penna

una Gita Maledetta

di Giorgio Vecchi

Le mie esperienze scolastiche alla Scuola media Manzoni furono nel complesso deludenti. Il primo anno era stato buono grazie alle eccellenti ripetizioni in analisi logica e latino che avevo ricevuto dal prof. Giovanni Anelli, nostro maestro in quinta elementare, che mi preparò per il temuto esame di ammissione alle medie. Inoltre il nostro insegnante di lettere era Emilio Cordani, allora giovane docente alle prime armi ma colto e dotato di tanta umanità. Purtroppo in seconda la musica cambiò e precipitai in caduta verticale tra i reietti e gli asinacci. La colpa fu mia che smisi di impegnarmi negli studi avendo scoperto le pene dell'amore non corrisposto, che mi faceva sentire una specie di eroe donchisciottesco alle prese con un destino romanticamente avverso. Principiai a scrivere in quel tempo poesie in cui narravo lo strazio esistenziale che mi faceva vedere tutto a tinte fosche, il mondo ostile e indifferente ai miei tormenti sentimentali. Oggetto delle mie pene era una compagna di scuola che non mostrava alcun interesse nei miei confronti. Il mio rendimento scolastico andò a rotoli anche per colpa della nuova docente di Lettere che compendiava in sé tutto il peggio che si può rimproverare ad un docente umiliando noi ragazzi al di là di ogni immaginazione. Eravamo giunti all'estremo, i miei compagni ed io, di considerare la scuola un luogo di tortura e di castrazione e ci lambiccavamo il cervello per escogitare sempre nuovi pretesti per bigiare le lezioni. Ancor oggi nelle rare occasioni in cui ci capita di ritrovarci, coi compagni di allora, è divenuto quasi un rito rammentare quei tristi giorni passati alla media Manzoni sotto il tallone di ferro di quella terribile prof. "de cuyo nombre no quiero acordarme." Anche gli altri docenti ci mettevano del loro per farci odiare la scuola e ridurre al minimo il nostro profitto. C'era tuttavia un aspetto in qualche misura gratificante della vita scolastica ed erano le gite che specie in primavera si organizzavano per visitare questa o quella località spesso più dotata di attrattive turistiche che culturali. Andammo in quel tempo a Lugano, che era la meta di rigore, e in alcune vicine città d'arte come Cremona e Mantova. Ho di queste gite ricordi alquanto nebulosi, invece ce ne fu una destinata a restare per sempre nella memoria e non certo per motivi piacevoli. Fu la gita al lago di Garda che per me finì per convertirsi in una autentica tortura. Non sono un tipo facile a coliti e dissenterie, semmai il contrario, ma quel giorno d'aprile in cui andai con la classe a Sirmione e in altre località vicine il destino mi giocò un tiro davvero mancino.


con il mio gatto siamese in albergo

Rammento come fosse oggi il momento della partenza da viale Risorgimento. Si trattava di una gita dell'intera scuola Manzoni e i numerosi pullman che dovevano trasportarci erano fermi davanti all'Istituto Romagnosi. Mi vedo salire e prender posto con accanto l'amico Ezio. Guardo i compagni che salgono seguendo le imperiose istruzioni del prof. Barbieri, il nostro insegnante di educazione fisica, e proprio in quello stesso momento avverto un dolorino di pancia leggero, non più di una puntura di spillo. Non ci faccio gran caso sul momento, penso a un malessere passeggero e difatti poco dopo mentre la nostra carovana si dirige verso il ponte sul Po il dolore sembra scomparso. Mi unisco volentieri alle chiacchiere dei compagni che commentano i nostri ultimi disgraziati insuccessi nella versione di latino; poi parliamo di cose assai più piacevoli e stimolanti che hanno per oggetto alcune note bellezze della seconda E. Io penso alla mia ragazzina e mi riprometto di trovare l'occasione propizia per incontrarla e parlarle. Mi distendo e sbircio dal finestrino il paesaggio padano che scorre sotto i miei occhi cercando di assopirmi perché il viaggio sarà lungo quando ecco di nuovo quel fastidioso dolore di pancia, stavolta è più forte anche se dura un attimo. Sconcertato, mi alzo dal mio posto e cerco di muovermi nello stretto corridoio per veder di allontanare il fastidio ma di nuovo sento una fitta dolorosa e mi siedo di colpo in preda a una viva inquietudine. Possibile che debba liberare le trippe proprio ora che siamo appena partiti? Non posso far fermare il pullman per i miei comodi, e poi che figura ci farei e dove andrei a compiere la bisogna visto che siamo in aperta campagna. All'amico che mi siede a lato non oso dir nulla e me ne resto al mio posto tenendomi le mani sul ventre poiché ora i dolori si stanno facendo più forti. Appena ci fermeremo cercherò una toilette, mi dico, l'importante è resistere. Potete immaginare come trascorsi l'ora seguente perseguitato da dolori sempre crescenti. Mi rigiravo al mio posto da un lato all'altro cercando di placare quelle fitte dolorose, simulando coi compagni una ilarità che ero lungi dal provare, vergognoso di quel che avrebbero pensato e temendo che si facessero beffe di me. Finalmente giungemmo in un autogrill e facemmo una breve sosta. Inutile dire che scesi a precipizio e mi infilai con la rapidità di un lampo negli adiacenti gabinetti battendo tutti sul tempo. Finalmente potei dar sfogo con grandissima soddisfazione agli intestini in tumulto e poco dopo me ne uscii dai cessi che parevo un altro.

La vita tornava a sorridermi e mi diressi al bar per rifocillarmi. Poi ripartimmo e per un pò mi divertii con Ezio a lanciare palline di carta sui compagni che ci precedevano e che prontamente risposero per le rime, si scatenò una vera e propria battaglia che venne infine sedata dalla arcigna prof. di francese. Stavo commentando accaldato con gli amici del gruppetto le nostre notevoli abilità cerbottaniere quando d'improvviso sentii di nuovo quel maledetto dolore che si faceva strada nel mio corpo. Rimasi quasi paralizzato dall'orrore. Ma come era possibile se solo poco prima mi ero liberato con tanta soddisfazione del contenuto del mio ventre? Non riuscivo a capacitarmi di tanta iella e un sudorino freddo cominciò a scorrermi lungo la schiena. Il dolore torno prestò a mordermi le viscere con crudele ostinazione tanto che Ezio finì per accorgersene. Dovetti confessargli i miei guai e vidi con sgomento che un sorrisetto malizioso si faceva strada sul suo volto subito occultato da una sincera preoccupazione. Lui si offrì di dirlo alla prof ma io gli intimai di non fare lo sciocco, presto saremmo arrivati a destinazione e non restava che attendere, gli dissi, fingendo che il dolore fosse quasi scomparso per impedirgli di darne notizia a tutta la brigata. Quel calvario durò ancora per un bel pezzo ma infine come Dio volle giungemmo a Sirmione. C'era in programma la visita alle grotte di Catullo ma prima d'ogni altra azione io avevo già compiuto il mio dovere riparando in una pubblica latrina. Mi accorsi con sgomento che non c'era carta igienica e dovetti cavarmela con un frammento di giornale che qualche anima buona aveva pensato bene di lasciare in quell'immonda cloaca. Ritenevo di aver ormai svuotato corpo e anima e seguii i compagni nella visita alle suggestive grotte e poi alla singolare dimora del vate DAnnunzio. Il Vittoriale mi lasciò ammirato e un pò perplesso. Tutto quel profluvio di oggetti, di mobili rari, di esotiche cineserie colpirono la mia sensibilità e sono certo che il mio giudizio sarebbe stato o più entusiasta o più critico se la mia preoccupazione maggiore non fosse stata quella relativa alla presenza di efficienti servizi poiché, devo confessarlo, ero di nuovo in preda a dolorosi spasimi e speravo di trovare un gabinetto, foss'anche stato quello in cui il vate soleva depositare i preziosi frutti del suo intestino, per liberare il mio di nuovo in effervescenza.


con mia madre nel cortile dell’albergo

Il resto della giornata passò dunque così. Con me sempre alla spasmodica ricerca di gabinetti in quasi tutte le tappe di quella memorabile gita. Non so quanti furono quelli in cui lasciai un tangibile e nauseabondo prodotto delle mie trippe. Ma certo a sera, quando infine prendemmo la via del ritorno, ero ridotto a un povero straccio irriconoscibile rispetto al giovinetto baldanzoso ed entusiasta che era partito quella mattina. Avevo fino a quel momento miracolosamente preservato la mia biancheria intima dal contagio e mi ritenevo fortunato. I pullman fecero al ritorno una deviazione che ci portò a Crema, puntualmente da me visitata nei suoi cessi limitrofi alla stazione. Infine nei dintorni di Monticelli facemmo una sosta imprevista poiché un ragazzo forse meno imbranato di me aveva fatto fermare il nostro bus per una improvvisa indisposizione. Ne approfittai per scendere io pure perché proprio in quel momento ero preda di un nuovo potente stimolo. C'era un bar lì davanti e mi recai di corsa al servizio rallegrandomi di quella insperata sosta che giungeva a proposito. Sgattaiolai nel bagno e tirai un sospiro di sollievo ma quello fu l'errore poiché mentre mi calavo in fretta le brache non riuscii a controllarmi e parte del contenuto dei miei visceri si riversò sulle mie malcapitate mutande. Inutile dire che me ne liberai gettandole in un canale lì accanto. Avevo toccato il fondo delle mie tribolazioni e non avevo nemmeno la forza di ridere di quella situazione grottesca e paradossale in cui mi trovavo. Giunti a Piacenza l'allegra comitiva si disperse. Salutati i compagni presi mestamente la via di casa senza accorgermi che i tremendi dolori che avevano costellato la mia giornata di gitante erano di colpo miracolosamente scomparsi. La notte e il giorno seguente trascorsero nella più assoluta normalità. Mia madre non si era accorta di nulla, nemmeno della perdita del capo più significativo della mia biancheria intima. Siccome era una donna apprensiva la mattina seguente mi disse che forse era opportuno prendessi, data la mia abituale stitichezza, il vitto asciutto della gita e il cambiamento d'aria, un buon purgante per riequilibrare l'intestino. Non riferisco per rispetto alle anime sensibili che cosa le risposi. (Al solit profesur).