penna

un Concerto di Mozart

di Giorgio Vecchi

Mi trovavo in terra di Spagna grazie a una borsa di studio per giovani docenti generosamente concessa dal Ministerio de Educación spagnolo. Ero partito ai primi di ottobre del 1975 diretto a Salamanca. Solo da quell'anno avevo ottenuto un incarico presso la Facoltà di Economia dell'Ateneo pavese e quel soggiorno di oltre un mese presso il prestigioso ateneo salmantino giungeva a proposito per la preparazione in vista dell'inizio dei corsi. Al burbero Preside della mia futura facoltà avevo chiesto ed ottenuto di poter iniziare con qualche giorno di ritardo il corso per poter usufruire della borsa in questione. C'era però un altro problema da risolvere. La situazione politica nella Spagna del tardo franchismo non era per niente tranquillizzante. Il regime traballava e induriva la repressione sollevando un'ondata di proteste internazionali. In Italia, in particolare a Roma, si erano avuti gli episodi più gravi. Due autobus utilizzati da turisti spagnoli erano stati dati alle fiamme da giovani manifestanti di estrema sinistra. Decisi di rimandare di qualche giorno la partenza per vedere come si mettevano le cose. Avevo infatti deciso di andare in Spagna con la mia vecchia Fulvia per poter visitare in tutta libertà i dintorni di Salamanca e magari qualche altra città vicina. Temevo dunque rappresaglie contro gli italiani, magari se la sarebbero presa anche con la mia auto, pensavo. Ma passarono alcuni giorni senza che si verificassero altre violenze. Così una fresca mattina dei primi d'ottobre partii da Piacenza.

Ero già stato in Spagna quella stessa estate e conoscevo bene il percorso. La prima tappa del viaggio si svolse senza inconvenienti, l'attraversamento della Francia meridionale fu abbastanza rapido poiché già allora il tragitto si svolgeva quasi tutto su autostrada. Le carovane di turisti che intasavano le strade qualche mese prima ora non cerano, il tempo era discreto ed io mi sentivo in forma perfetta. Entrato in Catalogna che non era ancora mezzogiorno non mi fermai a Figueras come avevo fatto in altre occasioni: ormai conoscevo a memoria la Casa-Museo di Dalí, la meta era lontana e pur sapendo che non sarei riuscito ad arrivare a Salamanca in giornata pensai mi convenisse continuare il viaggio avvicinandomi alla città salmantina quanto più potevo. Per cui presi la direzione di Barcellona, aggirai la Ciudad Condal senza fermarmi e allo svincolo di Sabadell mi diressi verso Saragozza ove giunsi nel tardo pomeriggio. Questa volta non entrai nella imponente cattedrale per accendere un cero alla Vergine del Pilar come avevo fatto nel luglio precedente e c'era un perché. Allora, uscito di chiesa, dopo poche centinaia di metri ero rimasto senza freni con i disagi che potete immaginare, per scaramanzia evitai dunque la visita e l'omaggio alla Vergine. Oggi mi dico che ebbi un notevole coraggio a ritornare in Spagna con il mio catorcio dopo le disavventure estive ma allora ero giovane e poco previdente, un pò fatalista e non incline ad usare mezzi pubblici per viaggiare. Dell'aereo poi avevo -e ho- un sacro terrore e lo prendo solo se non posso farne a meno. Superai dunque Saragozza puntando su Madrid che dista circa 300 chilometri. Non mi sentivo stanco sebbene avessi percorso più di 1300 chilometri fermandomi soltanto per consumare un breve spuntino in un motel. Il bello in Spagna è che uno può viaggiare senza problemi per i pasti, a qualsiasi ora potrà incontrare un ristorante, un mesón o un bar dove fermarsi a mangiare un boccone. A quel punto però cominciavo ad aver fame per davvero, erano quasi le nove di sera e mi dissi che a quell'ora molti spagnoli si accingevano a mettersi a tavola per cui avrei potuto cominciare a cercarmi un luogo ove cenare e magari dormire. Ma la mia vecchia auto sembrava non volerne sapere di fermarsi e mi ritrovai così a Madrid presso la Porta di Alcalà in un'ora quasi di punta, con un traffico che oggi farebbe sorridere ma che per l'epoca poteva definirsi forsennato. Non ho mai avuto il senso dell'orientamento e invidio quelli che sanno sempre dove andare. Mentre percorrevo l'ampia Castellana, inondata di luci pubblicitarie e di luccicanti autovetture mi chiedevo preoccupato se avrei mai trovato la direzione per Salamanca e disperavo di riuscirci in quella bolgia. Durante una breve sosta a un semaforo sbirciando la carta stradale vidi che il percorso era lo stesso che per l'Escoriale. Infatti vidi ben presto dei cartelli che l'indicavano e cominciai a seguirli speranzoso. Mi ritrovai più oltre, con mio grande sollievo, alla periferia della città in una specie di autostrada in costruzione che portava a Segovia. Temetti di aver sbagliato strada poi vidi indicata anche la mia meta e mi tranquillizzai. Percorsi ancora circa un'ottantina di chilometri superando San Lorenzo dell'Escoriale e il cosiddetto Valle de los Caídos, ove c’è il grande mausoleo che Franco fece edificare dai prigionieri repubblicani e dove riposano le salme dei caduti della Guerra Civile.


Avevo pensato di guidare fino ad Avila, che desideravo visitare la mattina seguente, ma mi accorsi che ormai ero a pezzi e rischiavo di addormentarmi al volante. Decisi dunque di far sosta: lì il tratto autostradale finiva e il percorso si biforcava a nord verso Segovia e a sud verso Avila e Salamanca Cera una cittadina, Villacastín, che attraversai fermandomi poi davanti a un hotel di 3 stelle che era il massimo che mi permetteva il mio badget. Era un dignitoso vecchio albergo che aveva conosciuto tempi migliori, ma era pulito, la camera era spaziosa e il bagno decente. Inoltre disponeva di una grande sala ristorante e di una hall accogliente con un bel pianoforte a mezza coda che troneggiava in un angolo. Era piuttosto tardi ma la sala era ancora affollata di persone; mi stupii del fatto e chiesi allo smilzo portiere se c'era sempre tanto movimento. Seppi da lui che quel pomeriggio c'era stato un matrimonio e quelli erano gli invitati ancora impegnati a banchettare mentre i novelli sposi se ne erano già partiti da un bel pò. Presi posto in un angolo e cenai in fretta poiché quella baraonda dopo il lungo viaggio mi era poco gradita anche se di solito l'allegria a tavola è un buon viatico per l'appetito. Io però quella sera più che gustare i saporiti piatti della cucina spagnola -avevo ordinato una sopa de pescado e un altro piatto di pesce- desideravo mettermi al più presto in camera e farmi una buona dormita. Dopo un pessimo espresso -nella norma a quel tempo in Spagna- mi alzai dirigendomi verso la portineria per ritirare la chiave della mia stanza. Passando di lato alla hall udii filtrare dalla porta chiusa le note del pianoforte, qualcuno evidentemente si cimentava con lo strumento. Un attimo dopo invece pensai di essermi sbagliato. Doveva trattarsi della radio o della televisione che trasmettevano un programma musicale poiché l'esecuzione che udivo, pur attutita, non poteva certo essere opera di un pianista dilettante. Incuriosito entrai nel locale per verificare se la mia ipotesi era vera. La luce era scarsa poiché se è vero che i tavolini avevano tutti un'elegante abatjour solo un paio di esse erano accese e nel fondo una lampada alogena illuminava debolmente lo spazio riservato al piano. Mi ero ingannato, qualcuno suonava davvero, anzi con mio sommo diletto qualcuno stava eseguendo il concerto K.491 di Mozart, il mio preferito, con una scioltezza e un'eleganza da restare sbalorditi. Ma la mia meraviglia giunse al culmine quando mi accorsi che l'esecutrice era una giovane donna dai lunghi capelli bruni. Suonava assorta senza che nessuno l'ascoltasse ed io rimasi un attimo indeciso, quasi timoroso di rompere l'incanto di quell'esecuzione meravigliosa. D'altra parte mi dissi l'albergo era un luogo pubblico ed io ero perfettamente autorizzato ad entrare e ad assistere a quella straordinaria performance. Mi misi dunque nell'angolo più buio e più lontano dallo strumento cercando di non far notare la mia presenza che mi sembrava nonostante tutto una sorta di profanazione. La ragazza suonava con agilità e scioltezza le note finali dell’Allegro iniziale e la cosa strana era che sebbene non vi fosse l'orchestra ad accompagnarla il brano pareva non risentirne, la bellezza tragica e dimessa della pagina risultava pienamente messa in risalto. La cadenza finale del movimento mi confermò il giudizio lusinghiero sulle qualità dell'artista, la quale attaccò poi, quasi senza interrompersi, l'Allegretto del secondo movimento, una sublime melodia, di quelle che ti fanno salire un groppo in gola e la cui virginale purezza è un segreto che solo Mozart possedeva. La ragazza suonava con la leggerezza che solo può procedere da una tecnica davvero magistrale e da una giornaliera frequentazione dello strumento ma c'era qualcosa in più che colpiva in lei, potrei chiamarlo banalmente talento o superiore forza espressiva. Non saprei dire ma è certo che nonostante avessi ascoltato decine di volte il movimento e conoscessi bene l'intero concerto mai avevo udito una simile esecuzione che definire angelica è dire poco o nulla. Eccomi qui, mi dicevo, a mille miglia da casa, una sera d'ottobre in un albergo sconosciuto di una piccola cittadina di Castiglia ad ascoltare il mio concerto mozartiano prediletto. Il destino a volte gioca scherzi davvero bizzarri e ti mette d'improvviso davanti a un prodigio incomparabile. Così pensavo ma intanto non perdevo una nota della sconosciuta conscio di assistere a qualcosa che forse non avrei mai più riudito in vita mia.

Poi, come sempre accade, l'incanto si ruppe e a spezzarlo fu un giovane cameriere che aprì improvvisamente la porta della hall e mi si rivolse annunciandomi che la telefonata che attendevo era finalmente disponibile. Prima di mettermi a cenare avevo pensato di chiamare i miei per rassicurarli che ero quasi giunto a destinazione. Allora, un'epoca ancora lontanissima dalla teleselezione e dai cellulari, non c'era collegamento diretto con l'estero. Occorreva prenotare le chiamate e attendere almeno mezz'ora, ma spesso molto di più, per avere la comunicazione. Quel bravo giovane non stava facendo che il suo dovere ma io lo fulminai con lo sguardo poiché la ragazza aveva interrotto la sua mirabile esecuzione ed ora mi guardava con un'ombra di fastidio e di apprensione nello sguardo. Vidi che era molto giovane e bellissima, il che accrebbe la mia attrazione per lei. "Voy enseguida", bisbigliai rivolto al cameriere poi mi alzai applaudendo con grande energia la bella sconosciuta. Purtroppo la mia timidezza non mi aiuta in frangenti come questi ed io continuai ad applaudire non sapendo che altro fare; poi prima di uscire balbettai "Brava, brava!" e mi eclissai in fretta davanti all'artista che ora mi sorrideva grata dell'omaggio. Ancora parzialmente in trance per le note mozartiane, mi rivolsi al portiere pregandolo di passarmi la comunicazione in camera mia e dopo un'ulteriore breve attesa e un paio di tentativi andati a vuoto potei finalmente parlare con mia madre che naturalmente era in ansia e andava rassicurata. La telefonata durò parecchi minuti poiché anche mio padre volle intervenire per dirmi che se mi occorrevano soldi mi avrebbe mandato un vaglia. Rassicurai anche lui che non avevo bisogno di nulla, almeno per il momento, e che mi sarei senz'altro rifatto vivo una volta sistemato a Salamanca. Fui molto sintetico e sbrigativo all'apparecchio poiché mentre parlavo con i miei il mio pensiero andava continuamente alla pianista giù nella hall che desideravo ad ogni costo incontrare. Poco dopo ero di nuovo là fermamente intenzionato a riascoltare la bella sconosciuta e a cercare di saper qualcosa da lei. Immaginavo fosse una concertista di passaggio a Villacastìn che visto lo strumento, un ottimo Pleyel del primo novecento, come avevo avuto modo di osservare, aveva pensato bene di esercitarsi in vista di qualche concerto da tenere a Madrid o in altre vicine località. Entrai trepidante nella hall ma non cera nessuno, sul piano giaceva uno spartito ma dopo avervi dato una scorsa vidi che si riferiva a una canzoncina per bambini. D'altra parte avevo ben notato che la giovane suonava a memoria. Leggermente inquieto tornai verso la portineria ove constatai che lo smilzo con cui avevo parlato in precedenza non era più al suo posto. Mi rivolsi al nuovo portiere chiedendogli della persona che poco prima suonava in sala. Costui mi disse che aveva appena rilevato il collega e che non sapeva nulla. Cercai allora il giovane cameriere che scorsi al banco del bar. Da lui seppi però ben poco. Mi disse che la señorita che cercavo non alloggiava in hôtel forse, mi suggerì, era venuta al banchetto matrimoniale, qualcuno c'era ancora nella sala ristorante, potevo chiedere là.

Ormai in preda a un'ansia crescente mi rivolsi alla prima persona che vidi entrando, un signore corpulento che mi ascoltò perplesso, immagino a posteriori che dovessi sembrargli poco meno che un invasato mentre gli chiedevo con accenti striduli notizie della ragazza. Mi disse che non conosceva quasi nessuno degli invitati essendo un lontano parente che abitava a Barcellona ma forse la signora anziana che sedeva più in là con la figlia doveva saperne qualcosa. Lo ringraziai in fretta e mi diressi verso le due donne che attendevano evidentemente qualcuno che venisse a prelevarle. Da loro seppi che la giovane pianista era una cugina della sposa, che abitava a Madrid e che studiava musica al Conservatorio. Purtroppo se ne era andata poco prima mentre io me ne stavo al telefono. Dovetti palesare alla notizia tutta la mia delusione poiché l'anziana signora mi disse che se le davo il mio indirizzo avrebbe fatto in modo di farlo avere a Soledad, questo era il nome della ragazza. Io non mi feci pregare, naturalmente fui costretto a darle il mio indirizzo italiano non sapendo dove avrei alloggiato a Salamanca. Ringraziandola le spiegai che sarei rientrato in Italia per la metà di novembre e che speravo vivamente che Soledad mi scrivesse o si mettesse in contatto con me. La signora mi sorrideva maliziosamente ed io allora mi inventai che ero un esperto musicologo e che avendola udita suonare desideravo chiederle dei particolari sulla sua interpretazione. Non credo che l'abbia bevuta poiché si affrettò a spiegarmi che la ragazza era fidanzata e in procinto di sposarsi. Del resto pensasse quel che voleva, come avrei potuto spiegarle che poco prima ero stato testimone di un evento musicale a dir poco prodigioso? Ancora adesso mi chiedo, a tanti anni di distanza, se davvero quella giovane donna suonasse poi così divinamente come a me era parso. Forse il momento particolare, l'eccitazione per il viaggio, il soggiorno che mi si prospettava avevano congiurato per creare in me una singolare ricettività all'ascolto, una disposizione dell'animo favorevole e unica. Non so, l’importante è che quella sera io abbia vissuto un momento privilegiato grazie a una sconosciuta di cui purtroppo non seppi mai nulla. Evidentemente Soledad non aveva ritenuto opportuno mettersi in contatto con me o forse, come ancora mi piace credere, la ciarliera e disponibile signora non le diede mai il mio indirizzo. Certo ogni volta che risento quel concerto di Mozart non posso fare a meno di ripensare a Soledad. Chissà se poi divenne un'interprete famosa. Ho cercato spesso il suo nome nei cataloghi iberici e nelle riviste specializzate ma non ho mai trovato alcun riscontro.


Qualche anno fa al teatro Verdi di Castel San Giovanni venne a suonare una pianista spagnola che aveva il suo stesso nome. Decisi di andare al concerto nella speranza che fosse proprio lei, per età poteva ben esserlo. Quando apparve sul palcoscenico constatai con sollievo che si trattava di un'altra persona. Compresi allora che in realtà non desideravo affatto incontrarla. Vedere come il tempo avesse mutato e devastato quel magnifico volto mi sarebbe sembrato una profanazione, un oltraggio insopportabile. Per me lei è ancora là, in quella hall anonima e in penombra a suonare il bel concerto mozartiano con i suoi ventanni scarsi e il suo grande talento. E là resterà per sempre.
(Al solit profesur).