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il Cinema a Piacenza


il Cinemateatro Politeama all'aperto

La notizia che a Parigi i fratelli Lumière, il 28 dicembre 1895, avevano proiettato in pubblico la loro prima breve pellicola “che era anche il primo film della storia” e che molti clienti del “grand café” di boulevard des Capucines dove avveniva la proiezione, erano scappati spaventati temendo che la gigantesca sbuffante locomotiva avanzante sul lenzuolone bianco steso su una parete del locale , potesse piombare su di loro, arrivò a Piacenza un paio di mesi dopo suscitando la curiosità soprattutto di fotografi (allora una cinquantina avevano il loro atelier in città) e di qualche nobile che s’interessava di scienza e di tecnica che cominciò a congetturare come potesse essere la formidabile invenzione. Qualche anno dopo, i piacentini poterono soddisfare questa curiosità recandosi in piazza Cittadella , come ricorda in un suo articolo il memorialista Giulio Dosi, dove finalmente fu piazzato il primo “Chapiteau cinematografique” nome ridondante per una sostanza che lasciava alquanto desiderare, ma che, per l’epoca era eccezionale. Infatti allora i cinematografi erano nomadi più o meno come i circhi equestri. Giravano di città in città , piazzando le loro tende in piazze e sobborghi regalando stupori e sogni. Il famoso "Chapiteau cinematografique" altro non era che un baraccone formato da teloni incerati sostenuti da pali di legno e traversine di ferro che costituivano un fluttante involucro in cui si infilava la gente attratta dalla magica novità del cinema. Sullo sfondo, un candido lenzuolo su cui apparivano le tremolanti immagini del film, ovviamente mute. Per rendere più comprensibile lo svolgimento delle scene, c’erano brevi didascalie o interi dialoghi scritti, sovente resi illeggibili dalle troppe proiezioni. La colonna sonora era fornita da uno stonato pianoforte strimpellato da un pianista sempre stanco che sottolineava le scene drammatiche pigiando sui tasti delle note basse, e le situazioni allegre su quelli delle note alte. L’operatore, che faceva avanzare il film dando la manovella, era nascosto, con il proiettore, in una cabina in fondo alla pista: una specie di casotto con una feritoia sul davanti da cui passava il raggio di luce che, miracolosamente, si allargava trasformandosi un immagini mobili sul bianco telone dello schermo collocato sul lato opposto. Nello spazio tra cabina e schermo c’erano quattro o cinque file di panche senza schienale: l’arredamento ed il confort era tutto lì. Niente luci e continui incidenti tecnici (strappo della pellicola , manovella che s’inceppava) che interrompevano il film sempre sul più bello scatenando le proteste, spesso molto sguaiate, dei già numerosi spettatori. Era una sirena con il suo ululato che segnalava la fine di una proiezione e l’inizio della successiva.

Dalle loro Nicchie anche i Santi Guardavano il Film

Le proiezioni "en plein air" (gli spifferi e i pertugi dello chapiteau erano tanti che era come se fossero all’aperto) imboccarono il viale del tramonto il 5 ottobre 1906 quando anche a Piacenza si aprì la prima sala cinematografica. A farla nascere fu un brillante funzionario dell’Amministrazione Provinciale di Bologna, ingegno instancabile e pieno d’iniziative, appassionato di congegni elettrici, che nel tempo libero si dilettava a preparare le luminarie per le sagre paesane: il geometra Oreste Leonardi. Arrivato a Piacenza , acquistò la chiesa sconsacrata di Sant’Ulderico all’angolo dell’omonimo violetto con via Garibaldi, e la trasformò in cinematografo chiamandola "Sala Marconi" in omaggio al grande scienziato bolognese padre della radio. Agli esordi , l’ampio locale conservò molte caratteristiche che ricordavano il precedente uso. "c’erano ancora – scrivono i memoriali – le volte di gusto barocco, il pulpito, le stampe nelle nicchie e le panche che sapevano di genuflessioni, preghiere e benedizioni". Ma il pubblico, affascinato dalle immagini che nel buio della sala apparivano sullo schermo come impalpabili ectoplasmi, non fece molto caso ai santi che sbirciavano dall’alto dei loro piedistalli, e la cosa ebbe successo. C’erano comunque "i soliti spiritosi che nei momenti più impensati chiedevano ad alta voce se anche quegli immobili spettatori di gesso avessero pagato il biglietto e altri che, negli intervalli (e di soste ce n’erano davvero tante), ingannavano l’attesa, intonavano litanie e giaculatorie facendo arrabbiare i burberi sorveglianti di sala (quelli che diventeranno le “maschere”) che rimproveravano le vocianti compagnie accusandole di non aver rispetto del luogo". Non si sa se inteso come tempio della settima musa o come ex chiesa. Più tardi la "Sala Marconi" venne modificata perdendo sempre più le sembianze della chiesa ed acquisendo sempre più quelle del cinematografo. Vennero cambiate le panche, si demolì il pulpito, si tolsero i santi dalle nicchie, fu costruita una balconata in fondo alla sala, mentre sulla parete in alto a destra, sfruttando l’antico alloggiamento dell’organo, venne ricavata una soggetta dove si collocarono i suonatori (pianoforte e violino) che eseguivano l’accompagnamento alle immagini mute. Per anni la "colonna sonora del Marconi" fu un pianista cieco, il prof. Pietro Tassi, abilissimo pianista e sensibilissimo musicista che, cogliendo immediatamente le reazioni del pubblico, sapeva cambiare tipo e ritmo di musica adeguandola alla scena che si svolgeva sullo schermo, alternando con maestria patetiche arie e marcette vivaci, importanti brani di musica classica a motivetti popolari. A dare il cambio al prof. Tassi andava la mamma di Giulio Cattivelli. La signora, raffinata musicista ed eccellente insegnante di musica, si portava al cinema anche il figlio Giulio. Probabilmente fu in quegli anni che il piccolo Giulio cominciò ad appassionarsi al cinema. Una passione infantile che lo farà diventare uno dei più grandi e competenti critici e storici italiani del cinema. Terminati i lavori di adattamento, i posti alla "Sala Marconi" vennero suddivisi , a seconda della comodità e della visuale, in tre categorie. I primi posti, cioè i migliori con poltroncine di velluto rosso e miglior punto di vista verso lo schermo, erano in fondo alla platea. I secondi posti erano in galleria, cioè sulla balconata. Poi c’erano i terzi posti in platea, divisi dai primi posti da un invalicabile tramezzo di legno: erano quelli dotati di panche con schienale collocate immediatamente sotto lo schermo e solitamente destinate a militari e bambini. Per un certo periodo ci furono anche i quarti posti ed erano quelli su panche senza schienale messe dietro lo schermo dove lo spettatore vedeva il film al rovescio.

Il Lussuoso "Kursaal" un Paradiso di Voluttà in piazza Cittadella

La "Sala Marconi" ebbe un successo tale che altri imprenditori videro nel cinema un affare tanto goloso da indurli ad aprire a Piacenza altre sale cinematografiche. Cosi, negli anni antecedenti la prima guerra mondiale nella nostra città c’era anche il "Kursaal" che aprì i battenti in piazza cittadella al n. 13 . Locale sontuoso, gestito da un tal signor Icardi, il "Kursaal" aveva , all’ingresso, addirittura un piccolo bar ed era arredato con specchi, pareti in "boiserie" con addobbi dorati, lampadari in cristallo e pesanti tendoni. Le poltroncine erano imbottite e ricoperte di velluto. Il "Kursaal" ospitò anche spettacoli musicali creando in provincia il luccicante ed ambiguo mondo del "tabarin", quello che il grande Petrolini, nel frak di Gastone, definiva "paradiso di voluttà". Fu il malinconico traguardo di "sciantose" che tentarono di rinverdire dalle nostre parti gli appassiti allori del loro fascino e delle loro seduzioni accalappiando qualche danaroso agricoltore, qualche figlio di papà che non si decideva a mettere la "testa a partito" e qualche nobile, apparentemente marito fedele ma dal temperamento da incallito viveur, stanco della solita routine di provincia. Due, di tante maliarde che si susseguirono nella pur breve stagione del "Kursaal", sono i nomi che i memorialisti riportano con più frequenza: Liliana Castagnola e Vera Verbena. La prima si uccise, pare, per amore di un nobile piacentino (per la bella sciantosa aveva già fatto pazzie e speso una fortuna in gioielli) che non era fuggito con lei abbandonando la legittima moglie ed i tre figli. Pare, però, che la causa scatenante dell’insano gesto fosse soprattutto, il fatto che il nobile, nonostante le promesse, tardasse ad intestare alla affascinante tentatrice, un paio di possedimenti che, all’epoca i piacentini chiamavano ancora "pussiòn". La seconda , corteggiata da uno studente, figlio di un integerrimo colonnello, fu protagonista di un clamoroso scandalo che fece chiacchierare Piacenza per lungo tempo. L’aneddoto venne così riportato: il giovane, assiduo frequentatore del "Kursaal", il giorno successivo ad una notte di passione con l’ineguagliabile Vera, comprò, sottraendo i soldi dal portafogli del padre e firmando anche qualche "pagherò" un costoso collier. Ebbe però la malaugurata idea di mandarlo alla donna , da un attendente che fu anche incaricato di acquistare un mazzo di fiori. Tra rose e gladioli il soldato nascose – come il signorino gli aveva ordinato – l’astuccio ed il biglietto in cui i gasatissimo rampollo, fissava il successivo appuntamento con la sconvolgente ammaliatrice. Non avendo rintracciato la diva , il soldatino riportò il lussuoso presente a casa dove trovò il colonnello padre su tutte le furie perché si era accorto dell’ammanco dal suo portafoglio. Il povero attendente fu subito accusato del furto. A sostenere l’accusa era soprattutto il figlio del colonnello. Ma il soldatino non si lasciò intimidire e, i fiori e gioiello tra le braccia, inseguito dal furente colonnello che brandiva la sciabola d’ordinanza, guadagnò l’uscita e, urlando che non era un ladro, si precipitò nel negozio del gioielliere, dove fu chiarito tutto. Il gioiello fu restituito. I soldi tornarono nel portafoglio dell’alto ufficiale. I "pagherò" vennero stracciati e l’incolpevole soldatino immediatamente riabilitato da un generoso discorso del colonnello che, davanti ai clienti della gioielleria, scapitozzando con un secco e preciso fendente di sciabola il mazzo di fiori che il soldato teneva ancora in mano, battendo i tacchi si congedò dicendo: "E adesso andiamo a fare i conti con quel debosciato puttaniere di mio figlio". Il "Kursaal" fu in voga soltanto per un paio di stagioni tra il 1908 ed il 1910, ma fece in tempo a diventare un punto di riferimento di mondanità, un inesauribile serbatoio di pettegolezzi e a creare a Piacenza quella voluttuosa atmosfera da "belle epoque" che solo metropoli come Parigi, Milano, Torino, Roma e Napoli potevano permettersi.

Lo Sfortunato "Edison" il Popolare "Excelsior" il Raffinato "Roma"


il cinema Roma in piazza cavalli

Il primo settembre 1911, in piazza Duomo, ai n. 13-15 (dove c’era la popolare trattoria "dal Prètu"), fu inaugurato il "cinematografo Edison" per iniziativa di Ettore Bianchi ed Augusto Fraccalossi, due forestieri, pieni di risorse e buona volontà che tentarono la fortuna a Piacenza, ma con scarsi risultati. Infatti "L’Edison" chiuse i battenti dopo pochi anni. Maggior successo ed esistenza più lunga ebbe invece il "Roma", inaugurato il giorno di Santo Stefano del 1912. Ospitato al primo ed al secondo piano dell’edificio in cui si sarebbe più tardi collocato il "Banco di Roma", era gestito dalla marchesa Zambelli Dalla Rosa. Allora, a far pubblicità ai film non c’erano i coloratissimi manifesti che ci sono oggi o i "provini" o i "prossimamente" o, come si chiamano adesso i "trailers". A dire al pubblico che quello era un film da non perdere c’erano gli imbonitori. Per esempio, all’ingresso del "Roma" di piazza Cavalli, c’era un tal Lorenzo Calza, personaggio singolare ma dall’ottima loquela, che, a volte gigioneggiando un po’, invitava il pubblico ad entrare. Per un certo tempo il "Roma" fu il locale più prestigioso della città. Frequentato dalla buona borghesia cittadina, aveva le programmazioni con i titoli di maggior rilievo. Più popolari erano la sala "Excelsior" di via Guastafredda ed il cinema "Eden" aperto il 2 marzo del 1913 in piazza Cittadella nella famosa "Balera ‘d Gilè", immortalata da Valente Faustini in una sua celebre poesia. L’"Excelsior", che come imbonitore aveva il popolare Ciro, una simpatica macchietta che sapeva facilmente convincere i titubanti, oltre al cinema ospitò anche discrete compagnie di prosa. Tra i nomi che diedero lustro al locale di via Guastafredda ci fu il grande Pasquariello che a Piacenza tenne cartellone per diverse stagioni. Tante presenze nella nostra città del celebre chanssonier napoletano, si spiegano con il fatto che Pasquariello , quando non era sul palcoscenico a cantare, si dedicava al commercio all’ingrosso del pesce che faceva arrivare da Napoli per rifornire i dettaglianti piacentini. Si capisce che dalle nostre parti faceva buoni affari se preferiva continuamente esibirsi all’"Excelsior" lasciando perdere scritture su piazze ben più importanti e prestigiose.

Il Mitico "Verdi": Dove il Film era un Pretesto per far Caciara

Durante la grande guerra, dato che Piacenza, cinematograficamente parlando, era una buona piazza per la presenza di migliaia di soldati, venne aperto anche il famoso "Verdi", ricavato nella chiesetta sconsacrata di San Matteo. Il "Verdi", che ospitò anche spettacoli teatrali ed affamate compagnie di "arte varia" (c’è chi ricorda ancora l’esibizione del comico "Scarnicchia"), sopravvisse a lungo, entrando nel mito, non tanto per i film che si proiettavano ma per quanto accadeva tra il pubblico durante le proiezioni. Il locale era stato adattato ed erano stati costruiti prima una galleria e poi anche alcuni palchetti successivamente murati perché sembrava che ci fosse il rischio di crolli. In vicolo San Matteo, davanti al "Verdi", stazionava " ‘l Moru" il venditore di castagnaccio, la popolare "pattona". Per dieci centesimi dava una fetta abbondante più l’aggiunta (la "zònta"): una strisciolina di sfornato di ceci ancora caldo. Erano i "pop corn" d’allora. La biglietteria del cinema era costituita da una specie di bunker. Da una stretta feritoia la cassiera, dopo aver ritirato i soldi (pochi centesimi a persona) passava i biglietti d’ingresso per platea o balconata. Già alla biglietteria succedeva un gran pandemonio provocato da chi tentava – spesso riuscendoci – con giochi di prestigio (versando e ripigliandoli i soldi e poi rimettendoli e poi ancora ritirandoli) di mandare in confusione la povera cassiera e scroccare molti più biglietti di quelli effettivamente pagati. Stesso parapiglia avveniva subito dopo nel momento in cui la vecchia maschera controllava i biglietti all’ingresso in sala. Molto non più giovani ricordano ancora il "Sisàlla", cosi si chiamava il vecchietto, ossuto e curvo, che dopo aver effettuato il controllo dei biglietti aveva anche il compito di sorvegliare l’interno della sala durante le proiezioni. Spesso e volentieri l’interno durante le proiezioni era una specie di bolgia con monelli che scorazzavano, altri che litigavano tra di loro, altri ancora che facevano scherzi, spesso pesantissimi, a chi tentava di vedere il film. Insomma, una caciara indescrivibile. Tant’è che il "Sisàlla", per poter svolgere la sua funzione, girava armato di una bacchetta di salice che non indugiava a piazzare sulle gambe e sulla schiena dei più scalmanati. In platea il pubblico si divideva in tre settori: le primissime panche, quelle quasi incollate allo schermo che per poter guardare il film facevano venire il mal di collo, erano senza schienali ed erano occupate dai ragazzini ai quali il film, se non era "Tom Mix" o "Sandokan" o "Ridolini" non importava granchè: l’importante per loro era far caciara, magari, se era inverno, anche facendo a pallate di neve (che portavano dentro a blocchi nascosti sotto i tabarri che rubavano ai nonni ed ai papà) centrando le teste degli spettatori concentrati a seguire l’azione che si svolgeva sullo schermo. Dietro queste prime file , c’erano altre quattro file di panche, dotate però di schienale, che di solito venivano occupate da anziani che, cappello in testa e ben avvolti nel tabarro nero, schiacciavano lunghi pisoli incuranti del chiasso del film. Se invece erano svegli durante la proiezione, masticavano tabacco (l’ultimo mozzicone del sigaro toscano) continuando a sputacchiare. Il terzo settore era quello in fondo alla sala e spesso i posti erano occupati da coppie di fidanzati che puntualmente venivano disturbati dagli improvvisi raids dei monelli delle prime file. La domenica era la giornata più terribile. Frotte di ragazzi entravano alle 14 ed uscivano a notte inoltrata. Era anche il giorno che al "Verdi" apriva il bar. Si trattava di un banchetto, collocato sotto lo schermo a pochissimi metri dalle panche dei discoli, su cui la moglie di "Sisàlla" metteva in mostra sei o sette bottiglie di gassosa con la biglia, una scatola di caramelle di panna, un sacchetto di caramelle di pomo, un vaso di biscotti durissimi (i famosi "straccadeint") un vaso di "brùtt ma bòn". Un vaso di "spumoni" ed un sacchetto di lupini. A metà spettacolo avveniva l’assalto. Ad un preciso segnale la ciurma dei monelli, circondava la donna. Mentre alcuni la distraevano facendo una confusione pazzesca (prima chiedevano le caramelle di pomo, poi ci ripensavano chiedendo quelle di panna, poi contestavano il costo, poi ancora il numero delle caramelle ricevute) gli altri portavano via le bottiglie di gassosa, gli "straccadeint", i "brùtt ma bòn" e tutta l’altra povera mercanzia, spesso buttando all’aria il fragile banchetto e mettendo in fuga la donna che urlando chiedeva aiuto a "Sisàlla".
Arriva il Sonoro:
Chiudono "Excelsior" "Eden" e "Roma"
Apre "l'Italia" e il "Marconi" diventa "Iris"



il cinema Iris poi Garibaldi ed infine Apollo


il cinema Italia poi cinema Corso

Mentre il "Verdi" viveva la sua turbolenta e non ancora dimenticata epopea che si protrarrà fino alla vigilia della seconda guerra mondiale, la "Sala Marconi" di via Garibaldi all’angolo con cantone Sant’Ulderico, cambiava nome e diventava "Iris". Il cinema "Excelsior" di via Guastafredda, dopo la fine della prima guerra mondiale, cessata l’ondata di militari di stanza a Piacenza, nonostante la grande popolarità del simpatico "Ciro", chiudeva i battenti. Venne trasformato in magazzino di vini. Oreste Leonardi, il pioniere dei cinema piacentini, ebbe due figli, Carlo e Francesco. Il primo era il papà gi Giancarlo Leonardi, l’attuale titolare di quasi tutte le sale cinematografiche cittadine; il secondo era il papà dell’indimenticabile Umberto, scomparso qualche anno fa. Il primo giugno 1919, nell’allora strada San Raimondo (l’attuale corso Vittorio Emanuele), all’angolo con vicolo Tempio, apriva i battenti il cinema "Italia", un’accogliente sala in stile "iberty" che, acquistata da Carlo Leopardi nel 1937, si trasformerà diventando nel 1941 il cinema "Corso", nome che conserva attualmente. Nel 1918 l’autorità militare restituisce a Leopardi un grande edificio in via San Raimondo (inglobava anche l’ex chiesa di Sant’Alessandro, una parrocchiale chiusa per pericoli di crolli nel 1968, con trasferimento della parrocchia in Santa Teresa) e che era stato requisito dall’esercito nel 1914, alla vigilia della prima guerra mondiale, quando Piacenza era una grandissima caserma. Il 1920 è un anno cruciale nella storia del cinema di Piacenza. Infatti è l’anno in cui "l'Iris" di via Garibaldi cambia ancora nome per assumere quello di della via che conserverà fino agli anni 70, quando verrà ristrutturato completamente e ribattezzato col nome di "Apollo" che ancor oggi porta. Il 1920 è anche l’anno in cui –il 1° luglio- viene inaugurato il cinema "Iris" di strada San Raimondo, la prima lussuosa sala cinematografica intesa in senso moderno. E’ l’Iris di oggi in corso Vittorio Emanuele, trasformato nell’estate-autunno del 1998 in moderna "multisala". Nel 1926, fu una vera e propria meteora, il cinema-teatro "Farnese" inaugurato il 15 novembre a Barriera Roma, nei pressi dei "Magazzini Generali Comunali", non ebbe fortuna soprattutto a causa della sua ubicazione, all’epoca eccessivamente periferica che certamente non favoriva un sufficiente afflusso di spettatori. Durò meno di un anno. Intanto, anche per altri locali era giunta la triste ora del tramonto definitivo. "l'Eden" di piazza Cittadella chiuse quando i fascisti fecero chiudere la "Balera ‘d Gilè". Il "Roma" di piazza Cavalli chiuse nel 1926 travolta dalla crisi del cinema muto. I gusti del pubblico si erano evoluti e si erano adeguati all’avanzare della tecnica. Ormai era arrivato il sonoro. Aveva mandato in pensione pianisti e didascalie e relegato negli scaffali delle cineteche le "pizze" dei vecchi nfilm muti, buoni ormai solo per i cinofili e per gli storici del cinema. Era finita l’epoca de "la febbre dell’oro" e della "Grande Parata". Finiva una stagione eroica e pionieristica del cinema. Con il sonoro si apriva l’era del cinema tecnologico che sarebbe giunto fino a noi con i film in cinemascope, con l’audio in stereofonia con il "Dolby system" ed altri, allora inimmaginabili, effetti speciali. La prima pellicola "sonora" arrivata a Piacenza fu " L’arca di Noè". Intendiamoci, il sonoro di quel film e di quelli che per lungo tempo lo seguiranno, non era certamente come lo concepiamo adesso. Anzi, a dir la verità, era un sonoro per modo di dire. Soprattutto "sonoro" non era "parlato". Si trattava più che altro di grossolani rumori: porte sbattute che sembravano fucilate; lo sferragliare dei cavalli somigliava al brontolio di un temporale; motori scoppiettanti che sembravano raffiche di mitragliera. Di tanto in tanto in mezzo a tutto ‘sto fracasso di fondo, si captava qualche dialogo-non più di due o tre battute di seguito-recitato da voci cavernose che sembravano provenire dall’oltretomba. Praticamente incomprensibili: ma era già qualcosa. Già da tempo si erano visti anche primi esperimenti di colore. Le pellicole in bianco e nero erano colorate, più che altro con funzione psicologica, tanto per creare, insomma, l’atmosfera: c’era un viraggio bluastro per romantiche scene notturne, e rosso per incendi, scene di passione e di violenza. Se l’azione si svolgeva di giorno, se non bruciava niente o se non c’erano i protagonisti che amoreggiavano, la pellicola andava avanti con il solito bianco e nero. Il famoso "tecnicolor" doveva ancora attendere.
Il "Politeama": Un Palcoscenico per Tutti i Tipi di Spettacolo


il Politeama con il cinema all'aperto

I leonardi, dal 1929, ebbero in affitto anche un altro importante locale piacentino, il "Politeama". Come dice il nome stesso, il "Nuovo Politeama Piacentino" (questa era la sua esatta denominazione quando venne inaugurato il 10 febbraio 1883, conclusa in meno di sei mesi la costruzione iniziata nel settembre 1882 su progetto dell’ing. Perreau) era quello che oggi si chiama "uno spazio culturale" in grado di ospitare i più svariati tipi di rappresentazioni. Infatti, mantenendo fede al suo nome, il "Politeama" vide spettacoli di prosa, lirica, esibizioni circensi, spettacoli di rivista, addirittura riunioni di boxe, adunate di gerarchi fascisti, celebrazioni di regime, operette, pièces goliardiche e, ovviamente, anche il cinema. In origine, l’interno del "Politeama" era costituito da una vasta platea, due ordini di gallerie ed un loggione. Per arrivare al loggione, come per quello del Teatro Municipale, gli spettatori utilizzavano un ingresso a parte. Ma le analogie con il Municipale non si fermarono alle porte d’accesso. L’altra grande somiglianza consisteva nella musica lirica di cui il "Politeama" fu per un lungo periodo il secondo tempio piacentino. Le produzioni operistiche del "Politeama" si aggiungevano a quelle del Municipale, assicurando così alla città un numero di rappresentazioni annue davvero ragguardevole e seguitissimo. Per i tantissimi melomani nostrani le cose andarono bene fino al 1931, sino a quando cioè le "stagioni liriche" anche al Politeama si susseguirono con una certa regolarità. Poi per gli amanti degli acuti, delle cabalette e del "do" di petto cominciarono tempi duri perché la lirica venne adagio adagio scalzata dalla settima musa, il cinema. Nel corso degli anni anche la struttura originaria del "Politeama" cambiò volto. Nel 1929 la capienza venne aumentata a 2300 posti di cui 1700 a sedere. Ben più radicale fu l’intervento portato a termini nel 1947 quando dall’interno della sala scomparvero le gallerie ed il loggione per lasciar posto ad una struttura molto simile a quella attuale.
Il Tenore "Trissava" "La Pira" Carella presentava "La Ratassada"
e gli studenti guardavano i "Galo" delle ballerine

I Leonardi ebbero in affitto il "Politeama" fino al 1935-36. Qualche tempo dopo passò al dottor Bruno Bergonzi al quale, alla fine degli anni ’60 subentreranno i figli Nino ed Augusto che lo rivoluzionarono, trasformandolo nella "multisala" che oggi tutti frequentiamo e che oggi, i Bergonzi trasferirono i loro interessi a Parma, è di proprietà di Giancarlo Leonardi. Nel dopoguerra, e c’è chi ne ha nostalgia, il "Politeama" ebbe anche per molte stagioni, una versione estiva all’aperto con tante bianche poltroncine di vimini schierate nell’ampio giardino che precedeva l’ingresso del cinema (oggi in parte occupato da quella costruzione con le finestre ad "oblò" ed in parte dallo scivolo che porta ai garages sotterranei) e con lo schermo piazzato verso via San Siro. Sul palcoscenico del 2Politeama", si sono esibiti i più grandi artisti della lirica come Carlo Galeffi, Riccardo Stracciari, Mafalda Bavero (nel 1931) Vittorio Lois (che trissò "Di quella pira" in un trovatore del ’32) o come i piacentini Giovanni Tannini, Italo Cristalli, Piero Campolonghi, Gianni Poggi, Flaviano Labò. Anche le star della rivista come Macario, Rascel, Totò, Nino Taranto, Carlo Dapporto, Wanda Osiris si godettero gli applausi piacentini nel teatro di via San Siro. Mentre quello che poi diventerà il grande Mario del Monaco, nel ’44 fece i capricci perché voleva il cachè pattuito con l’impresario (com’era fra l’altro tradizione) tra il primo ed il secondo atto e, visto che l’impresario nicchiava, minacciò di non andare più in scena: "Se non vedo la faccia di Vittorio (alludendo all’effige del Re sulle monete) io non canto più e così il pubblico, ripeteva il tenore, vi sfascia il teatro". Poi si trovò un accordo. Del Monaco finì la "Tosca" bissando "E lucean le stelle". Fu un trionfo. Al "Politeama", nel 1935, Egidio Carella, rappresenta la prima di "Oh che rattasàda", nel ’54 di "Col còr in gùla", nel ’57 "Divieto di afflizione" e nel ’58 "L’ha mangià ‘l mlon". Nel dopoguerra, al "Politeama" furoreggiò l’avanspettacolo, brevi riviste, con il comico (un guitto agli inizi o a fine carriera), la soubrette (una bellona molto formosa che ballava, recitava, cantava ma soprattutto appariva in succinti costumi), c’era banche il cantante o la cantante ed una sfilza di procaci ballerine che, alla passerella finale, facevano letteralmente impazzire il pubblico che le salutava con una raffica di lazzi spesso irripetibili. Lo spettacolo precedeva la proiezione di un film di seconda o terza visione. Di solito la rivista, che in dialetto veniva chiamata "’l varietà", andava in scena il lunedì, giorno sempre poco propizio per il cinema. La platea o la galleria erano sempre gremite di soldati, di studenti o di barbieri che al lunedì avevano il giorno di chiusura. C’era uno spettacolo al pomeriggio ed uno alla sera. Incontrandosi sotto i portici in piazza, i giovanotti fissavano l’appuntamento per la sera al "Poli" per "andè a vèd i galo", per andare a vedere le cosce delle ballerine. Per una strana coincidenza, tra via San Siro e via Santa Franca, ci fu, nel corso degli anni, una eccezionale concentrazione di spazi di cultura e spettacolo. Infatti a pochi passi dal "Politeama" c’era e c’è il Teatro Filodrammatico sul cui palcoscenico, con allestimenti di gran pregio, è sfilata l’aristocrazia degli attori piacentini che pur non facendo del teatro una professione, non hanno mai - con la loro passione e dedizione – fatto rimpiangere i grandi nomi. Alla "Filo" Carella rappresentò la sua prima commedia in dialetto, la famosa "Toot, l’onoor addio baracca", che allora era ad un atto solo e successivamente venne estesa a tre atti. A pochissimi metri dalla "Filo" c’era e c’è il Conservatorio "Nicolini" che allora si chiamava "liceo musicale" ed era di competenza comunale. Scuola di musicisti, ma anche luogo di grandi concerti ed eccezionali esibizioni. Nel suo salone dei concerti, con il suo già allora monumentale organo, si è fatto le ossa e si è esibito il fior fiore dei musicisti e dei concertisti piacentini. Durante la guerra, anche il conservatorio non venne risparmiato dalle bombe. Per un lungo tempo nelle sue aule e nei suoi saloni la musica tacque.

Cambia il Cinema Cambiano i Cinema

Il cinema fece in fretta passi da gigante. Il sonoro migliorò nel giro di pochi anni, il colore, quello vero, invece ci mise molto più tempo ad arrivare. Tramontarono i tempi del film a puntate, o dei film in 10 o 12 "atti" che costringevano l’operatore ad altrettanti interruzioni ed altrettanti riavvolgimenti e montaggi di pellicola. Se si sommavano queste necessarie e previste soste a quelle dovute a strappi ed inceppamenti, il tempo di luce in sala, spesse volte equivaleva al buio della proiezione. C’erano i film lunghi che venivano programmati in due serate successive, come si fa adesso per gli sceneggiati televisivi. Passò alla svelta anche l’epoca dei "doppi programmi", una specie di paghi uno e prendi due, che con una lira, nell’arco di tre ore offrivano un film drammatico ed una commedia. Erano già quasi un ricordo "Tom Mix e le pistole fiammeggianti", "La grande parata", "La febbre dell’oro". Drammoni come "Le duo orfanelle", "Il fornaretto di Venezia", "Il padrone delle ferriere", "Notre Dame", dopo aver spremuto lacrime, singhiozzi, soffiate di naso e successi strepitosi erano già stati scalzati da altre storie e da altri drammi. La pubblicità a quei "filmoni" era piuttosto rudimentale ed affidata a grossolani manifestini stampati su carta verde o rossa, che venivano distribuiti per strada alla gente come adesso si fa per la pubblicizzare le discoteche. Il momento più proficuo del volantinaggio era la domenica, all’uscita dalla messa grande in San Francesco. Ai piedi della scalinata, sotto al monumento a Romagnosi c’erano i "propagandisti" dei vari cinema che distribuivano i volantini, che dal colore e dal tipo di carta sembravano "pianeti della fortuna". Impallidivano i trionfi di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, definiti attori "di regime". Sugli schermi apparivano sempre più telefoni bianchi e nei film "Luce" sempre più camice nere. I piacentini e le piacentine oltre che sullo schermo, si ritrovavano Osvaldo Valenti in carne ed ossa (e, per le piacentine, ancor più bello che nei film) per le strade e nei caffè di Piacenza, in divisa da ufficiale della Decima Mas. Nel ’45, addirittura il celebre attore, che ormai era diventato di casa a Piacenza dove prestava servizio come capitano di collegamento della X Mas, facendo la spola con Milano, aveva deciso di consegnarsi ai partigiani piacentini. Ma a Milano verrà catturato insieme a Luisa Ferida e nella tragica realtà, come se fossero nella finzione di un film, finiranno davanti al plotone d’esecuzione. Nel 1932, A dodici anni dalla sua inaugurazione "l'Iris" di corso Vittorio Emanuele, viene completamente ristrutturato ed adeguato alle mutate esigenze del nuovo cinema e soprattutto del nuovo pubblico. Nel 1941, anche il "cinema Italia" rinunciando alle civettuole balaustre floreali ed agli altri fregi Liberty, si trasformerà totalmente e da allora si chiamerà "Corso".


il cinema Roma in via Capra

Nel 1942, in piena guerra, con un atto di coraggio encomiabile, Francesco Leonardi aprì – costruendo su una zona su cui prima sorgevano casupole, stalle e depositi di birocci – il cinema "Roma" in via capra (che un tempo si chiamava via delle stalle). Neanche la guerra, però, riuscì a placare la passione dei piacentini per il cinema. Anche nel ’44, l’anno dei bombardamenti, le proiezioni continuarono. Venivano interrotte in caso di allarme aereo con la gente che si tuffava nei rifugi seguendo la luce della pila della maschera che invitava alla calma, assicurando che il film sarebbe proseguito subito dopo il cessato allarme. Furoreggiò, in quel periodo "Ossessione" un capolavoro da antologia che ancor oggi molti ricordano. Finì la guerra. Significativo il titolo del film con cui il "Politeama" riprese l’attività: "La vita ritorna" con Tullio Carminati e Germana Paolieri. "L’angelo del focolare" con Vivianne Romance andò in programmazione "all’Iris", "L’avventura di Tolosa" fu proiettato al "Corso", "La zia di Carla" con Macario al "Garibaldi". Iniziò la ricostruzione e anche i cinema si facevano il "look". Dopo tante sofferenze, la gente aveva bisogno di sogni e tornò a ripopolare le sale cinematografiche. L’aria condizionata doveva ancora essere inventata e, per non rinunciare al piacere di un buon film per il troppo caldo in una sala chiusa, i piacentini affollarono i cinema estivi all’aperto.

il cinema Giardini

Oltre al già citato "Politeama", c’erano anche il "Diana" in viale dante ed il cinema "Giardini" davanti ai giardini Margherita, un’area all’aperto con 2000 posti. All’aperto anche il "Taverna" sorto nel cortile del palazzo Barattieri nell’area del "Centro Chinesiterapico" di via Taverna. Scoppiò l’epoca del "neorealismo", un’era d’oro per il cinema italiano con "Roma città aperta", "Sciuscià", "Ladri di biciclette", "Umberto D.".


il cinema Plaza

Arrivarono a vagonate anche le pellicole di hollywoodiane ed alla fine degli anni Cinquanta, arrivò nuovo nuovo, il cinema-teatro "Plaza" sotto palazzo della Borsa mentre stava scemando il filone "lacrimal-popolare" di "Tormento", "Catene" che fecero il successo di Amedeo Nazzari, Yvonne Sanson, Milly Vitale, Massimo Serato e Carlo Ninchi. Arrivarono "Lo scieicco bianco", "I Vitelloni", "La strada" di Fellini ed il "Ferroviere" di Germi. Poi furoreggiarono "Poveri ma belli". Eravamo ormai, all’epoca del cosiddetto boom economico. Anche le sale parrocchiali ebbero un grande successo: c’era il "Fumeo" in San Sepolcro, il "Sant’Antonino". In San Vincenzo tenne banco per lungo tempo il "Cineforum" animato dall’allora don Ersilio Tonini (oggi cardinale) e da Giulio Cattivelli critico cinematografico di L’ibertà.


il cinema Iris poi Garibaldi ed infine Apollo

I cinematografi si rifecero un’altra volta il "Lifting". Il "Garibaldi", tirato completamente a nuovo, si chiamò "Apollo". Anche il "Corso" che già si chiamava così, fu completamente rinnovato, mentre cominciava un’altra epoca d’oro del cinema italiano con registi come Fellini, Rosi, Petri, e con film come "8 e mezzo", "Le mani sulla città", "Salvatore Giuliano", "Uomini contro", "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto", "La classe operaia non va in paradiso" ecc. Poi cominciò la crisi. La tv, anzi le tv, ci tapparono tutti in casa a vedere quiz, spettacoli musicali e film. Tanti film. Tantissimi film interrotti da tanta, tantissima pubblicità. Ancora una volta i cinema dovettero adeguarsi. Si crearono più sale e tutte più piccole, si abolirono le proiezioni pomeridiane, si istituì il giorno di riposo e – mai successo prima – la chiusura estiva per ferie. Ma ormai siamo alla cronaca dei giorni nostri. Recentemente, sulle vestigia "dell’Excelsior", la sala parrocchiale della Santissima Trinità in via Manfredi, sorse il "President". La parabola dei cinema piacentini, nonostante la pesante concorrenza della televisione e delle discoteche, non è ancora conclusa. Il cinema continua ad essere anche a Piacenza un’inesausta ed inesauribile magica fabbrica di sogni. Che farà sognare ancora per tanto tempo.
”da Piacenza una città nel tempo di Roberto Mori e Lucia Galeazzi, ediz. Tip.le.co.”
“foto studio Croce di Maurizio Cavalloni”.


Note a parte.
il 20 settembre 1920 alle ore 20,30 sul Po, per interessamento della Sezione di Piacenza della Lega Navale Italiana, si tiene uno spettacolo Cinematografico chiamando sul ponte e sulle sponde del fiume un numerosissimo pubblico. Si contano circa diecimila spettatori. Lo spettacolo originale e nuovo interessa ed è gradito. Intervengono pure le autorità. Come si può notare dalla foto il telone bianco era sostenuto con dei pali e montato su di una barca.


Cinema sul Po - 20 settembre 1920