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un Pranzo a Casa Vigorelli


di Giorgio Vecchi

Mio padre era un socialista saragattiano ma ebbe molti amici anche tra i socialcomunisti e i comunisti stessi. Aveva almeno in parte condiviso con alcuni di loro gli anni della lotta clandestina dopo il tragico epilogo della caduta del fascismo e dell’armistizio. Di quei giorni drammatici aveva un ricordo vivissimo e gli piaceva rammentare di aver dato un piccolo aiuto alle formazioni partigiane rifornendole di cibo e altri alimenti nei giorni successivi alla fine del conflitto. Inoltre aveva sottoscritto per il PCI alcuni buoni da Lire 100 per le elezioni all’Assemblea Legislativa nel 1947.

Quei primi anni di lotte politiche nell’Italia finalmente libera lo videro attivo nella propaganda e generoso dando ospitalità ai compagni di partito che ebbero al Roma una prima sede provvisoria. Per quanto piccolissimo ricordo il periodo caldo delle lezioni del 1948 quando il Partito socialdemocratico che allora si chiamava ancora Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (P.S.L.I), dopo il doloroso divorzio dal socialismo nenniano dell’anno precedente a Palazzo Barberini, faceva la sua campagna elettorale con una vecchia auto rossa che girava per la città con un altoparlante che diffondeva, insieme alle note dell’Internazionale, forti slogan politici. Di tutti quegli entusiasti militanti di allora mi è rimasto impresso, chissà perché, il solo avvocato Parenti, allora giovanissimo, con un pizzetto e credo un basco in testa che guidava quell’auto per le vie della città. A mio padre piaceva fare politica ma non amava il protagonismo. Essendo per temperamento schivo e privo di ambizioni rimase sempre in ombra anche se le sue doti di persona onesta e lontana dai giochi politici gli valsero la stima e l’amicizia di importanti personaggi della politica locale e nazionale. Della sua devozione a un combattente antifascista come Faggi ho già detto, molto potrei dire anche della assidue frequentazioni che ebbe con l’onorevole comunista Amerigo Clocchiatti che al Roma era di casa e che credo non fu estraneo alle pratiche per fargli ottenere, quasi a sua insaputa, il titolo di Cavaliere Ufficiale della Repubblica.

Ci fu tuttavia un importante politico socialdemocratico di quegli anni che gli fu sincero amico. Parlo di Ezio Vigorelli, avvocato lecchese antifascista, più volte incarcerato durante il ventennio che durante la Resistenza, dalla Svizzera ove era riparato con la famiglia per sfuggire all’arresto, fu tra gli organizzatori della fase preparatoria per la costituzione della Repubblica dell'Ossola, nella quale ebbe l'incarico di giudice straordinario. Dopo la guerra e la scissione di palazzo Barberini a cui in seguito aderì, Vigorelli presiedette il gruppo parlamentare socialdemocratico alla Camera fino al 1950 e fece parte del governo De Gasperi, nel 1948, come sottosegretario alle Pensioni di guerra, e dal 1954 al 1959 fu ministro del Lavoro e della Previdenza sociale. Non so a quale epoca risalisse l’amicizia di Vigorelli con mio padre, di certo so che era un legame fatto di simpatia e di stima reciproca.


Ezio Vigorelli, un politico e partigiano

Ho vivo ricordo di una colazione a cui andai con i miei genitori probabilmente nell’inverno del ‘56 o del ‘57 durante la chiusura dell’albergo, poiché mi sembra improbabile che i miei potessero lasciare entrambi il lavoro in hôtel sia pure per un evento tanto importante come la colazione privata con un ministro della Repubblica. L’incontro avvenne dalle parti di Casteggio dove il ministro possedeva una tenuta amministrata da una persona di sua fiducia, un certo Luigi, un uomo corpulento dal volto rossastro tipico di chi trascorre molto tempo all’aria aperta, che spesso veniva al Roma per incontrarsi con mio padre. Fu lui a combinare la cosa e a venirci a prendere in macchina, se non ricordo male. La casa di Vigorelli era solida ed accogliente con un grande giardino intorno e molte pertiche di vigneto e bosco. Era quasi limitrofa a un’altra tenuta di cui erano proprietari i Crosio, la famiglia di Stradella imparentata con la maestra Casella di Casa Villino, nonna delle mie compagne di giochi Carlina e Anna Crosio. Di loro si parlò a tavola con i coniugi Vigorelli che ci accolsero con viva cordialità. La signora Diana Vigorelli era una bella donna bionda che portava con dignità il grave lutto che aveva sconvolto la vita della coppia. Infatti i due unici figli dei Vigorelli, Bruno e Rodolfo, erano caduti anni prima entrambi durante un’operazione di rastrellamento condotta dalle milizie nazifasciste. Giovani idealisti, avevano lasciato il comodo e sicuro rifugio svizzero per unirsi alle formazioni partigiane. Il più giovane dei due, Rodolfo detto Fofi, aveva tentato invano di soccorrere il fratello caduto in una imboscata. Poco dopo difese valorosamente con i suoi uomini il casolare ove si erano trincerati e dove furono poi tutti trucidati. A Fofi venne concessa la medaglia d’oro mentre a Bruno toccò quella d’argento, entrambe alla memoria. Quando mi parlava di quei fatti dolorosi mio padre si commuoveva e credo che il legame con Vigorelli si nutrisse, almeno per quel che lo riguardava, anche del rispetto e della solidarietà per quell’amico tanto provato dalla sorte. Ma c’era certamente in papà, uomo mite e buono, anche profonda ammirazione per un uomo che aveva saputo inculcare nei giovani figli l’amore per la patria e per i sacri valori della libertà e della democrazia.

Il pranzo, per quel poco che ricordo, si svolse in un’atmosfera cordiale e senza alcun formalismo, entrambi i coniugi Vigorelli erano persone alla buona, che non mettevano in imbarazzo gli ospiti. Mia madre, di solito timida con persone che le incutevano soggezione per la loro collocazione sociale fu insolitamente ciarliera dopo un iniziale riserbo e simpatizzò con la signora Diana. Mio padre e l’avvocato, che si davano del tu, parlarono invece delle questioni politiche dell’epoca, entrambi erano propensi a rientrare nel P.S.I. che consideravano avesse ormai intrapreso un cammino di distanziamento dalle posizioni comuniste, cosa che avvenne poi puntualmente. Ogni tanto mio padre si rivolgeva a me spiegandomi per sommi capi i tortuosi andirivieni della politica dell’epoca e Vigorelli annuiva sorridendo. Lui dei suoi figli non fece mai parola durante il nostro pranzo ma credo che il suo costante pensiero andasse a quelle due giovani vite che il destino aveva voluto sottrargli. A me disse solo a un certo punto di fidarmi delle intuizioni di mio padre che aveva maturato suo malgrado un’esperienza di vita feconda e decisiva nel bene e nel male. “A noi è toccato vivere in un’epoca tragica per il nostro paese, spero che voi giovani possiate essere più fortunati”, aggiunse poi ed io mi sentii gratificato da quelle parole come se fossero state chissà quale preziosa rivelazione. Ci pensavo nel viaggio di ritorno e ci pensai ancora per molti giorni a venire. Ecco, il socialismo democratico di uomini onesti e capaci come l’avvocato Vigorelli e mio padre stesso è stato per me un insegnamento e un’eredità preziosa nei lunghi anni dell’adolescenza e della maturità. Forse essi erano degli inguaribili romantici ma coltivavano in loro un forte ideale a cui non hanno mai smesso di credere, un ideale permeato di giustizia sociale e solidarietà per le classi più umili e bisognose. Vigorelli lo fece efficacemente come ministro del Lavoro e della Previdenza sociale, mio padre più modestamente nel suo territorio privilegiato, il vecchio albergo Roma, quel "baracòn", come lo chiamava argutamente il Cavaliere del Lavoro Giovanni Rossi -altro grande campione di giustizia sociale- in cui trascorse gli anni memorabili della sua lunga e operosa esistenza. (Al solit profesur).