penna

il Portachiavi di Nando

di Giorgio Vecchi

A volte capita, frugando nei vecchi armadi e cassetti di casa, di rinvenire oggetti curiosi che giacevano lì da tempo immemorabile e di cui si è scordato il motivo per cui furono conservati negli anni. A me tali ritrovamenti hanno dato lo spunto talora per farvi sopra una poesia perché trovo che sia qualcosa di prodigioso ed emozionante scovare un oggetto dimenticato per anni in un cassetto senza saper il motivo per cui vi fu riposto. Sono misteri piccoli, d'accordo, però hanno un loro fascino per temperamenti come il mio ancora vincolati saldamente al felice (?) tempo della gioventù e diciamolo pure ancora ammantati del romanticismo novecentesco che non fa più parte del bagaglio delle persone d’oggi, soprattutto dei giovani che appartengono a questo mondo tecnologico e informatico che ha esiliato e messo da parte il sentimento.

Tutta questa premessa avrei anche potuto risparmiarvela ma mi sembrava opportuna per parlarvi di un oggetto, apparentemente insignificante, un piccolo portachiavi (di cui più sotto vi mostrerò la fotografia) che ho da poco scovato a Piacenza in un cassetto che conserva ancora oggetti che vi stazionano dai tempi in cui la casa era abitata dai miei genitori. Quando essi si stabilirono definitivamente a Montù, dopo che mio padre lasciò la direzione del Grande Albergo Roma nel 1976 (un anno prima che mi sposassi) la casa rimase vuota per qualche tempo perché mia moglie ed io abitavamo un appartamentino di mia proprietà sito nella casa accanto. Quando decidemmo di occuparlo lasciammo gran parte dei mobili presenti nella appartamento. Qualche anno dopo, anche noi ci traferimmo a Montù, quando abbandonai l’insegnamento in città per entrare in pianta stabile all’università di Pavia, per cui non apportammo mai grandi cambiamenti alla casa e alla mobilia. Per questo, a distanza d’anni, è ancora possibile scovare nei cassetti qualche cimelio del bel tempo che fu. Mi accorgo di aver di nuovo smarrito il filo del discorso, quello che il Cician, antico frequentatore dell’hôtel avrebbe definito con il suo arguto e forbito eloquio “la fola dell’oca” e mi scuso nuovamente venendo al dunque.


il famoso portachiavi di Nando

La particolarità che rende straordinario il rinvenimento del portachiavi è dovuta a due fattori: primo, che lo stato di conservazione del portachiavi in metallo è perfetto, come se fosse stato acquistato oggi; e secondo, che ho ben chiaro come ne venni sciaguratamente in possesso e che vale la pena di raccontare. Chi ha letto il mio libro sul vecchio Roma forse ricorderà che il nostro miglior cameriere era Nando Marenghi, originario di Rivergaro, entrato a far parte del personale di sala quando era ancora un ragazzotto come testimoniano alcune foto scattate durante un banchetto del Carnevale del 1940 in sala ristorante. Nando era assai apprezzato dalla clientela dei “pëssgatt” per il suo buon carattere e certe sue memorabili battute segno di una vis comica davvero notevole. Era anche un grande estimatore del campionissimo Fausto Coppi come ho narrato nel mio libro. Il personale che non abitava a Piacenza aveva a disposizione alcune camere situate sul ballatoio del secondo piano dell’edificio, camere che raramente venivano utilizzate per la clientela specie nella stagione fredda essendo scomode e non ben riscaldate. La camera di Nando stava a lato dell’appartamentino dove dormivano le due sorelle di papà. Io avevo a quell’epoca una decina d’anni e spesso bazzicavo da quelle parti in compagnia della mia amica Rosanna, la sorellastra di Gion, che viveva nell’altra estremità del ballatoio in un piccolo appartamento con la famiglia. Il Roma era uno strano hôtel che sul ballatoio del secondo piano ospitava, oltre al personale e alle mie zie, anche degli inquilini che abitavano lì da chissà quanto tempo e che non potevano essere sfrattati dalla Cementirossi, proprietaria del vecchio stabile, a causa del blocco degli affitti.


Nando con mia madre ed io nel cortile del Roma nel 1955

Con Rosanna, che aveva un paio d’anni più di me, passavo gran parte della giornata, specialmente nei lunghi pomeriggi d’estate. A volte combinavamo delle marachelle per ingannare il tempo che ci sembrava lunghissimo. Se non ci accompagnavano al cinema ci annoiavamo e dunque escogitavamo sempre qualche nuova Impresa. Un giorno eravamo davanti alle camere dove dormiva il personale e Rosanna mi propose di arrampicarci sul davanzale delle finestre per cercare di entrarvi ed esplorare quelle stanze. Salimmo facilmente sul davanzale di quella di Nando e trovatala semi aperta entrammo agevolmente nella stanza. Sul comodino accanto al letto c’era un orologio da polso e un portachiavi argentato che attrasse la mia attenzione. L’avevo già visto nelle mani di Nando che però non lo utilizzava mai per agganciarvi delle chiavi, lo teneva probabilmente come un ciondolo portafortuna. Devo confessare che quell’oggetto mi piaceva parecchio e avevo pensato di chiedere a Nando se me lo regalava. Ora era davanti a me, su quel comodino, a portata di mano ed io lo presi senza pensarci troppo e lo intascai con soddisfazione. Poco dopo visto che non c’era null’altro che poteva interessarci abbandonammo l’impresa ma io non restituii mai l’oggetto sottratto che nascosi tra le mie cose “segrete”.
Quel piccolo furto in seguito fece breccia nella mia giovane coscienza e mi vergognai di quanto avevo fatto. Nando non disse mai nulla al riguardo ed io non ebbi mai il coraggio di confessargli la mia mascalzonata. Non so di che metallo sia fatto il portachiavi, sembra l’abbiano cromato per mantenerlo immune dalle ingiurie del tempo. Devo dire che a distanza di oltre settant’anni dall’episodio, si è mantenuto perfetto come allora. Ritrovarmelo improvvisamente davanti dopo tanto mi ha causato di nuovo quella fitta di rimorso che provavo ogni volta che lo scorgevo tra le mie cose. Probabilmente per quello anni dopo, quando già il buon Nando ci aveva lasciato, volli “seppellirlo” in quel cassetto tra mille altre cianfrusaglie per dimenticare quel fatto che non mi faceva certo onore.
(Al solit profesur).