi si sente una forza poetica dominante. La scena richiama, nella sua estrema semplicità, il bassorilievo romanico, di quelli che il Ghittoni vide nel suo Duomo o in quello di Fidenza. Il terzo quadretto, che non vorrei dimenticare, è “Interno di cucina povera” che, pur dipinto dal vero, ha la sua precisa impostazione spaziale , come fosse una meditata composizione; ogni cosa, ogni linea, ogni oggetto,ogni pennellata, chiara o scura, calda o fredda,è al suo posto assoluto nel tutto, La cucina è veramente quella del povero, e vi si sente l’aria fredda e l’assenza d’odor di cucina; ma quanta poesia in quella pittura sottilmente pensata, in quelle cose amate e curate in ogni loro forma, luce o colore. Un quadro invece di dolore, significante anzi tragedia, quadro che dovette tener la mente dell’artista per lungo tempo, è “Triste addio”, che vediamo quasi ripetersi in “Ambulanza” e in altri bozzetti. La madre ammalata esce di casa verso l’ospedale : l’uomo vuol confortarla, essa piange piegata su se stessa, i bimbi piangono in disparte. E’ un dolore che Ghittoni sofferse veramente e che qui ci palesa. La donna è una figura quattrocentesca di Vergine addolorata, di espressione potente; la bimba ch’è a terra, viva né suoi piani taglienti, è figlia dell’Ottocento romantico, ma ci fa pensare alla “discacciata” del Botticelli, i bimbi che son dietro (parlo qui dell’ “Ambulanza”) dicono già una forma avvenire che è a noi più vicina. Con “Amor fraterno” entriamo in un ambiente già più sereno e caldo dell’Ottocento, si sente che viviamo nell’epoca del Segantini, ma la pittura è totalmente diversa, quindi è assai diverso il pensiero. Il quadro ci comunica il calore di una buona famiglia, dove la malata stà sicura ed amata. Se osservate il gioco delle linee, luci ed ombre, che formano la solida architettura, capirete che il Ghittoni meditò molto su questo lavoro, per dargli quel sentimento di pace che sentiamo guardandolo. Cosi il disegno largo e solido di ogni creatura o cosa, la semplicità delle espressioni, ci dichiarano la potenza dell’artista e la coscienza dell’uomo. Quei pochi ritratti che qui sono, i due Buscarini e quello della Bosi, ed anche quello della madre possono richiamarci la vivacità dei macchiaioli migliori, per la salute e la finezza della pittura e per la certezza del carattere; quello del pastore Bachofen, così finito comìè, all’antica, ci richiama lo spirito del primissimo Ottocento. Abbiamo detto che il Ghittoni è un cattolico; egli scrisse, ricorrendo la Sua settantatreesima Pasqua, che fu l’ultima: “mi conforta che tutto Sopportai con passabile rassegnazione, per la fede viva in colui del quale oggi si commemora la passione e morte, che termina col gaudioso avvenimento: la Resurrezione!“, questa serena fede nella misericordia di Dio pervase tutta l’opera di lui, sia che facesse o no opera religiosa. Abbiamo qui diversi bozzetti, sempre vivi e da pittore, ma non possiamo dire veramente di conoscere l’opera religiosa di carattere più vasto da lui compiuta.Vediamo qui il quadro “Getsemani” della chiesa di San Sepolcro, l’unico di tipo chiesastico. Vi è grande espressione di dolore nel Cristo piegato, quasi abbattuto sulla roccia: è la passione che incomincia, ed il Cristo sente già i colpi della folla che gli urla e lo deride, lo schiaffeggia e lo staffila. Ma il Ghittoni, il credente, ha voluto che l’Agnello non fosse del tutto abbattuto, ma apparisse, col sollevargli il capo sopra la pietra. Il Redentore che soffre, ma perdona ed opera per il bene anche dè suoi nemici. Il Somarè, nella presentazione del catalogo, chiama il Ghittoni “casto fino allo squallore” e dice che “il quadro sacro in lui, dimessa ogni retorica usata, assumeva un aspetto pieno di palpitante devozione” e aggiunge: Egli pregava e compativa dipingendo, come se la fede e il dolore fossero essi il soggetto e il tema delle sue pitture. E’ però necessario definire che la grandezza del Ghittoni, il povero, il credente, il dolore dato dall’intimo intrinseco della sua pittura, il modo come egli concepiva artisticamente i suoi quadri, dalla forza del suo disegno, dall’amore ai suoi modelli, uomini o cose, dalla coscienza d’avere, come artista, il dovere di dare all’arte ogni suo bene. Perciò non è tanto il soggetto religioso che conta per lui quanto la religione che aveva per l’arte. Anche “nell’episodio della insurrezione piacentina del 48, contro gli austriaci”, il sentimento dell’artista non falla, lo spirito è lo stesso. Il movimento non esagera lo spasimo: il tutto è vissuto, dal vecchio signore che appare sul palcoscenico a chiamare la folla alla riscossa, al ragazzo che calpesta la nemica divisa, al contadino, al borghese che preparano il fucile ed innalzano il tricolore. L’artista della cucina povera parla, qui e altrove, sempre la stessa voce, senza ingannarci con nessun falsetto. Guidati dal signor Aldo Ambrogio abbiamo visitato l’annessa mostra dei “Piacentini nell’immagine” formata da ritratti originali dal quattrocento ad oggi; pitture, sculture, stampe e miniature. Si notano diversi ottimi ritratti; per esempio i due dipinti da Gaspare Landi, del marchese Anguissola e del conte Rota: quello d’autore ignoto raffigurante il conte Alberto II Douglas Scotti a cavallo: poi quello di mons. Zantemaria del Tagliasacchi e del card. Landi dipinto dallo Stern: e ancora quello del letterato Poggi del Sicardi. Tra le stampe va notata quella del de Bry per Lorenzo Valla, e l’altra del Martire per il cardinale Maculani, del Cagnoni per Umbertino Landi, e da ultimo il disegno del il Legnani, inciso da rados, per Giandomenico Romagnosi. Vi sarà altra occasione di parlare più diffusamente di tale mostra. Ciò che è palesemente rivelazione di tali mostre è, che chi si fa ritrarre dai più grandi artisti riceve maggior gloria e manda più lontano il suo nome che non chi faccia invece il contrario. (Aldo Carpi per l’illustrazione Italiana del 1939)


Francesco Ghittoni - paesaggio sotto la neve - gall. Ricci Oddi