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Armida - Piccole Storie Dimenticate

“ARMIDA”
“Racconto di Piero Zucconi”

Le piccole storie qui raccontate sono basate su fatti realmente accaduti che
riguardano alcuni miei antenati: Luigi e Ferdinando Zucconi, Giustina Borselli
e sua figlia Teresa Pecorini, mia nonna. Le storie sono tutte ambientate nel
paese di Campremoldo Sotto che ha fatto da fondo storico e sociale alla
mia ricerca. Alcuni personaggi sono realmente esistiti, altri sono inventati,
ma tutte queste persone hanno preso corpo nella narrazione degli
avvenimenti che ho cercato di ricostruire ed ora vivono nel mio cuore.
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Armida era una donna di 31 anni, che viveva a Vallarsa. Aveva un piccolo allevamento di oche e di tacchini e viveva di quello, dopo che il marito l'aveva lasciata. Lei questo fatto non l'aveva mai ammesso e diceva che suo marito era andato via di casa solo temporaneamente per curare i suoi affari. Diceva che presto sarebbe ritornato ed insultava le male lingue che mettevano in giro certe dicerie. Suo marito faceva il commerciante d'olio che andava prendere in Liguria e rivendeva nei paesi vicini. Forse in uno di quei viaggi poteva essere incappato in qualche brutta faccenda o comunque la complicazione di qualche suo affare poteva aver causato il ritardo del suo ritorno. Non era affatto vero che l'aveva lasciata perché non la sopportava più, né che avesse incontrato un'altra donna e che adesso stesse con lei. La sua assenza si protraeva ormai da sei mesi, ma questo non voleva dire niente. Poteva anche essere morto e questa eventualità era ostentata da Armida di fronte a tutti quelli che le ponevano domande. C'era anche chi diceva che lui si era arruolato nella Legione Straniera spagnola. Lei era una donna forte, dura e taccagna. Si diceva in paese che le bastasse un cucchiaio di olio per preparare la minestra. Aveva un viso duro ma piacevole, i capelli lunghi e neri incorniciavano un viso dagli occhi di fuoco e dal naso volitivo. Quando i Polacchi erano arrivati a fare il loro accampamento a Campremoldo, Armida era stata vista chiacchierare con uno di loro vicino al sentiero che portava alla sua casa. Questo fatto lo riferiva Maretti, il sacrestano, che passava di lì mentre stava andando a raccogliere dell'erba per i conigli del parroco. Ma Maretti non poteva dirsi affidabile, tutti lo consideravano poco sveglio e poteva essersi sbagliato. Il fatto sarebbe avvenuto la domenica mattina, molto presto e nessuno poteva dimostrarne la credibilità. Cosa ci avrebbe fatto un militare polacco in quel posto a quell'ora? E poi, di cosa avrebbero potuto parlare i due quando lei parlava soltanto in dialetto e non conosceva certamente la lingua dell'altro? Era successo che un cavalleggero polacco, mentre si dirigeva al proprio accampamento, si era visto attraversare la strada da una delle oche di Armida. L'oca era stata presa sotto gli zoccoli del cavallo e calpestata. Il suo starnazzare aveva richiamato l'attenzione della donna che era uscita furente di casa ed aveva inveito contro il cavalleggero. Costui si era fermato, era sceso da cavallo e con espressione divertita aveva cercato di convincere la donna che si era trattato di un incidente. Ma Armida non aveva voluto sentire ragioni e, visto l'atteggiamento noncurante dell'uomo si era arrabbiata ancora di più. A lei non importava che l'intero esercito polacco stesse passando con grande frastuono davanti a casa sua. A lei importava soltanto della sua oca che in quel momento giaceva a terra schiacciata e moribonda. D'impeto, si avventò contro il cavalleggero che si mise a parare i colpi che gli venivano inferti e, per impedire che quella furia continuasse, l'abbracciò tenendola ferma. Quel gesto fece fermare di colpo l'agitazione di Armida che, stretta da quelle braccia vigorose, si bloccò e guardò negli occhi, di sotto in su, quell'uomo. Il cavalleggero si chiamava Piotr, portava con eleganza la sua bella uniforme verde con gli alamari, aveva una faccia da bambino ed una leggera barbetta bionda sparsa sulle guance rossicce. I suoi occhi azzurri guardarono Armida con curiosità trovando piacevole trovarsela così ansimante tra le braccia. Lei si divincolò, raccolse la sua oca e lanciandogli un'occhiata di traverso, tornò in cortile. Quella stessa sera, Piotr, dopo che nell'accampamento era suonata la ritirata, uscì furtivamente dalla sua tenda e a passi silenziosi si avventurò nel buio seguendo la traccia chiara della strada che portava alla casa di Armida. Giunto davanti alla porta, bussò piano. La porta si aprì, ed alla luce del lume che brillava all'interno apparve una figura di donna. Non si dissero niente, ma Piotr entrò e la porta si chiuse. Quando il lunedì mattina i Polacchi tolsero il campo per andare ad affrontare il nemico, il sottotenente Piotr Palowski non era ancora rientrato al suo reparto. Durante tutta la domenica non si era fatto vedere, ma ora che il battaglione si metteva in marcia la sua assenza risultava grave perché poteva essere considerata diserzione e le punizioni per i disertori erano molto severe. Passò la domenica e passò anche il lunedì. Piotr per tutto quel tempo rimase nascosto in casa di Armida. Armida aveva trovato un punto fermo. Quell'uomo venuto da lontano e che ora era lì con lei, quell'uomo di cui non conosceva bene nemmeno il nome, ma di cui sentiva di conoscere l'animo, costituiva per lei l'avvenire. Suo marito, quell'inetto, per lei non esisteva più. Avvertiva la sensazione scomoda che avrebbe potuto ancora avere a che fare con lui, ma era stato lui ad andarsene e lei non voleva più rivederlo. Lei si era sempre sacrificata, aveva fatto di tutto per trattenerlo dai suoi improponibili progetti, ma ora, visto come erano andate le cose, non voleva più saperne niente. Per lei, più che un marito era sempre stato un estraneo, sempre in viaggio, sempre alle prese con affari di cui lei non sapeva niente, sempre indifferente. Non c'era più niente fra di loro. Avessero almeno avuto un figlio!, ma non era accaduto nemmeno quello. Ora capiva che era stata presa in giro per tutto il tempo e alla fine lui se ne era andato con una scusa e non aveva più fatto ritorno. Da quel giorno Armida aveva sofferto solo per quanto riguardava la sua condizione di fronte a tutti coloro che li conoscevano ed ai parenti, ma di quello, ormai, chi se ne importava? Meglio così. Ora si sentiva libera di vivere la propria vita. Il nuovo amore che stava vivendo le riempiva il cuore e benediceva tutto quello che era avvenuto. Questo giovane uomo, questo straniero, tenero e appassionato, rappresentava il compimento di tutti i desideri che aveva avuto durante quella sua vita di affanni e di malinconie. Un uomo di cui non sapeva niente e del quale aveva imparato soltanto a pronunciare il nome: Piotr. Pietro. Per lei tutto, di lui andava bene. Il suo viso ingenuo e le sue timide carezze costituivano una dimensione fantastica ai suoi sogni. Ma in seguito, Armida cosa avrebbe fatto? Lei aveva già pensato a tutto per quanto riguardava il suo futuro. L'importante era che Piotr non fosse stato rintracciato presso di lei dal Comando Militare. Se fosse accaduto, sarebbe stato un disastro perché quello che lei considerava ormai il suo uomo poteva essere arrestato e portato via in catene a causa della diserzione. Ma c'era una guerra in corso ed i suoi eventi avevano ben altra priorità. L'attenzione che si poteva prestare alla scomparsa di un singolo componente del battaglione passava in sottordine. Il 19 giugno 1799 le truppe Francesi di Montrichard, avevano il compito di contrattaccare l'avanzata delle forze della coalizione ed aprirsi la strada su Campremoldo Sotto. All'una del pomeriggio, i Francesi avevano passato il fiume Trebbia sotto un forte cannoneggiamento, ma furono arrestate. Montrichard cadde in forte abulia dando così il tempo al principe Giovanni di Liechtenstein di caricare con la cavalleria pesante i dragoni di Lobkowitz. Le truppe francesi non opposero resistenza e fuggirono. In questo parapiglia Montrichard, volendo arrestare i suoi uomini, fu da essi ferito. I russi, al comando del granduca Costantino, continuarono l'avanzata attestandosi nei pressi di tre case coloniche nella piana di Gazzola. Il generale richiamò due battaglioni di riserva e fece intervenire forze considerevoli: da Casaliggio due battaglioni freschi del corpo di Schweichowsky, tre battaglioni di Forster e i dragoni di Levenher. Dopo che i Polacchi si erano ritirati da Agazzino, avevano attraversato il Trebbia tagliandolo diagonalmente in direzione di Rivalta e si erano scontrati in battaglia con i Russi, animati da un odio senza limite verso quelli che occupavano il loro paese. Il loro comandante, il colonnello Dombrowski, galoppava in mezzo a loro e li incitava: “Polacchi non risparmiate gli oppressori della vostra patria!”, mentre i Russi li chiamavano "Schiavi di Varsavia", gridando "Praga, Praga", per ricordare il quartiere della loro capitale ove era stata soffocata col sangue una rivolta. I Polacchi avevano combattuto con accanimento, ma le forze superiori dei nemici li avevano costretti a ritirarsi ed a subire gravi perdite. Dopo lo scontro finale che avvenne sul ponte sul Nure a San Giorgio, il battaglione Polacco venne annientato. Dei 3.555 del 17 giugno, furono ridotti a 800! La grande battaglia della Trebbia comportò la morte di ben 16.000 uomini, divisi tra entrambe le parti in lotta, senza contare i feriti ed i dispersi. In quei frangenti, di tanti soldati non si sarebbe più conosciuta la sorte, per cui non c'era nulla da temere per Piotr. Armida pensava che quando la guerra sarebbe finita e le cose si fossero normalizzate, agli occhi della gente del paese avrebbe fatto passare Piotr come un cugino di suo marito che era venuto ad aiutarla nei lavori dell' allevamento. Lui avrebbe imparato a parlare l'italiano e si sarebbe inserito nella realtà del paese. Poi, più tardi ancora, magari avrebbe lasciato passare un intero anno, sarebbe andata a parlare con Don Baccini dichiarandogli di aver appreso la notizia che suo marito era morto e che pertanto lei voleva sposarsi con Piotr. Tutto questo nella sua mente era già deciso e scritto con precisione perché nessuno sapeva prevedere le cose come lei era capace di fare. Il 23 giugno era passata una settimana esatta da quando Piotr si era nascosto in casa di Armida. Era stata una settimana lunga, pareva fosse trascorso un mese da quando il suo cavallo aveva calpestato l'oca di proprietà di Armida e la sera stessa era andato da lei. Ma il suo animo adesso era triste e malinconico perché pensava ai suoi compagni ed alla loro sorte. Di loro non aveva più avuto notizie. Dove era andato il suo battaglione? Cosa stavano facendo i suoi compagni? Perché lui non era là con loro? Ed in lui incominciava ad insinuarsi, tremendo, il rimorso. Rimorso per aver lasciato il suo cavallo ed i suoi commilitoni, evitando così vilmente di entrare in battaglia con loro. Adesso, durante quelle lunghe ore d'ozio forzato, capiva che il suo comportamento era stato sbagliato e niente avrebbe potuto giustificarlo. Sarebbe stato meglio andare a morire con i suoi compagni, piuttosto che disertare il giuramento che aveva fatto alla sua bandiera. Adesso non capiva perché l'avesse fatto, come se ciò che era successo fosse capitato ad un altro. Gli pareva che quella donna, più che amarlo, lo tenesse prigioniero dopo che lui aveva ceduto al suo fascino possessivo. Ma forse non era troppo tardi. Decise che avrebbe lasciato Armida e quella casa, e che si sarebbe messo a cercare il suo battaglione per rientrare nei ranghi dove riteneva fosse il suo posto. Avrebbe fatto questo mettendo a disposizione del suo piano tutte le sue forze perché quello che gli mancava in quel momento era la sua patria e sentiva che ormai doveva assumersi le sue responsabilità, qualsiasi fosse stato l'esito del suo nuovo volere. Quando Armida tornò a casa dopo essere stata in paese a fare qualche sua spesa, Piotr le disse delle sue intenzioni e di quello che avrebbe fatto. Armida lo stette a sentire in silenzio senza capire una parola di quello che lui le stava dicendo, ma dal suo tono di voce, dal fatto che si fosse rivestito della sua divisa e dall'espressione del suo volto capì che lui la stava lasciando. Di quella storia in paese non se ne seppe mai niente, né si seppe che fine aveva fatto quell'uomo. Si sa che in certe comunità ristrette, come poteva essere un paese di campagna come Campremoldo, certi fatti possono in un primo momento passare inosservati, ma poi affiorano alla conoscenza generale con la consistenza delle leggende. Volano per l'aria che gira fra quelle case con diverse versioni e finiscono con conclusioni diverse. Sono voci che rimbalzano di bocca in bocca, mozziconi di frasi che dicono più di quanto vorrebbero, nate a volte da sensazioni che scambiano la fantasia per realtà. Qualcuno diceva infatti che Armida aveva accolto in casa sua un cavalleggero polacco che si era trattenuto con lei per tutta la notte e se ne era andato alle prime luci dell'alba. Altri invece sostenevano che si, un militare era stato nascosto in casa sua, ma si era trattato di un ufficiale Francese ferito che lei aveva curato salvandolo dalle truppe nemiche che avevano occupato il paese. Alla fine venne fuori la storia che Armida si fosse fatta ammaliare da quel cavalleggero polacco che aveva passato la notte con lei e che lei avrebbe voluto che restasse per sempre a casa sua, ma quando questi non aveva accettato la situazione e stava per abbandonarla per tornare al suo reggimento lei, che si sentiva tradita negli affetti, piuttosto di perderlo e sentirsi di nuovo sola, l'aveva ucciso! E questa era la verità che la stessa Armida rivelò ad Angela, la madre di Ferdinando, qualche tempo dopo (erano passati più di quattro mesi da quei giorni) quasi a voler dare libero sfogo a sentimenti troppo a lungo nascosti. Armida per parte di madre, era seconda cugina di Angela. Le due donne spesso si facevano visita ed a volte passavano il pomeriggio assieme facendo piccoli lavori e scambiandosi confidenze e proprio ad Angela, Armida aveva confessato la sua colpa. Nel suo sfogo aveva rivelato tutto l'odio ed il disprezzo che solo una donna che si sente tradita può avere nei confronti di chi favorisce un destino che si prende gioco di lei. Aveva rivelato che aveva ucciso quel Piotr piantandogli una roncola nella nuca e quando l'aveva visto a terra in una pozza di sangue, l'aveva abbracciato e baciato e l'aveva seppellito in una buca scavata nell'orto dietro casa. Angela era stata sconvolta da questa rivelazione e le parole della cugina erano volate nei suoi pensieri prendendo l'aspetto di un racconto del terrore. Armida le aveva fatto giurare di tenere il segreto per sé e lei l'aveva fatto, non rivelandolo a nessuno, nemmeno a suo marito Luigi, ma egualmente quel segreto era trapelato quasi avesse in sé una forza autonoma che lo facesse propagare tutto intorno. Ma era anche possibile che la destinataria di quelle confidenze non fosse stata solamente Angela. Il venerdì prima di Natale, Don Baccini, il parroco di Campremoldo, andò a casa di Armida chiedendole se volesse confessarsi, dato che era da tempo che non frequentava più la chiesa, ma la donna fu con lui dura come una pietra e gli disse di andarsene da casa sua perché
i segreti della sua vita sarebbero morti con lei. Proprio in quel pomeriggio incominciò a nevicare e l'ultima neve del secolo ricoprì il piccolo orto dietro casa sua.
“Piero Zucconi, 2010””