la Sciagura di Arena Po
il Fiume Inghiotte Nove Ragazzetti
Venerdì sera correva voce di una sciagura gravissima avvenuta ad Arena Po. Si diceva di ragazzi annegati mentre si bagnavano e si diceva anche di una barca che conteneva una dozzina di giovinette che si era capovolta, mentre tutte le giovinette erano annegate. Cercammo di appurare la notizia, ma essa ara così vaga e contraddittoria, per cui dubitammo che fosse parto di fantasia e credemmo opportuno attendere prima di raccoglierla. Alle tre di notte il “Corriere della Sera” di Milano ci telefonava confermandoci la notizia che anch’esso aveva però in modo assai vago, e chiedeva al nostro redattore-capo sig. Pio Bertolasi di recarsi ad Arena Po e di assumere notizie precise, quale suo inviato speciale in posto. Il collega nostro ha mandato al “Corriere della Sera” questa narrazione che nella sua rapidità e vivezza di immagini, rende tutto il quadro spaventoso e complesso della tragedia che si è svolta nelle acque quiete del Po, davanti ad Arena.
Ad Arena Po lo strazio di una popolazione. Arrivo poco prima delle 5, la Stazione è deserta. Il paese è lontano dalla Stazione circa due chilometri. Lo si vede occhieggiare, in fondo tra il folto degli alberi verdi, fitti, che popolano questa pianura fertilissima. Appena fuori dalla Stazione al primo uomo che incontro, un cantoniere, domando: E’ vero che ieri ad Arena Po è avvenuta una grave sciagura? Purtroppo, mi risponde alzando le braccia in atto di disperata pietà, una sciagura come non si può immaginare l’eguale. Sono annegati nove bambini in un sol momento. Erano tutti dagli otto ai dieci anni. Una vera strage del Po. Il cantoniere si asciuga una lacrima sulla guancia rugosa e aggiunge: Piango anch’io due nipotini. Non c’è famiglia in paese che non sia in lutto. Ci affrettiamo verso Arena Po. Vi ci conduce un vialone ampissimo ombreggiato da due file di platani giganteschi, i quali concedono una frescura deliziosa, per quanto il sole già caldo dardeggi le cime degli alberi. Siamo in breve in paese. Si scorgono subito le tracce del dolore. Sono sugli usci delle casa gruppi di donne piangenti. I ragazzi sono muti. Gli uomini se ne vanno soli, melanconici, come in cerca di pace. Sembra che vogliano sfuggire i gruppi delle donne piangenti, per non essere presi dalle lacrime, che tante ne hanno sparse nella notte. Da parecchie case giunge eco di singhiozzi non repressi. Qualche mormorio di preghiera rompe lo strazio dei singhiozzi. Spingendo lo sguardo dentro le porte socchiuse si vedono piccole bare bianche circondate da gruppi di donne piangenti. Nell’ombra ardono dei ceri. Cerchiamo del Sindaco, non c’è. Ci è cortese di informazioni il messo comunale: anch’egli ha un dolore del tutto suo: tra gli annegati di ieri c’è un suo figliuolo. E’ un dolore indescrivibile, mi dice. Da ieri nel pomeriggio si vive qui una vita di angoscia che non si può descrivere. Tutta la popolazione è in lutto. Non c’è famiglia che non sia imparentata con qualcuno degli annegati.
Ad Arena Po lo strazio di una popolazione. Arrivo poco prima delle 5, la Stazione è deserta. Il paese è lontano dalla Stazione circa due chilometri. Lo si vede occhieggiare, in fondo tra il folto degli alberi verdi, fitti, che popolano questa pianura fertilissima. Appena fuori dalla Stazione al primo uomo che incontro, un cantoniere, domando: E’ vero che ieri ad Arena Po è avvenuta una grave sciagura? Purtroppo, mi risponde alzando le braccia in atto di disperata pietà, una sciagura come non si può immaginare l’eguale. Sono annegati nove bambini in un sol momento. Erano tutti dagli otto ai dieci anni. Una vera strage del Po. Il cantoniere si asciuga una lacrima sulla guancia rugosa e aggiunge: Piango anch’io due nipotini. Non c’è famiglia in paese che non sia in lutto. Ci affrettiamo verso Arena Po. Vi ci conduce un vialone ampissimo ombreggiato da due file di platani giganteschi, i quali concedono una frescura deliziosa, per quanto il sole già caldo dardeggi le cime degli alberi. Siamo in breve in paese. Si scorgono subito le tracce del dolore. Sono sugli usci delle casa gruppi di donne piangenti. I ragazzi sono muti. Gli uomini se ne vanno soli, melanconici, come in cerca di pace. Sembra che vogliano sfuggire i gruppi delle donne piangenti, per non essere presi dalle lacrime, che tante ne hanno sparse nella notte. Da parecchie case giunge eco di singhiozzi non repressi. Qualche mormorio di preghiera rompe lo strazio dei singhiozzi. Spingendo lo sguardo dentro le porte socchiuse si vedono piccole bare bianche circondate da gruppi di donne piangenti. Nell’ombra ardono dei ceri. Cerchiamo del Sindaco, non c’è. Ci è cortese di informazioni il messo comunale: anch’egli ha un dolore del tutto suo: tra gli annegati di ieri c’è un suo figliuolo. E’ un dolore indescrivibile, mi dice. Da ieri nel pomeriggio si vive qui una vita di angoscia che non si può descrivere. Tutta la popolazione è in lutto. Non c’è famiglia che non sia imparentata con qualcuno degli annegati.
la sciagura di arena Po – trittico di Pacifico Sidoli
Come si compì la Sciagura
Il Banco di Sabbia Fatale.Il messo ci conduce verso il punto del Po ove avvenne la sciagura. Attraversiamo rapidamente il paese, mentre le donne dolenti si affacciano alle porte e alle finestre asciugandosi le lacrime. Arena Po è un gruppo di case modeste ma linde. Si ingentilisce assai per la bella usanza che hanno tutte le famiglie di ornare le rozze finestre di grandi cespi di garofani e gerani che occhieggiano a grandi macchie rosse e candide rosee purpuree, sulle facciate nere contadinesche. Al punto del Po nel quale avvenne la sciagura si giunge costeggiando la sponda per circa duecento metri, partendo dalla piazza della Chiesa. Quivi si stacca dalla sponda un gran banco di sabbia che si spinge nel Po, assottigliandosi fino a finire in punta e che si prolunga nell’ampia massa delle acque, per oltre duecento metri. Sopra questo banco di sabbia si spinsero ieri, verso le 16, in comitiva gaia e spensierata dodici ragazzetti del paese. Andavano a bagnarsi, come è consuetudine di quasi tutti i ragazzi di Arena Po, in questi giorni estivi. Non pareva che dovesse esservi pericolo. La comitiva dei ragazzetti si spinse fino all’estrema punta del banco di sabbia. Essi folleggiavano, ridendo, gridando, rincorrendosi. Una giovinetta che si trovava poco discosto di lì, e che poi assistette alla sciagura, ricorda che prima: i ragazzi si indugiarono lungamente sulla sabbia infuocata dal sole, trastullandosi, gettandosi addosso delle manciate di sabbia e degli spruzzi d’acqua. E poi si tuffarono. Erano dodici. Solo nove si tuffarono in un sol momento. Gli altri tre, avendo indugiato qualche minuto, furono salvi. Perché i nove piccoli amici erano appena in acqua, quando furono presi dal vortice, e portati giù, e travolti, azzannati, avvinti immobilizzati nell’acqua. Gridarono, invocarono con tutto il loro spavento e la loro angoscia: ma invano. Alcuni tentarono di avvincersi, di salvarsi a vicenda, ma fu peggio. L’acqua infida li attanagliò fortemente. Non poteva più esservi scampo. Il Po aveva attirato le sue vittime e non le avrebbe più cedute. I tre piccoli amici, che la fatalità aveva tenuto a pochi passi dal vortice, assistevano terrorizzati alla fine spaventosa dei compagni, incapaci di muoversi, di gridare.
Signor Curato ci Salvi
Il piccolo nunzio di sventura. Vi fu uno degli infelice che annegavano, il quale gridò ad uno dei tre piccoli rimasti sulla sabbia: Dammi una mano, Madonna! Salvami! Salvami! Il piccolo amico non seppe muoversi, ma cominciò ad urlare. Ed urlarono allora anche i suoi compagni. La giovinetta, che stava bagnandosi poco lontano, li udì, si volse, vide, comprese a sua volta e si dette a urlare. Lontano, verso l’altra sponda, il curato di Arena guidava una barca. Uno degli infelici che sentiva la morte alla gola deve averlo visto, perché gridò prima che l’acqua lo travolgesse del tutto. Signor curato, signor curato, mi salvi! mi salvi! Aiuto, signor curato! Questi udì, si volse, intuì a sua volta la sciagura e spinse la barca, remando con tutta la forza che gli dava la disperazione del momento. Ma la distanza era troppo forte. Quando il curato giunse i ragazzetti avevano finito appena di volteggiare nelle acque. Il curato aveva veduto uscire dai gorghi alcune manine imploranti, due piccole teste sulle quali si erano avvinte le mani in atto disperato, poi più nulla. Il vortice si era chiuso e chiuso per sempre. I primi a trovarsi sul luogo tragico furono il prete e la giovinetta bagnante. I tre piccoli amici degli annegati erano scappati via dallo spavento. Il prete chiese quanti fossero gli annegati. Tre, rispose la giovinetta. No, purtroppo disse il curato, debbono essere di più. Io ne ho veduto almeno cinque. La giovinetta corse verso la parte più ampia del banco di sabbia, ove i ragazzi avevano deposto i loro abiti prima di tuffarsi. Trovò nove paia di calzoncini. Tanti dovevano essere gli annegati. E tanti erano. La notizia della sciagura giungeva poco dopo in paese. E la portava uno dei tre ragazzi superstiti. Esso giungeva trafelato ed ansante, esausto di forze. Giunto nella piazza si accasciava, quasi svenuto. Piangeva, singhiozzava, guardava con gli occhi sbarrati e fissi. Pareva inebetito o impazzito. Poi scoppiò in un pianto dirotto, quando molte donne gli si fecero incontro. E disse a stento: Sono annegati tutti, tutti! E balbettò alcuni nomi dei suoi compagni.
la Pazza Fuga Verso il Po
Lo strazio materno. Le donne che ascoltavano, più che comprendere intuirono. Fu un urlo, in un baleno tutta la popolazione seppe e, come mossa da una volontà unica, guardò il fiume, giunse sul banco di sabbia, lo invase, implorò, pianse, imprecò. Avvennero delle scene di strazio indicibile mentre le maestose acque del Po scorrevano tranquille, già dimentiche del loro delitto. Accorsero anche alcuni barcaiuoli. Tutti gli uomini, a capo dei quali era il sindaco sig. Domenico Pace, cominciarono il lavoro febbrile per la ricerca dei cadaveri. Il Po li rese senza chiedere molti sforzi agli uomini, compivano l’opera pietosa. Il medico, accorso immediatamente, tentò di ridare vita a quei corpicini inanimati. Ma s’accorse subito che il tentativo era inutile. Dopo un’ora sette dei piccoli corpi erano stesi sulla sabbia. Due ore dopo furono trovati anche gli altri due. Le madri se li portavano via stringendoseli al petto, gridando tutto il loro dolore, invano trattenute dagli uomini. Esse diedero il primo sfogo alla loro angoscia là, in mezzo al Po, sotto al sole dardeggiante; o solo quando furono stanche di dar baci e lacrime sui piccoli morti, poterono essere condotte via. Cominciava intanto ad imbrunire. Il parroco benedisse le salme, che erano state allineate nel mezzo del banco di sabbia; poi furono deposte in un gran barcone e trasportate a riva. Qui ognuna delle famiglie colpite dalla sventura prese il suo morticino e se lo portò a casa. Nove cortei di donne e di uomini o di bimbi piangenti attraversarono il paese. Il tramonto di ieri ad Arena Po, uno di quei tramonti padani, placidi, calmi, caldi di luci e di colori sull’orizzonte calmissimo, vide uno spettacolo di strazio che nessuna penna saprebbe raccontare in tutta la sua profonda intensità.
in ricordo della tragedia 1911 foto O. Meraldi
il Triste Elenco
Un pellegrinaggio ancora più triste. Ecco i nomi dei morti: Delfitto Antonio, di anni 9, figlio del messo comunale Ambrogio; Zannini Giuseppe, di anni 10, di Vincenzo, muratore; Riccardi Benigno, di 9 anni, di Roberto, calzolaio; Razzini Guido, di anni 10 e Razzini Dante di anni 7, figli del cavallante Antonio; Finardi Felice, di anni 8, di Giuseppe, contadino; Pollini Carlo, di anni 9, di Cesare, zoccolaio; Solari Carlo, di anni 9, fu Massimo; Cassinelli Giuseppe, di anni 9, di Luigi, bifolco. I tre Bimbi superstiti sono; Felisani Angelo, di anni 10; Bironi Giuseppe, di anni 12; Brega Luigi, di anni 11. Dei nove piccoli cadaveri, tre furono portati nella camera mortuaria di dell’Ospedale, gli altri nelle loro case. Non voglio lasciare Arena Po senza portare il mio mesto saluto a queste piccole vittime del nostro grande fiume. Il morticino Antonio Delfitto giace in una camera a pianterreno della casa del Municipio, essendo suo padre il messo comunale. E’ steso sopra un lettuccio tutto bianco. Mentre giungo per visitarlo, sua nonna prende la misura del cadaverino per provvedere alla cassa. Lo fa in silenzio, trattenendo le lacrime e il respiro, quasi temesse di ridestare il bimbo, il quale pare che veramente dorma. La madre e tutti i parenti sono intorno e piangono silenziosamente. Appena fuori, a due passi dal Municipio, sento le grida disperate di una donna: è la madre del piccolo Zannini Giuseppe. Il morticino giace sopra una tavola, che hanno ricoperto di veli. Anche il cadavere è avvolto in un velo. Alcuni pietosi l’hanno ricoperto di una pioggia di fiordalisi tolti ai campi. La povera mamma è come impazzita, grida, impreca, smania. Hanno provata a toglierla dal morticino ma fu peggio. Quando la sua disperazione le dà tregua, allora la donna parla col suo figliolo come se fosse vivo e palpitante davanti a lei e gli rivolge le espressioni più gentili e toccanti. I genitori del piccolo Felice Finardi hanno messo il morticini nell’ampio letto nuziale e lo hanno coperto di fiori. La madre è accasciata presso il letto e piange silenziosamente, nascondendo il volto nelle coltri. Il padre è in fondo alla camera, in un angolo buio. Quasi non lo si vede, ma lo si sente che piange. Intorno alla piccola salma del bimbo Carlo Pollini si è raccolta tutta la famiglia, dai vecchi nonni ottuagenari ai più piccini. La madre è accasciata e muta e tiene fra le sue mani le mani del morticino. La madre di Carlo Solari ha avvolto il suo morticino nel velo che servì per portare la sua creatura al battesimo. Ora il velo del fonte battesimale è mutato in drappo funebre. I due fratelli Zannini ed il Cassinelli furono portati nella camera mortuaria dell’Ospedale. Ci accompagnano a visitare queste piccole salme, che la povertà delle loro case non potè accogliere, i padri dei due bimbi infelici. Essi si gettano sui morticini piangendo a dirotto. Sono due uomini rozzi, che le fatiche ed il dolore devono conoscere da lungo tempo; ma questa nuova sciagura li annienta. I loro singhiozzi lacera l’anima. Con dolce violenza le suore dell’Ospedale li traggono lontani, confortandoli. I due fratelli Zannini sono deposti in un solo piccolo letto di legno: sono così vicino che sembra si abbraccino. Il loro padre restò vedovo qualche mese fa. Da un mese gli è morto un altro bambino, l’ultimo nato. Non si può tentare di confortarlo, è troppo acerbo il suo dolore. A volte implora, a volte impreca e poi piange benchè il suo ciglio sia già così arso da far pena a vederlo.
l’Ultimo Tributo
Le nove salme sepolte insieme.Oggi si faranno i funerali delle nove povere vittime. Alle spese penserà il comune. Tutta la popolazione interverrà dai paesi vicini e anche dai lontani, giungerà una falange di altra gente pietosa. Saranno funerali di grande semplicità. In questo momento gli artieri del paese stanno picchiando e piallando per formare le nove casse. Le donne e le giovinette sono uscite per i campi alla raccolta dei fiori agresti che avvolgeranno le bare. I giovani del paese porteranno i morticini sulle braccia, dalle case alla chiesa, e dalla chiesa al cimitero. I nove piccoli morti saranno sepolti tutti appresso, come in una sola fossa, sulla quale poi sorgerà un ricordo, che la pietà di questa popolazione buona vorrà erigere, anche a sollievo del proprio dolore.
i Funerali Commoventi
Un corteo d’oltre tremila persone. Il nostro corrispondente da Arena Po ci manda in data 5 sera: alle ore 18,30 le nove bare vennero portate all’Asilo Infantile. Sin dalle ore 17 numeroso popolo attendeva sul piazzale del Municipio. Per i funerali e le corone, provvide a sue spese il Comune. Alle ore 19, usciti tutti i feretri dallo Asilo Infantile, il corteo mosse verso la chiesa. Delle rappresentanze notai le seguenti: Circolo Socialista di Arena Po, con corona; Rappresentanti dei Comuni di Stradella, Pontalbera, Bosnasco, Ripaldina; Asilo Infantile con numerosa schiera di bambini e bambine, con bandiera; Società Operaia di Arena Po con bandiera e Corona; Rappresentanza della Pia Unione Figlie del Sacro Cuore di Gesù con stendardo. Seguivano le corone di fiori freschi. Parecchi volenterosi suonatori di Arena Po suonarono parecchie marcie funebri. Tutte le botteghe del paese erano chiuse in segno di lutto. Al cimitero parlarono il Prevosto Don Schiavi e il maestro Bartotti. Le nove bare vennero poste una accanto all’altra, in una medesima fossa, a mano sinistra di chi entra nel cimitero. Si calcola che tremila persone di tutto il paese e del contado siano intervenute ai funerali. Il Sindaco D. Pace pubblicò un toccante manifesto alla popolazione. Eccolo: ”Nove ragazzi scesi a refrigerarsi nelle acque del Po vi perirono miseramente. Nove famiglie furono ad un tratto gettate nella più profonda desolazione. Mai sciagura più grande ci colpì. Il paese è in lutto. Uniamoci nel dolore e la nostra solenne dimostrazione sia di conforto alle esasperate famiglie e monito salutare alla gioventù”. La manifestazione di lutto è finita a sera. Ora il paese echeggia ancora tutto del pianto delle madri dolenti.. (redattore Pio Bertolasi per Libertà agosto 1911).
anse e sabbioni del Po